2025-09-29
Da talento a raccomandata. Il voltafaccia dei media sul direttore d’orchestra
Fino al 2021, la lucchese Beatrice Venezi era ritenuta star assoluta, lo scandalo era che non avesse ruoli top. E fanno lo sciopero del trombone.«Chiamatemi direttore». C’è una Beatrice Venezi prima di questa frase, pronunciata sul palco di Sanremo nel 2021, e una dopo. O meglio: lei è rimasta sempre la stessa. È la narrazione che è cambiata di botto. Brava, capace, bella (lo sottolineavano tutti, senza complessi), un vero esempio di empowerment femminile, prima. Praticamente la reincarnazione di Magda Goebbels, e per di più scarsa e raccomandata, dopo. Meloniana lei, forzanovista il padre e sul nonno immaginiamo stia già facendo ricerche il Centro Simon Wiesenthal.«Com’è triste Venezi», titolava ieri La Stampa, commentando la rivolta dei lavoratori della Fenice contro la sua nomina a nuovo direttore musicale del teatro. E pensare che, un tempo, l’ostruzionismo dell’accademia contro di lei veniva raccontato come retaggio maschilista e gerontocratico, mentre l’urgenza era semmai quella di rompere il soffitto di vetro e darle incarichi più prestigiosi possibili. Il 6 maggio 2021, era la stessa Stampa a dipingerla come «sicuro role model per tutte quelle che sono state bambine dai tempi delle Winx in poi, dunque testimonial ideale d’un sacco di belle cose», chiosando: «Ovvio che con l’accademia, da Venezi definita “quel mondo un po’ arcigno e brizzolato”, non tutto fili liscio». «All’estero è venerata come una star e i teatri se la contendono, in Italia - purtroppo - è tutto più complicato», si lamentava il Corriere della Sera del 5 marzo 2021. Mentre il Secolo XIX, il 12 ottobre 2019, ne lodava le battaglie contro «la chiusura mentale di un’ampia parte del mondo classico». Insomma, se non le danno la Fenice è colpa del patriarcato, poi gliela danno e allora è colpa della Meloni. Fino a qualche tempo fa, non c’era praticamente articolo su di lei che non citasse la sua presenza nella lista delle 50 donne più creative dell’anno 2017 stilata dal Corriere, così come, l’anno successivo, il fatto che Forbes Italia l’avesse inserita fra i 100 futuri leader under 30. O ancora il fatto che, nel 2019, la Fondazione Feltrinelli, mica il Ku Klux Klan, le abbia conferito il premio Leonia per l’audacia 2019. Persino la sua avvenenza, oggi prova di intelligenza col nemico, un tempo veniva raccontata con toni lirici: «Ha un fascino indiscusso e una femminilità che esplode proprio quando indossa i panni del direttore d’orchestra» (Sky Tg 24, 28 dicembre 2019); «Braccia toniche, corpo esultante, capelli che volano» (La Stampa, 6 maggio 2021); « È molto bella» (Corriere della Sera, 5 marzo 2021).Bella, ma anche brava? Oggi va di moda negare, brava, ma quando mai, tutte spinte politiche, ma nessuno smentì La Stampa quando, sempre nel 2021, spiegava che dal podio «spicca il volo con l’imperscrutabile naturalezza d’una figlia del tempo» e che «si trasforma sotto gli occhi del pubblico». O sbertucciò Vogue Italia, che il 23 maggio 2019 parlava di «un direttore d’orchestra italiano che abbiamo visto da qualche anno dirigere fior di orchestre internazionali», nonché «abbattere una serie di pregiudizi che spesso girano intorno alla musica classica in genere». Nessuno contraddisse Open quando, il 18 Ottobre 2019, ci faceva leggere questo ritratto ispirato: «La bacchetta magica di Beatrice Venezi sa quando far partire musica, quando è il momento per le note di accelerare e quando invece è ora che cali il silenzio». Né si levarono proteste quando, nel 2019, il Secolo XIX liricheggiava: «Beatrice Venezi dentro di sé non porta solo un amore sconfinato per la musica, ma anche il fuoco della rivoluzione culturale», in quanto «è fra i direttori d’orchestra più giovani e acclamati del pianeta, seguita come un’icona di cultura e bellezza da migliaia di giovani».Giovane era anche il predecessore della Venezi, Diego Matheuz, 27 anni, curriculum scarno ma amicizie giuste (era un pupillo di Claudio Abbado) e ideologia ancor più giusta (si definiva «castrista» e anche «madurista»). Chissà perché, nessuno ha scioperato per lui, come invece sembrano voler fare i musicisti di mezza Italia (sabato alla Fenice sono anche stati lanciati volantini in teatro, distribuiti dagli orchestranti prima del concerto). Eppure, per il Corriere del 2021, la Venezi era praticamente la Lamine Yamal della direzione d’orchestra: «Si è diplomata come direttore d’orchestra al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano con il massimo dei voti. Ha continuato a formarsi presso accademie specializzate e a comporre saggi di musicologia. Nel 2005 ha vinto il suo primo premio al Concorso nazionale di interpretazione pianistica. Poi sono arrivate le collaborazioni con orchestre nazionali e internazionali. […] Inevitabile il grande successo mondiale: dall’Italia al Giappone, dalla Bielorussia al Portogallo, dal Libano al Canada fino all’Argentina». L’erede di Riccardo Muti? Sì, ma quasi anche della Montalcini, se è vero quello che scriveva Vanity Fair il 28 ottobre 2019: «Dopo Samantha Cristoforetti, prima italiana nello spazio, e Sara Gama, capitana della nazionale di calcio femminile, arriva Beatrice Venezi, direttore d’orchestra acclamata a livello internazionale, a buttare giù un altro mattoncino del muro della disparità». È la stampa (conformista), bellezza.
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Nel riquadro, il fotoreporter Niccolò Celesti (Ansa)