2024-11-02
Il baratro di Kiev: il Donbass è perduto e c’è lo spettro delle armate di Kim
Preoccupazione per il possibile impiego di 10.000 soldati nordcoreani a Kursk. Pyongyang: «Coi russi fino alla vittoria».La risposta degli ayatollah all’attacco israeliano potrebbe passare per le milizie sciite del Paese confinante: un modo per cercare di evitare ulteriori reazioni.Lo speciale contiene due articoli.Il coinvolgimento delle truppe nordcoreane, con i 10.000 soldati inviati da Kim Jong-un a combattere nella regione del Kursk per sostenere l’esercito russo nell’azione di contenimento dell’offensiva ucraina, rischia di sconvolgere non solo lo scenario del conflitto, ma anche gli equilibri geopolitici. La notizia, sulla quale non si è ancora espressa in via ufficiale la Cina, principale partner commerciale della Corea del Nord ed evidentemente non troppo entusiasta della sinergia, soprattutto militare, tra Pyongyang e Mosca, ha immediatamente fatto innalzare il livello di guardia dalle parti della Nato. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, ha parlato di «una significativa escalation», di «un’altra violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu» e di «una pericolosa espansione del conflitto». Anche la Corea del Sud ha manifestato parecchia preoccupazione, definendo la cooperazione militare tra i due Paesi «illegale e pericolosa per il mondo». Una preoccupazione motivata dalle ambizioni nucleari coltivate dal regime di Pyongyang, specie dopo il test effettuato lo scorso giovedì a largo del mar del Giappone dell’Hwasong-19, il nuovo missile balistico intercontinentale a combustibile solido, che a detta dell’agenzia di stampa ufficiale nordcoreana Kcna è il missile strategico più potente al mondo in grado di dimostrare la posizione egemonica che il Paese asiatico ha ottenuto nello sviluppo e nella produzione di velivoli nucleari. «Continueremo a sviluppare il nostro arsenale per essere pronti a una rappresaglia nucleare in caso di aggressione», ha avvertito il ministro degli Esteri nordcoreano, Choe Son Hui, nel corso della visita a Mosca dove ha incontrato il suo omologo russo Sergej Lavrov. «Ribadiamo che staremo sempre fermamente al fianco dei nostri compagni russi fino al giorno della vittoria. Non abbiamo alcun dubbio che sotto la saggia guida del rispettato presidente Putin l’esercito e il popolo russo otterranno una grande vittoria nella loro sacra lotta per proteggere i diritti sovrani e proteggere la sicurezza del loro Stato». I due ministri, che non hanno smentito la notizia dell’invio di soldati nordcoreani a combattere a fianco di quelli russi nel Kursk, hanno anzi ribadito gli interessi comuni: «I legami tra l’esercito russo e quello nordcoreano sono molto stretti», ha spiegato Lavrov, «e questo renderà anche possibile risolvere importanti obiettivi di sicurezza per i nostri cittadini e i vostri». Il ministro degli Esteri russo, stando a quanto annunciato ieri dalla portavoce Maria Zakharova, è atteso nel mese di dicembre a Malta, dove prenderà parte al vertice del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l’Osce; una notizia non indifferente, considerato che si tratterà della prima visita ufficiale di Lavrov in un Paese membro dell’Unione europea dall’inizio del conflitto in Ucraina. Tutto questo mentre le armate russe sfondano ormai a Selydove e sono praticamente alle porte di Pokrovsk, città chiave per l’intera regione del Donbass, che ora resta legata al resto dell’Ucraina per un filo esilissimo.L’impiego delle truppe nordcoreane è stato commentato con scetticismo e preoccupazione anche dal ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto: «Lo scenario dell’Est Europa in Ucraina peggiora con l’invio di truppe da parte della Corea. Da più di un anno, però, si è formato un fronte a sostegno della Russia e dobbiamo capire se questo fronte può rendere ancora più pericolosa la volontà di Putin di espandere i suoi confini. Mi auguro che prima possibile si possa ricondurre la Russia a un tavolo di pace».Nel frattempo, sul campo di battaglia si continua a combattere senza sosta. Ieri diverse bombe sono state sganciate su Odessa, dove sono rimasti feriti due pompieri nella caserma dei vigili del fuoco presa di mira, e Kharkiv, dove un missile lanciato su una postazione della polizia ha provocato un morto e almeno 30 feriti. In Russia, invece, nella regione meridionale di Stavropol, l’esercito ucraino ha tentato di colpire con un drone un deposito di petrolio nella città di Svetlograd, ma stando a quanto riferito dal governatore Vladimir Vladimirov alla Tass, il velivolo senza pilota si è schiantato senza causare vittime. Nella notte tra giovedì e venerdì, ha reso noto il ministero della Difesa russo, la contraerea ha dovuto abbattere 83 droni ucraini. Kiev, stando alle ultime notizie giunte nella serata di ieri da Washington, potrebbe presto contare su un nuovo pacchetto di aiuti dagli Stati Uniti. Ad annunciarlo è stato il dipartimento della Difesa americano attraverso una nota, in cui si parla di altri 425 milioni di dollari in aiuti militari da destinare all’Ucraina, che comprendono intercettori per la difesa aerea, munizioni per sistemi missilistici e artiglieria, veicoli corazzati e armi anticarro. Anche dall’Arabia Saudita, tramite l’agenzia di soccorso KSrelief, sono in arrivo aiuti dal valore di 10,4 milioni di dollari, ma in questo caso non si tratta di armi, bensì di assistenza per l’alloggio agli sfollati, tra cui 11.000 kit di alloggio, 2.400 kit di riscaldamento rapido e materiali da costruzione per isolare le case in vista dell’inverno.Il conflitto tra Russia e Ucraina è stato al centro della preghiera di Papa Francesco nel corso dell’Angelus: «Fratelli e sorelle, la guerra sempre è una sconfitta, sempre! Ed è ignobile perché è il trionfo della menzogna, della falsità. Si cerca il massimo interesse per sé e il massimo danno per l’avversario calpestando vite umane, ambiente, infrastrutture, tutto e tutto mascherato da menzogne. E soffrono gli innocenti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/baratro-kiev-donbass-perduto-2669565376.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="liran-pronto-a-colpire-dalliraq" data-post-id="2669565376" data-published-at="1730497925" data-use-pagination="False"> L’Iran pronto a colpire... dall’Iraq Continuano a rincorrersi le voci su un possibile attacco dell’Iran contro Israele, dopo che quest’ultimo ha colpito le infrastrutture energetiche e la produzione missilistica di Teheran sabato scorso, in risposta ai 200 missili iraniani lanciati nel territorio israeliano il primo ottobre. L’ipotesi di una rappresaglia di Teheran potrebbe concretizzarsi in breve tempo: secondo diversi media l’attacco dovrebbe avvenire prima del 5 novembre, il giorno delle elezioni americane. Secondo il New York Times, l’ayatollah Ali Khamenei, dopo aver valutato i danni causati dal raid israeliano, avrebbe dato ordine al Supremo consiglio per la sicurezza nazionale di prepararsi all’attacco, considerando la risposta di Gerusalemme «troppo grande per essere ignorata». L’intento è stato confermato dalle parole del generale Hossein Salami, il capo della Guardia rivoluzionaria iraniana, che ha dichiarato che Israele deve aspettarsi «una risposta inimmaginabile». Gerusalemme ne sarebbe consapevole e per questo si starebbe organizzando, come riporta la Cnn, con «un alto livello di preparazione». Si tratta di una valutazione che sembra essere confermata dai fatti dato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato per domenica il gabinetto per la sicurezza. Una fonte militare avrebbe informato l’emittente televisiva americana che l’Iran sarebbe a un bivio: dato che le sue infrastrutture sono state danneggiate da Israele, sarebbe più complesso riuscire a difendersi da una futura risposta di Netanyahu. Ma c’è di più, infatti stando a quanto riportato da Axios, per l’intelligence di Gerusalemme l’attacco iraniano potrebbe provenire dall’Iraq: portare avanti l’offensiva tramite le milizie irachene filo iraniane potrebbe essere un modo per Teheran di proteggersi da nuovi raid israeliani. Questa visione è stata confermata anche dall’ex colonnello israeliano Miri Eisen alla Cnn, secondo cui: «I gruppi iracheni sono fisicamente vicini all’Iran, più accessibili e non degradati, a differenza di Hezbollah in Libano». La resistenza islamica in Iraq si è già avviata nel condurre attacchi contro Gerusalemme ieri mattina, lanciando droni nel sud di Israele e sulle Alture del Golan. Spostandoci sulla questione del cessate il fuoco in Libano, la missione degli inviati americani Amos Hochstein e Brett McGurk in Israele ha prodotto un nulla di fatto. I funzionari statunitensi avevano descritto l’incontro con alcuni vertici israeliani, tra cui Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, come «costruttivo» e «importante». Lo stesso segretario di Stato americano Antony Blinken aveva parlato di «un buon progresso» sui lavori per implementare la risoluzione di sicurezza Onu 1701. Eppure, queste parole si sono rivelate molto lontane dalla realtà. Poche ore dopo, l’Idf ha colpito con almeno dieci attacchi aerei la periferia sud di Beirut, oltre a Baalbek e Tiro, città situate rispettivamente nel Libano orientale e meridionale. Anche Gaza è stata bombardata: i bersagli sono stati l’ingresso di una scuola nel campo profughi Nuserait e le città di Deir Al Balah e Al Zawaida, lasciando una scia di 47 morti. Dall’altra parte, Hezbollah ha lanciato 90 razzi contro Israele e Hamas ha rifiutato una tregua breve, chiedendo un cessate il fuoco permanente. Intanto ieri i terroristi di Hamas hanno subito un altro colpo: l’Idf ha annunciato di aver ucciso Izz Al Din Kassab, membro dell’ufficio politico dell’organizzazione islamista e responsabile delle sue relazioni nazionali.