2025-09-03
Bellocchio mette a nudo il partito dei giudici
«Portobello», la serie del regista dedicata alla storia del presentatore ingiustamente incarcerato, fa un piccolo miracolo: fa uscire sinistra e stampa mainstream dal culto della magistratura in cui vivono dai tempi della lotta a Berlusconi. Durerà?A ottantacinque anni, Marco Bellocchio insiste a regalare perle di grande arte. Dopo la splendida serie tv sull’omicidio di Aldo Moro, ecco che alla mostra del Cinema di Venezia viene presentato Portobello, sacrosanto martirologio laico di Enzo Tortora, vittima per eccellenza della malagiustizia italica. Tortora fu arrestato nel 1983, condannato a 10 anni a Napoli nel 1984 e completamente assolto nel 1986 dopo un calvario allucinante, mai abbastanza ricordato. E giustamente oggi tutti i media corrono a lodare il nuovo capolavoro dell’anziano e sempre vitale Bellocchio, un’opera che con tutta evidenza ha poteri taumaturgici. Sì perché in una mattina veneziana è riuscita a guarire i progressisti italici dalla fascinazione per la magistratura di cui da decenni sono prede entusiaste. Repubblica in prima pagina titola si strugge per la «cecità dell’Italia su Enzo Tortora». All’interno dà la parola a Gaia Tortora la quale, giustamente, spiega che ancora oggi può succedere che si venga condotti in manette a favore di telecamere e afferma sconsolata che «tutto può ancora succedere». La giornalista figlia di Enzo non si ferma lì e aggiunge riguardo al film: «È un lavoro che finalmente mette al loro posto quei magistrati. Geniale la trovata del Pulcinella con la toga, alla fine della prima puntata. Mio padre nelle lettere li definiva degli infami Pulcinella. Chi è rimasto si offenderà, ma questo è». Definitiva. Persino più dura è La Stampa, che titola su una pesante affermazione di Bellocchio: «Tortora ha pagato il disprezzo e l’invidia degli intellettuali». Sempre il regista dichiara che il noto conduttore televisivo fu «vittima di giudici accecati da un’idea missionaria di giustizia». Ebbene, a leggere tutti questi titoli fiammeggianti si rimane senz’altro piacevolmente colpiti, soprattutto dalla verve di un gran maestro del cinema di sinistra e impegnatissimo, in tarda età sembra non solo non aver perso l’immenso talento ma anche aver allargato le sue vedute. E senza pietà si scaglia contro la casta intellettuale e quella giudiziaria che hanno linciato il populista Tortora, uno che non aveva appoggi nella Dc e nel Pci e fu difeso da pochissimi irregolari (tra cui un mirabile Massimo Fini). «Noi poveri intellettuali di sinistra guardavamo con distacco al successo di Enzo Tortora», ha detto ancora Bellocchio a Vanity Fair. Ma in realtà, ai tempi, c’era chi il distacco se lo sognava e anzi calcava la mano. «Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni. Il personaggio non mi è mai piaciuto», scriveva ad esempio Camilla Cederna, madrina di tutte le editorialiste progressiste nostrane. Proprio su Repubblica, l’allora cronista Daniele Mastrogiacomo incalzava: «Lo spaccio operato da Tortora non consisteva certo in stecchette o bustine, ma in partite di 80 milioni a botta. Un’attività durata anni e stroncata solo ultimamente, secondo indiscrezioni, per uno sgarro commesso dal noto presentatore. E ancora, pranzi e cene con noti e meno noti camorristi, incontri segreti, rapporti, inchieste, raccomandazioni, suggerimenti, appalti». Poi certo, Enzo Biagi e Giorgio Bocca presero le difese del presentatore, e col tempo i più hanno cambiato idea, anche a destra dove pure molti furono feroci con Tortora. Ma se sul creatore di Portobello il giudizio è mutato, non è invece cambiata l’influenza che le suddette caste intellettuali e giudiziarie esercitano sui media progressisti. Il disprezzo che l’intellighenzia esibì all’epoca nei riguardi di Tortora è lo stesso che esprime oggi verso chiunque non pensi «come si conviene», cioè non aderisca al pensiero unico preconfezionato. Tortora difese Luigi Calabresi mentre la sinistra intera lo macellava, dunque era un nemico ideologico. Ed era troppo popolare per essere gradito nella torre eburnea dei maestri del pensiero. Allo stesso modo, oggi, tanti altri non allineati sono considerati inferiori e trattati come tali, con sdegno e sufficienza. È lo stesso anche il credito che viene concesso a ogni iniziativa dei magistrati che si sentono investiti dal sacro dovere di raddrizzare il legno storto dell’umanità. Se questi bloccano un trasferimento di migranti in Albania, ecco che i media sinistrorsi gridano di giubilo, esattamente come quando viene indagato Matteo Salvini o qualche altro esponente dell’odiata destra. Vero, quando a finire nel mirino dei magistrati sono i sinceri democratici, allora il garantismo appare sulla scena, peloso come non mai. Però è difficile dimenticarsi dei decenni di ossessione giudiziaria su Silvio Berlusconi, una patologia democratica che ancora adesso compare spesso e volentieri. Già, i quotidiani democratici lodano e imbrodano il film di Bellocchio, ma non è che siano corsi a contestare l’associazione nazionale magistrati e il suo presidente Giuseppe Santalucia quando si è scagliato contro l’istituzione di una giornata nazionale per le vittime degli errori giudiziari (fissata il 17 giugno proprio per ricordare l’arresto di Tortora). Santalucia disse che si trattava di una idea «senza senso» e che c’era il «pericolo è di indurre sfiducia pubblica nel sistema giudiziario e dare un messaggio in controtendenza rispetto alle numerose giornate in memoria della legalità». Per Bellocchio il caso Tortora è una pagina nerissima della storia recente d’Italia, ma troppi paiono pensarla diversamente. E questi trovano ancora sponsor e sostegno ogni volta che il giustizialismo torna buono per qualche battaglia di sinistra. Ora i giornali dem piangono per l’errore giudiziario che fu, ma le lacrime dureranno poco: fino alla prossima sentenza ostile a un nemico politico.
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