2025-08-30
Beltrame, da cuoco per re Faruk a inventore di un brand mondiale
L’imprenditore trevigiano, dopo la Seconda guerra mondiale, intraprese la via della cucina. Concluso il lavoro con il sovrano egiziano, al Cairo fondò la catena Il Toulà. Che da Cortina d’Ampezzo si diffuse in tre continenti.Ci sono personaggi che, dopo essere stati protagonisti del loro tempo, non per aver imposto il loro nome ma per l’eccellenza di una loro intuizione riassunta da un marchio importante di successo, rischiano poi di entrare nell’oblio.Alfredo Beltrame dirà poco o nulla ai giovani millennial, anche se de Il Toulà forse ne hanno sentito parlare dai genitori o da recenti cronache di resurrezione, come ad esempio a Cortina d’Ampezzo, grazie ai fratelli Massimiliano e Raffaele Alajmo. Una storia tutta da scoprire con una anticipazione importante. Il Toulà, fondato da Beltrame a partire dal 1964, è stato il primo brand nazionale di ristorazione di lusso diffuso a livello internazionale, prima ancora dell’Harry’s Bar di Arrigo Cipriani. Riavvolgiamo la pellicola. Il giovane Alfredo era un trevigiano, classe 1924, che, al termine del secondo conflitto mondiale, doveva inventarsi il futuro. Forse il fatto di avere il papà cuoco lo aiutò un po’ a capire cosa fare da grande, ma senza un riferimento certo. Curioso del mondo, nel 1952 entrò nello staff di cucina di re Faruk, al Cairo. Tre anni di continue scoperte, umane e professionali. Una finestra di eccellenza che lo portò ad inquadrare meglio i suoi progetti di vita.Fu l’occasione per incontrare un conterraneo, Giovanni Comisso, al tempo inviato speciale de La Stampa. Si capirono all’istante. Il giovane apprendista ristoratore condusse il consumato narratore di storie del mondo a conoscere il meglio dell’aristocrazia locale, così come la vivacità spontanea dei quartieri popolari. Una capacità unica, quella del bravo Alfredo, di coniugare al meglio gli umori delle persone più semplici come l’importanza delle atmosfere sospese nel lusso di pochi. Da questo spirito nasce l’idea di provarci in proprio, ritornato in patria. Esordisce di suo, nel 1961 a Treviso, con Alfredo, lo specchio di sé. Si era un po’ allenato fuori casa, a Jesolo, dove aveva conosciuto quello che poi sarebbe diventato il compagno di squadra di una vita, Arturo Filippini, un pavese giunto sulle rive del Sile giovanissimo.La filosofia che impose ben presto la cucina di Alfredo, ai vertici di quella Treviso descritta un po’ beffardamente da Signore e signori di Pietro Germi, era in fondo molto semplice. Offrire una cucina di tradizione ma di altissima qualità, in un ambiente che faceva sentire come a casa loro il fior fiore dell’imprenditoria e della borghesia non solo trevigiana, ma veneta. Quell’élite in libera uscita dalla magica Venezia divenuta sede eletta dell’aristocrazia internazionale, Peggy Guggenheim un nome per tutti. Nel 1964 la svolta che segnerà per sempre i destini del nostro Alfredo. Leggenda vuole che sia stato Gianni Agnelli uno dei primi a segnalargli che a Cortina d’Ampezzo c’era un locale che, nella sua apparente semplicità, poteva diventare una piccola reggia del lusso. Si trattava di un fienile di bell’aspetto, Il Toulà nel vernacolo ampezzano. E così fu.Con l’inizio di questa nuova avventura, Alfredo Beltrame aprì definitivamente le sue ali sul mondo. In breve i Toulà si moltiplicarono con frequenza pressoché seriale. Sembrava quasi che l’alta società dell’Italia del Boom economico rincorresse questo figlio della terra trevigiana per avere un fienile con uso di cucina, pardon, un Toulà a casa propria. La voce si sparge in fretta e sono sempre di più a fiutare il talento di questo fiol di Treviso che sta varcando con pieno merito i confini della Marca gioiosa et amorosa. Lo avvicina il conte Giorgio Guarnieri, ultimo erede di una villa di origine settecentesca come molte diffuse nelle ex terre serenissime. Vuole affidarla a mani sicure, per un futuro degno della sua storia. Siamo a Ponzano Veneto, quella che poi diventerà una delle capitali del nuovo italian style nell’abbigliamento casual, in questo caso targato Benetton. Durante la visita ai locali e allo splendido parco, cogliendo l’occhio curioso del giovane Beltrame, il conte di lungo corso gli lascia una sorte di testamento «gestionale»: «Questa è sempre stata una casa per gli amici ma non farli pagare molto, primo perché è difficile avere amici ricchi, secondo perché raramente sono disposti a dissipare in cibi e frivolezze». Infine, l’assist per la missione ideale: «Fai che diventi un locale che accolga gente allegra, coppie felici con figli educati, uomini d’affari non pasticcioni».Di lì a poco Il Relais Toulà della campagna trevigiana diventerà una delle mete più ambite per anniversari, matrimoni, eventi da ricordare a futura memoria nelle famiglie, non solo locali. Nel 1966 si inaugura la sede a Portorotondo, in quella Costa Smeralda dove l’Aga Khan accoglieva i potenti del mondo. A seguire altre nuove sedi, con una moltiplicazione della pasta e fagioli e del baccalà mantecato diffusa in 23 locali di tre continenti. Chi l’avrebbe mai detto tanto successo per quel ragazzo con l’occhio sveglio e gli occhiali da miope, che serviva silenzioso al tavolo del re Faruk. Tale era la fama che oramai aleggiava attorno alla figura di Beltrame e al suo fienile aristocratico che quando Dino De Laurentiis decise di girare Hurricane a Bora Bora nel 1979, chiese a Beltrame di allestire un Toulà in trasferta da technicolor. Fu talmente riuscita la sfida che il cuoco mandato in missione a deliziare troupe e attori decise poi di fermarsi lì per sempre.Operava nel mondo con un occhio sempre attento a seguire le sue molteplici attività e l’impegno, nel fine settimana, a tornare puntualmente nella sua Treviso. Passava nella cucina primigenia, quella dell’Alfredo di via Collalto, per controllare che la brigata proseguisse con autonoma professionalità sulla traccia da lui indicata, con uno stile in cui i possibili suggerimenti erano sempre dati con molto tatto e discrezione. Il modo ideale di fare squadra, quella di un vero leader. Portava a spasso Cochi, il cagnolino sordo e cieco, per finire «con i piedi sotto la tavola» dalla cognata Leda, vedova di suo fratello Lovenio. Mangiava quello che gli veniva offerto, si fidava a prescindere: pollo in umido con polenta, riso e patate, zuppa di trippe.Cittadino del mondo con episodi di vita vissuta, impensabili per i più. Ad esempio, aveva una solida amicizia con Giuseppe Ungaretti. Era nato tutto un po’ per caso. Quando si vide entrare nel suo locale di Roma il re dell’ermetismo poetico gli si rivolse in egiziano. Ungaretti era nato ad Alessandria d’Egitto e Alfredo, lettore attento e curioso, citò in scioltezza brani di Konstantin Kavakis, uno dei massimi poeti egiziani del primo Novecento. I due stabilirono un’empatia immediata. Assieme alla cucina, l’altro motivo per cui Ungaretti si divertiva a fare tappa presso «il fienile» di Alfredo. Entrarono talmente in sintonia, entrambi conoscitori anche dei dietro le quinte della letteratura egizia, che spesso intrattenevano i commensali delle tavole vicine cantando, sorridenti, delle nenie che i più interpretavano come litanie familiari, in realtà erano canzonacce goliardiche. Forse fu anche per questo che il buon Ungaretti volle regalare poi all’amico Alfredo il bastone giapponese che lo accompagnò negli ultimi anni, dal pomolo d’avorio con tre facce: una per il pianto, una per il riso e l’altra per la paura. Un cimelio ora custodito presso la casa madre, a Treviso, gestito dai figli del suo socio di sempre, Arturo Filippini.Questo, come altri «quadretti di vita», vennero raccolti nel 2010 dall’amico Nico Naldini nel libro Paginette trevisane e altre storie. Quadretti da cui emerge un Beltrame ironico e disincantato, pronto a cogliere ogni sfumatura che possa regalare emozioni, anche le più semplici. Alfredo Beltrame venne a mancare nel pieno della sua creativa maturità, sessantenne, nel 1984. Ma quel che ha saputo seminare con tenacia, stile e disincantata ironia merita di essere ricordato. Per sempre.
Giancarlo Fancel Country Manager e Ceo di Generali Italia
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