2019-05-20
Così funziona la macchina della censura Ue
Da marzo 2015 a oggi, una serie di iniziative ad hoc per soffocare l'informazione in Europa. A quei tempi, le elezioni americane erano ancora lontane e Donald Trump non aveva nemmeno annunciato di voler correre per la Casa Bianca. Riuniti a Bruxelles, i capi di governo dei Paesi membri approvavano severe linee guida per contrastare la diffusione delle fake news.Quando si tratta di stabilire cosa sia degno di credibilità, gli euroburocrati hanno le idee molto chiare: la verità sta sempre dalla loro parte. Negli anni, l'Unione europea si è trasformata in una macchina della censura sempre più efficiente, grazie a una chirurgica selezione delle fonti considerate «accettabili» e un'incessante opera di discredito dell'avversario. Ma questa metamorfosi ha implicato un impegno crescente anche sul piano economico, se è vero, come ha rivelato il commissario europeo per l'Economia e la Società digitali, Marija Gabriel, che la dotazione per contrastare la disinformazione è quasi triplicata, passando dagli 1,9 milioni del 2018 ai 5 milioni del 2019. L'ossessione dell'Ue per la disinformazione nasce a marzo del 2015. A quei tempi, le elezioni americane sono ancora lontane e Donald Trump non ha nemmeno annunciato di voler correre per la Casa Bianca. Riuniti a Bruxelles, i capi di governo dei Paesi membri approvano severe linee guida per contrastare la diffusione delle fake news: «Il Consiglio europeo (l'organo che riunisce i capi di governo degli Stati membri, ndr) ha sottolineato l'esigenza di contrastare le campagne di disinformazione in corso da parte della Russia e ha invitato l'Alto rappresentante a elaborare entro giugno, in collaborazione con gli Stati membri e le istituzioni dell'Ue, un piano d'azione in materia di comunicazione strategica. La creazione di una squadra addetta alla comunicazione rappresenta un primo passo in questa direzione». Nasce così la East Stratcom, una task force in seno al Servizio europeo di azione esterna (Eeas), l'organo che si occupa degli affari esteri dell'Ue e della gestione del corpo diplomatico. Il team è composto da sedici risorse (tra le abilità è richiesta la padronanza della lingua russa) reclutate tra le altre istituzioni europee oppure fornite direttamente dagli Stati membri. Uno dei compiti principali di questo gruppo è quello di «migliorare la capacità dell'Ue di prevedere, rivolgersi e rispondere alle attività di disinformazione messe in campo da attori esterni». Sorprendentemente, a dispetto del cospicuo sforzo economico (1,1 milioni nel 2018 e 3 milioni nel 2019), le opinioni espresse dalla East Stratcom non riflettono la posizione ufficiale dell'Ue.La «vetrina» della task force è rappresentata dal sito Euvsdisinfo.eu, nel quale vengono pubblicate a ritmo incessante segnalazioni, analisi e report sull'informazione pro Cremlino. Secondo quanto riportato dall'Action plan contro la disinformazione pubblicato congiuntamente a dicembre del 2018 da Parlamento, Consiglio europeo, Consiglio dell'Unione europea, Comitato economico e sociale e dal Comitato europeo delle regioni, dalla sua fondazione la East Stratcom ha «catalogato, analizzato e messo in luce 4.500 esempi di disinformazione provenienti dalla Federazione russa, svelando numerose narrative sulla disinformazione, incrementando il livello di consapevolezza ed esponendo gli strumenti, le tecniche e le intenzioni delle campagne di disinformazione». Torniamo al sito. All'interno della sezione «news» è consultabile un interminabile elenco di post attraverso i quali i fact checker di East Stratcom smontano le «bufale» russe. C'è un po' di tutto: si va dalla manipolazione attraverso i social network, alle notizie tendenziose sull'Ucraina, ai servizi sull'emittente Russia Today, fino ad arrivare alle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Riguardo a questo tema, proprio questo mese la task force ha pubblicato un pamphlet nel quale fornisce consigli per stare al riparo dalle fake news ed elenca tutti i casi nei quali Mosca ha interferito con il regolare svolgimento delle elezioni fuori e dentro i confini europei: non potevano mancare le elezioni presidenziali americane nel 2016, ma vengono citate anche quelle italiane del 2018 e ovviamente il referendum del 2016 per la Brexit. Non tutti però gradiscono il tono paranoico e sarcastico dei contenuti pubblicati sul sito. Come racconta il giornalista Arjen Nijeboer, l'anno scorso la maggioranza dei parlamentari olandesi ha addirittura fatto richiesta al ministro dell'Interno, Kajsa Ollongren, affinché si attivasse per la chiusura di Euvsdisinfo, accusato di minare il diritto alla libertà di espressione, arrivando persino a invocare un intervento del premier Mark Rutte.Nel frattempo, Trump diventa presidente degli Stati Uniti, e il pericolo che il populismo soffi anche da questa parte dell'Atlantico diventa concreto. L'azione degli euroburocrati subisce a quel punto una rapida accelerazione. Nel mese di aprile del 2017, il vicepresidente della Commissione, Andrus Ansip, dichiara che quello delle fake news è un «problema serio», e che benché «rimaniamo coscienti della necessità di tutelare la libertà di espressione» allo stesso tempo «siamo anche consapevoli dei possibili effetti negativi di questo fenomeno». Il discorso di Ansip rappresenta un passaggio chiave perché chiarisce una volta per tutte che per Bruxelles il controllo, e la relativa censura, delle informazioni circolanti in rete è più importante del fondamentale diritto ai cittadini di esprimersi. Con una lettera datata maggio 2017, il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, incarica Mariya Gabriel di «delineare le sfide che le piattaforme online pongono alle nostre democrazie per quanto riguarda la disinformazione e di proporre una soluzione europea». A novembre del 2017, la Gabriel lancia una consultazione pubblica (alla quale partecipano appena 3.000 cittadini) e annuncia la partenza delle selezioni per il gruppo di alto livello sulle fake news (Hleg), la cui prima riunione è fissata per il 15 gennaio 2018. Tra i membri designati troviamo gli italiani Gianni Riotta e Federico Fubini, ma non mancano esponenti di Ong del settore, dei big del tech (Google, Facebook e Twitter) e delle telecomunicazioni (Mediaset, Sky, Rtl Group e Afp tanto per citarne alcuni). Due mesi più tardi, a marzo, l'Hleg produce un suo report. Una quarantina di pagine zeppe di considerazioni, indicazioni e raccomandazioni piuttosto vaghe. Sempre a marzo viene pubblicato l'esito del sondaggio Eurobarometro, basato su poco più di 26.000 interviste. Secondo l'83% dei partecipanti, le fake news rappresentano una minaccia per la democrazia, mentre il 37% si imbatte in una notizia falsa al giorno.Il 26 aprile 2018 viene pubblicata la comunicazione della Commissione europea alle altre istituzioni Ue, denominata Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo. Tra le misure volte ad arginare il fenomeno troviamo: l'introduzione di un codice di buone pratiche sul tema da elaborare a cura delle piattaforme Internet; l'attivazione di una rete europea di verificatori di fatti; una piattaforma online sicura sulla disinformazione; la promozione dell'alfabetizzazione informatica; il sostegno agli Stati membri nel garantire processi elettorali solidi contro minacce informatiche sempre più complesse. Il codice diventa realtà a settembre, quando viene sottoscritto da Facebook, Google e Twitter. Lo scorso 5 dicembre, «al fine di tutelare i propri sistemi democratici e i dibattici pubblici e in previsione delle elezioni europee del 2019 e delle elezioni nazionali e locali che si terranno in vari Stati membri entro il 2020», l'Unione europea annuncia un piano d'azione per intensificare gli sforzi volti a contrastare la disinformazione. Una delle iniziative più ambiziose è quella di dotare le istituzioni dell'Ue e gli Stati membri di un «sistema di allarme rapido», al fine di agevolare la condivisione dei dati e la segnalazione delle minacce in tempo reale. Il nuovo strumento è stato presentato il 18 marzo scorso alla presenza del commissario europeo per l'Unione della sicurezza, Julian King.Mentre siamo ancora in attesa di conoscere dettagli e risultati di questo sistema (lo scorso 8 aprile è stata presentata in merito un'interrogazione al Parlamento europeo, pare ancora senza risposta), a scandagliare la rete ci pensano le organizzazioni di fact checking, spesso e volentieri foraggiate dall'Ue. Tra di essi, segnaliamo Factcheck.eu (19 media europei da 13 Paesi diversi verificano la campagna elettorale), Eufactcheck.eu (progetto promosso dalla European journalism training association), Coinform.eu (ne fanno parte 7 atenei europei) e l'European observatory against disinformation (un consorzio che coinvolge anche la Luiss e Pagella Politica). Con una potenza di fuoco simile, la propaganda di Bruxelles può dormire sonni tranquilli.