
L'aumento del differenziale nel rendimento tra Btp e Bund ha scatenato il mantra: se lo Stato paga più interessi, lo stesso accadrà alle famiglie e alle imprese che accedono al credito. Falso. Lo accerta Via Nazionale: il tasso effettivo globale medio diminuisce.L'ossessione per il differenziale nel rendimento del nostro Btp a dieci anni con l'omologo Bund tedesco (cioè lo spread) ha condizionato la linea editoriale di molti mass media negli ultimi mesi. Passando dai 130 punti base del 15 maggio 2018 ai circa 270 di oggi, il sillogismo è stato automatico. Se lo Stato paga più interessi, lo stesso accadrà alle famiglie e alle imprese che accedono al credito. La deduzione suona intelligente, peccato però sia falsa. A certificarlo è la stessa Banca d'Italia, incaricata di verificare con cadenza trimestrale la dinamica del costo del credito per conto del Mef da una legge del 1996. Una rilevazione necessaria al fine di determinare la soglia del tasso di usura che le banche non possono oltrepassare nella concessione del credito. Acquisendo le rilevazioni degli istituti di credito, Via Nazionale verifica il tasso effettivo globale medio (Tegm) comprensivo di oneri e balzelli vari applicati dalle banche sulle operazioni suddivise in specifiche categorie. Aumentando il Tegm di un quarto e aggiungendo un ulteriore 4% si identifica il cosiddetto tasso usura, che comunque non potrà mai essere superiore di otto punti percentuali rispetto al benchmark di mercato. Ma scorrendo le rilevazioni trimestrali pubblicate in Gazzetta ufficiale cosa si scopre? Semplicemente che il Tegm diminuisce. E questo significa che i nuovi crediti nel frattempo erogati dalle banche hanno un tasso di interesse inferiore rispetto allo stock di mercato in essere. Alcuni esempi aiuteranno a capire.Nel 75% dei casi, con riferimento alle categorie di operazioni più importanti - confrontando il primo trimestre 2018 con l'omologo periodo del 2019 - il tasso effettivo globale medio di mercato risulta infatti in diminuzione, con la sola eccezione di poche categorie di operazioni. In questi casi infatti (leasing targati, aeronavali e strumentali) il costo risulta in aumento - quasi sempre impercettibile - con la sola eccezione degli scoperti di conto corrente senza affidamento (per importi superiori a 15.000 euro), dove l'incremento è più marcato. Per tutto il resto delle operazioni creditizie il tasso medio di mercato risulta invece in diminuzione.Il costo dei mutui ipotecari a tasso fisso diminuisce dal 2,94% al 2,54%. Lo stesso dicasi per quelli a tasso variabile il cui costo scende dal 2,43% al 2,19%. Pure il costo delle aperture di credito in conto corrente (indipendentemente dall'importo) risulta in diminuzione così come il credito al consumo ed il credito in genere alle famiglie ed alle imprese. Stessa sorte per il factoring. Una dinamica niente affatto difficile da prevedere, come stiamo scrivendo quasi in solitudine da mesi. La quantità di credito erogata all'economia è sì in costante diminuzione, dal momento che fra il novembre 2015 ed il gennaio 2019 i crediti a favore di famiglie ed imprese italiane sono scesi da oltre 1.420 miliardi a circa 1.300. A nulla in tal senso sono servite e serviranno le operazioni di stimolo monetario attuate dalla Bce. Più della liquidità alle banche, oggi infatti servono tre cose che Francoforte non potrà mai dare: (a) il patrimonio per fronteggiare i rischi di credito derivanti da perdite attese e inattese; (b) una domanda di prestiti da parte del settore privato cui rispondere; (c) la ragionevole aspettativa che il credito erogato possa essere restituito. Ripetere quindi continuamente la stessa cosa - inondando le banche di liquidità - aspettandosi risultati diversi dal passato (ad esempio, la ripresa del credito) appare pertanto inutile se si tiene ad esempio conto che oggi le banche italiane hanno già oltre 70 miliardi di riserve in eccesso rispetto al minimo regolamentare depositate in Bce. E qui si arriva al punto. Durante la crisi del debito sovrano del 2011 erano poco meno di 90 milioni. Nel momento più cupo del credit crunch del 2008 le riserve di liquidità erano addirittura pari a circa 43 milioni. Con una tale massa di liquidità a disposizione depositata in Bce e spesso remunerata a tassi negativi, appare quanto mai improbabile che le banche, una volta trovato un debitore degno della loro fiducia, se lo facciano sfuggire con tassi in aumento. E le rilevazioni di Banca d'Italia ne danno conferma.
Ansa
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