
I due colossi del credito hanno licenziato i risultati trimestrali di bilancio. Gli svizzeri marciano spediti. Dopo tre anni in rosso, Db vede un po' di luce ma paga il gap di fiducia che penalizza l'economia tedesca.Due colossi bancari colpiti da crisi e scandali, che hanno seguito strade diverse per uscire dalle sabbie mobili, con risultati altrettanto differenti. Parliamo della banca svizzera Ubs e della tedesca Deutsche bank, che nei giorni scorsi hanno licenziato i risultati trimestrali di bilancio. Con differenze evidenti: mentre la banca elvetica guidata da Sergio Ermotti ha registrato, nel terzo trimestre, un utile netto in crescita del 32% su base annua a 1,2 miliardi di franchi svizzeri, il gruppo di Francoforte ha visto l'utile del trimestre scendere del 65% anno su anno a 229 milioni di euro, rispetto ai 649 milioni dello stesso trimestre del 2017. Nonostante questo, l'ad Christian Sewing ha fatto sapere che la tormentata banca tedesca è sulla buona strada per la ristrutturazione.Di certo entrambi gli istituti arrivano da anni molto difficili. Per Ubs il giorno zero è stato giusto dieci anni fa, il 16 ottobre del 2008, quando il governo svizzero annunciò che la maggiore banca del Paese era sul punto di fallire, per le conseguenze della crisi dei mutui subprime Usa, e che lo Stato sarebbe intervenuto in suo soccorso. Un intervento che costò alle casse pubbliche oltre 50 miliardi di franchi svizzeri: la Confederazione accordò infatti a Ubs un prestito da 6 miliardi di franchi da convertire in azioni, e la banca centrale, la Bns, prese in carico 45 miliardi di franchi in titoli tossici, che confluirono nel cosiddetto StabFund, fondo di stabilizzazione. Questa mossa ha però segnato l'inizio del rilancio di Ubs, che nel 2009 ha restituito il prestito e nel 2013 ha ricomprato da Bns lo Stabfund.L'istituto, che dal 2011 è guidato dal ceo Sergio Ermotti, nel 2014 ha realizzato un utile netto di 3,6 miliardi di franchi, in crescita del 12,6% rispetto all'esercizio precedente; nel 2015 il risultato netto è stato di 6,2 miliardi di franchi, ben il 79% in più rispetto al 2014. Sui bilanci successivi, quello del 2016 e del 2017, hanno pesato rispettivamente gli oneri legati alla ristrutturazione e alle questioni legali: nel 2016 l'utile netto di Ubs ha fatto segnare un calo del 47% rispetto all'anno precedente, a 3,3 miliardi di franchi. Nel 2017, definito dai vertici della banca svizzera come «un anno eccezionale», l'utile netto si è praticamente dimezzato a 1,165 miliardi di franchi, il 63,6% in meno dei 3,204 miliardi di franchi realizzati nel 2016, a causa della riforma fiscale degli Stati Uniti, che ha comportato una svalutazione senza la quale, secondo la banca, l'utile netto sarebbe aumentato del 26%.Sulla ristrutturazione della banca svizzera hanno pesato anche le conseguenze legali di alcuni errori commessi in passato. In Francia è ancora in corso un processo che vede alla sbarra la filiale locale di Ubs e sei dirigenti, accusati di aver agevolato un'evasione fiscale da oltre 10 miliardi di euro commessa da clienti facoltosi, tra il 2004 e il 2012. Per un caso analogo negli Usa la banca è stata condannata, nel 2009, a versare una multa da 780 milioni di dollari, mentre nel 2015 Ubs ha patteggiato con il fisco statunitense un'altra sanzione da 545 milioni di dollari, in relazione all'accusa di aver manipolato il mercato dei cambi.La strada sembra invece ancora in salita per Deutsche bank, che continua a pagare le conseguenze della crisi e delle politiche spericolate messe in atto soprattutto durante la gestione di Josef Ackermann, il manager svizzero che l'ha guidata dal 2002 al 2012, accumulando, tra l'altro, derivati per un'esposizione lorda di circa 361 miliardi di euro. I dati del terzo trimestre hanno visto un calo dell'utile del 65%, ma l'ad Christian Sewing ha fatto sapere: «Siamo sulla giusta via per chiudere l'anno in maniera profittevole per la prima volta dal 2014. I costi sono sotto controllo e abbiamo capitale a sufficienza per crescere». Lo scorso anno, infatti, per la terza volta consecutiva la banca tedesca ha chiuso in rosso, registrando un risultato netto negativo per 512 milioni di euro. Una perdita comunque in riduzione, dopo i -1,4 miliardi del 2016 e i -6,8 miliardi del 2015. Per tentare di raddrizzare la barra, proprio nel 2015 la banca aveva presentato un piano di ristrutturazione quinquennale che prevedeva forti tagli dei costi - e 9.000 dipendenti in meno - e il rilancio dell'attività come banca tradizionale. Non sono mancati anche scandali di ogni tipo, che hanno portato la banca a una serie di vertenze giudiziarie, quasi tutte chiuse sotto la gestione di John Cryan, il manager che ha preceduto Sewing. Deutsche bank ha dovuto infatti pagare 7,2 miliardi di dollari alle autorità Usa per questioni legate ai mutui subprime, 2,5 miliardi per la vicenda della manipolazione del tasso interbancario Libor e 588 milioni alle autorità di Usa e Gb per una storia di presunto riciclaggio di denaro russo. Di certo l'istituto tedesco ha gestito la crisi in maniera molto diversa da quella del vicino svizzero; ma appare altrettanto chiaro che le difficoltà di Deutsche Bank riflettono la situazione complessa dell'economia tedesca in generale.Lo mostra anche l'andamento dell'indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese del Paese, che a ottobre è calato a 102,8 punti, rispetto ai 103,7 di settembre. Sul dato, spiega l'istituto, incide l'insicurezza mondiale, che «sta sempre più penalizzando l'economia tedesca».
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