2024-09-22
Il «Muro di Berlino» ferma l’unione bancaria
Le fusioni sono invocate per costruire colossi ma finiscono per togliere sovranità. Così in tanti spingono fino a quando dalle parole non si passa ai fatti. La Germania (seguita dalla Spagna) è in prima linea nel difendere le aziende dall’arrivo di capitali esteri.La storia delle fusioni e delle scalate bancarie in Europa è lunga. In comune hanno un aspetto. Sono sempre prove di forza. Uno vince e l’altro diventa parte della strategia dell’acquirente. Tante sono avvenute in Italia o negli altri Paesi Ue. Altre, più sofferte, sono avvenute a cavallo dei confini. Bbva nel lontano 2007 si prese Compass Bancshares (Usa) L’anno dopo fu la volta di Royal bank of Scotland con l’olandese Abn Amro. E sempre nel 2008 Unicredit nella sua campagna di Germania acquisì Hvb group con l’intento, ovviamente, di espandersi. Quelli erano gli anni della crisi e il mercato, così come la politica, vedeva di buon occhio un intervento di consolidamento. Banche più grosse, meno rischi per tutti, detto in parole povere. Trascorso quel periodo, abbiamo vissuto la fase dei bail in e l’enorme invasività della Bce, del regolatore e dell’Antitrust. Non stiamo a ricordare gli errori (mai pagati) dell’Ue nel caso Tercas, tanto per fare un esempio: errori dimenticati e impossibili da rimediare. Il dentifricio non si può mai rimettere nel tubetto. Adesso, però, l’Ue attraversa un contesto diretto. La corsa al consolidamento bancario non sembra spinta da crisi (anche se alcune delle prede sono eredità delle difficoltà precedenti), ma da una volontà di competere con i colossi più grandi. Quelli che stanno Oltreoceano. Non solo, Bruxelles ci ha sfiniti con l’idea di creare l’unione dei capitali. Un input che arriva dalla Commissione. Una tesi contenuta nei report più citati del 2024, quello a firma Enrico Letta e Mario Draghi. Creando l’unione bancaria - viene spiegato - si ottimizza, si risparmia e si rende efficiente il settore. E soprattutto si mira ad avviare una stagione diversa da quello del 2007/2008. Fondere le banche non come semplice strategia transnazionale, ma come leva per abbattere i confini nazionali. Un chiaro passo in avanti, per creare colossi, ma chiaramente abolire la sovranità nazionale. Tutti d’accordo, almeno a parole. L’ultimo in ordine di tempo, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che da Cernobbio ha ricordato l’urgenza di accelerare l’unione bancaria. Peccato che, quando si passa dalle parole ai fatti, le reazioni della politica e dei sindacati cambino. E drasticamente. Il caso Unicredit-Commerzbank ne è l’esempio da letteratura. La banca guidata Andrea Orcel acquisisce il 9% di Commerz e lascia intendere di essere disponibile a salire. Nessuna Opa ostile, ma una scalata ragionata. L’ad e i sindacati si mettono in mezzo - e fin qui tutto normale -, poi Deutsche Bank si dichiara disponibile a fare da muro. Fino a che interviene direttamente il governo tedesco che, dopo aver avviato una indagine, frena sulla vendita del 12% rimanente. Va ricordato, infatti, che a Berlino l’esecutivo si ritrova con quelle azioni in mano perché ai tempi d’oro le loro banche si erano riempite di derivati. Commerzbank, nello specifico, aveva in pancia derivati pari al 500% del patrimonio. A questo punto, una volta rimesso in sesto l’istituto, in parallelo con quanto sta avvenendo con Mps, Olaf Scholz dovrebbe accompagnare le quote pubbliche verso il mercato. Non a caso e con una certa coerenza, la Bce benedice le mosse di Orcel. Ma la realtà è che la Germania ha capito che, vista la liquidità di Unicredit, la strategia di Gae Aulenti può portare a una impennata della presenza italiana in Germania. Quindi: quando faceva comodo, le fusioni erano spinte; adesso sono ostacolate. Quello tedesco non è nemmeno un caso isolato. Recentemente la Spagna ha bloccato l’Opa di una società ungherese verso i produttori di treni Telgo. In questo caso si teme che dietro ci siano fondi russi e si sventola il Golden power. Più assurdo è invece l’intervento del governo Sanchez nella vicenda Bbva-Banco Sabadell. Qui la partita è tutta interna al consesso spagnolo, ma rischia di minare i rapporti tra Madrid e Barcellona. Come sempre una banca vince e l’altra perde. E solo il vincitore prenderà le decisioni su investimenti e gestione della raccolta. Cioè la ricchezza prodotta in Catalogna. Il problema che abbiamo sempre sollevato su queste colonne. Le opportunità dell’unione bancaria in termini di concorrenza con i colossi extra Ue sono chiare, ma finché esistono fiscalità separata e Pil separati chi potrà mettere le mani sul risparmio di un’altra nazione ne avrà conquistato un pezzo di sovranità. La nostra pianura Padana da anni fa gola ai francesi. Non è una novità. E la realtà di questi giorni - la levata di scudi di Scholz contro Unicredit - è la sveglia che molti avrebbero dovuto aspettarsi. C’è la teoria dei report e delle missioni disegnate a tavolino da Bruxelles e dall’altra parte la realtà del business che deve fare i conti con la politica. Suggerimento non richiesto. Il sistema bancario americano cresce non perché il governo federale ha scritto piani quinquennali sul modello sovietico, ma perché la burocrazia è storicamente a dieta. Più leggeri, si corre.
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