2022-12-26
Battaglie nei cieli della Guerra Fredda
True
Ufficialmente le due forze aeree americana e sovietica si scontrarono direttamente una sola volta. Tuttavia l'attività di volo a scopo di spionaggio causò negli anni più di 200 vittime tra i militari Usa. Il primo scontro aereo tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica avvenne nel cielo della Yugoslavia quando ancora la Seconda Guerra mondiale non era terminata. Il prologo della Guerra Fredda, uno dei conflitti a bassa tensione più lunghi della storia moderna, si consumò all’indomani della caduta della guarnigione tedesca di stanza a Belgrado. Nel novembre 1944 l’Armata Rossa, lanciata all’inseguimento del nemico in ritirata, marciava nei pressi di Nìs nella zona meridionale della attuale Serbia. Questa avanzata coincideva con il ventisettesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre e le colonne meccanizzate esponevano una lunga fila di bandiere rosse ben visibili dall’alto. Nel fragore dei carri armati e nel suono degli ottoni delle fanfare un altro rumore sordo che cresceva rapidamente di intensità fu udito distintamente. Inizialmente i sovietici pensarono si trattasse di una formazione della Luftwaffe. Verso le 10 del mattino del 27 novembre la guarnigione si accorse che si trattava di un gruppo di P-38 Lightning dell’Usaf, per la caratteristica configurazione a doppia fusoliera dei cacciabombardieri statunitensi. Sollevati dal fatto che si trattava di una forza alleata, i russi tirarono un sospiro di sollievo che durò tuttavia solo qualche minuto. All’improvviso i Lightning si misero in assetto da attacco al suolo, scatenando una pioggia di fuoco sui soldati dell’Armata Rossa che cercavano di sventolare le bandiere per mostrare la propria appartenenza. Nel primo dei due attacchi perse la vita un generale sovietico assieme a trenta dei suoi uomini, nella seconda ondata dei P-38 anche numerosi carri furono distrutti al suolo. Durante il bombardamento i russi riuscirono a comunicare con il reparto di caccia dell’aviazione sovietica basato a Nis per immediato intervento. Dall’aeroporto decollò una formazione di caccia Yavkolev Yak-3 che presto ingaggiò battaglia con gli Americani. La lotta durò circa mezz’ora con l’abbattimento di 5 P-38 e 4 Yak-3 prima che l’iniziativa di un asso sovietico, il capo formazione Alexander Ivanovic Koldunov, risolvesse la situazione affiancandosi al suo omologo nemico sparando alcuni colpi di avvertimento e mostrando la stella rossa di fusoliera, segno inequivocabile dell’errore da parte dei piloti americani che si allontanarono rapidamente dal cielo di Nis. Le conseguenze, come naturale che fosse, portarono ad un incidente diplomatico tra le due nazioni alleate senza precedenti dall’inizio del conflitto. Gli Americani si scusarono immediatamente, dichiarando che i P-38, finiti fuori rotta, avrebbero involontariamente scambiato la guarnigione sovietica per una colonna della Wehrmacht in ritirata, segnalata precedentemente in una zona della Serbia meridionale. Il caso non fu mai risolto, mentre nelle immediate circostanze dell’evento Josif Stalin rifiutò freddamente l’offerta americana di una forza di sostegno all’Armata Rossa nell’avanzata nei Balcani. Quello che fu l’unico combattimento aereo diretto tra le due future potenze rivali rimane senza una spiegazione ufficiale, ancora classificata negli archivi di Stato dei due Paesi. Nonostante dopo il 1944 non vi siano stati più combattimenti aerei diretti tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, i confini segnati dalla cortina di ferro e il teatro del pacifico caratterizzato dalla massiccia presenza delle forze aeree della Cina comunista nel dopoguerra furono la base per numerosi incidenti indiretti che si susseguirono durante tutto il periodo di attività di spionaggio aereo. Oppure gli scontri avvennero in teatri di guerra nati per le conseguenze delle tensioni tra i due blocchi come ad esempio la guerra di Corea del 1950-53 dove numerosi furono gli scontri tra gli F-84 e F-86 americani e i validissimi Mig-15 pilotati dai sovietici sotto le insegne del Nord comunista. O ancora, durante tutti gli anni Cinquanta, molti furono i bombardieri americani attrezzati per la prima guerra elettronica ai confini dei paesi satelliti dell’Urss a sparire improvvisamente o ad essere abbattuti una volta entrati nel raggio d’azione dei caccia sovietici. Uno dei più drammatici fu il caso del Lockheed C-130 abbattuto il 2 settembre 1958 da quattro caccia Mig-17 sovietici a sole 30 miglia dalla città armena di Yerevan. Decollato dalla Turchia, il quadrimotore americano in missione di pattuglia lungo il confine dei due blocchi entrò nello spazio aereo sovietico probabilmente per una errata lettura dei radiofari sovietici scambiati per quelli turchi. I morti furono sei. Nei numerosi «ferret flights» (o voli furetto) organizzati dalla CIA e dalle forze aeree statunitensi con lo scopo di mappare le difese terrestri sovietiche e dei paesi satellite persero la vita più di 200 militari americani. Dopo la caduta dell’Urss il presidente Boris Yeltsin assieme a George H.W.Bush istituirono una commissione d’inchiesta per ricostruire gli abbattimenti della Guerra Fredda, che tuttavia procedette a rilento e senza grandissimi risultati per le famiglie degli aviatori che attendevano notizie sulla scomparsa dei loro congiunti. Durante i lavori, la commissione fu sciolta nel 2004 dal presidente russo Vladimir Putin, che conseguentemente al ritiro della commissione russa chiuse l’accesso agli archivi di Poldolsk dove la documentazione raccolta negli anni era stata conservata. La stessa sorte ebbero i documenti riguardanti gli incidenti che coinvolsero gli aerei spia americani entrati nel raggio d’azione dei caccia Cinesi. Nonostante numerosi tentativi diplomatici presso le autorità di Pechino, queste ultime rifiutarono categoricamente la declassificazione dei documenti relativi agli scontri aerei lungo le coste del Pacifico per bocca del presidente dell’«Associazione Popolare per l’Amicizia tra i Popoli». Il mistero sul destino delle vittime del cielo durante la Guerra Fredda continua.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».