2022-06-22
Ballottaggi, il centrodestra non vuol vincere
Flavio Tosi e Federico Sboarina (Ansa)
Non solo Verona, dove prevalgono gli incagli personali e il vescovo si schiera contro il gender. In Sicilia Nello Musumeci annuncia che non si ricandida. Risse a Parma. E anche a Palermo, malgrado la vittoria, Lega, Fdi e Fi continuano a farsi dispetti.Al centrodestra restano 4 giorni per mettere da parte le beghe di cortile e per decidere se vincere la maggior parte dei ballottaggi alle Comunali di domenica 26 giugno. Si voterà in 13 comuni capoluogo: Alessandria, Cuneo, Como, Monza, Gorizia, Verona, Viterbo, Parma, Piacenza, Lucca, Frosinone, Catanzaro e Barletta. Ma vuole davvero vincere, il centrodestra? Al momento sembra di no: in molte città, anzi, è in preda a dispute personalistiche e spesso paradossali. La palma dello scontro intestino più masochista spetta a Verona, dove sei giorni fa il sindaco uscente Federico Sboarina, appoggiato da Fratelli d’Italia e Lega, ha rifiutato la proposta di un apparentamento con la lista di Flavio Tosi, di Forza Italia. I due, va detto, stanno riuscendo a fare perfino peggio di Montecchi e Capuleti. Già era stato un errore evidente andare divisi al primo turno, dove Sboarina ha incassato il 32,7% e Tosi il 23,8%. Ma oggi è ancor più evidente che i due candidati, assieme, valgono almeno il 55% dei voti, e potrebbero battere senza affanno Damiano Tommasi, l’aspirante sindaco del centrosinistra che al primo turno si è fermato al 39,7%. Invece prevalgono gli incagli personali, i litigi non si placano, e perfino i leader nazionali del centrodestra cincischiano. Sì, è vero: negli ultimi giorni Matteo Salvini ha definito un «errore madornale» il rifiuto opposto da Sboarina all’appoggio di Tosi (pur di non dargli qualche assessorato), e Giorgia Meloni ha confermato che «la priorità è blindare la coalizione». Ma il tempo passa, veloce, e a Verona nessuno fa un gesto rappacificatore. Perfino monsignor Giuseppe Zenti ha invitato i fedeli a valutare i programmi dei candidati, individuando «quali sensibilità e attenzioni riservano alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender», con quello che è stato letto come un richiamo contro Tommasi (il prelato ha chiesto anche di valutare positivamente chi si schieri a favore di «disoccupazione, povertà, disabilità, accoglienza dello straniero»).A Parma le cose non vanno diversamente. Perché il «candidato comune» del centrodestra, Pietro Vignali, è sostenuto in realtà solo da Lega e Forza Italia, e dopo aver incassato il 21,2% al primo turno dovrà vedersela con Michele Guerra, che con centrosinistra è uscito dal 12 giugno forte di un 44,2%. Mentre Fdi, che anche due domeniche fa aveva deciso di correre da sola con Priamo Bocchi (7,5%), ora non vuole apparentarsi con Vignali, e tutti si domandano il perché.Per fortuna ci sono anche Comuni dove la logica di coalizione resta… logica. Il 26 giugno, per esempio, Monza dovrà scegliere tra il sindaco uscente Dario Allevi, sostenuto da tutto il centrodestra (47,1% al primo turno), e l’avversario di centrosinistra Paolo Pilotto (40,1%). Dopo qualche incertezza, anche a Catanzaro Valerio Donato, candidato di Forza Italia e Lega (44% al primo turno) si è finalmente apparentato con la candidata di Fdi Wanda Ferro (9,2%) e domenica dovrebbe riuscire a battere il candidato del Pd Nicola Fiorita (31,7%). Anche a Lucca gli elettori dovranno fare una scelta secca tra il centrosinistra con Francesco Raspini (42,6% al primo turno) e il centrodestra con Mario Pardini (34,3%): qui l’unico brivido polemico viene dalla decisione dell’estrema destra di Casa Pound di appoggiare Pardini (ma la sinistra che oggi si scandalizza dimentica che nel 2021 Michele Emiliano, presidente Pd della Regione Puglia, sostenne con forza la candidatura di Pippi Mellone, sindaco di Casa Pound a Nardò). Resta il fatto che il nervosismo di coalizione è alle stelle. E la gara per la sua leadership rischia di trasformarsi in autogol. Basta guardare in Sicilia. Dopo la vittoria del centrodestra a Palermo, dove il candidato sindaco Roberto Lagalla ha trionfato al primo turno con il 48%, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia continuano a farsi dispetti. Una delle cause sta nelle divisioni emerse nel voto a Messina, dove il partito di Salvini è andato per conto suo con Federico Basile (eletto sindaco con il 45,5%) mentre il resto della coalizione ha appoggiato Maurizio Croce (27,8%). Così, dal 12 giugno, i litigi sono continui. Tre giorni fa Gianfranco Micciché, coordinatore azzurro nell’isola, ha accusato il governatore Nello Musumeci, vicino a Fdi, di «non passare mai la palla». Risultato: lunedì Musumeci ha sbottato un «toglierò il disturbo» che pare significare che non si ricandiderà, ma soprattutto rischia di spaccare tutto. Un vero peccato per il centrodestra, tutte queste diatribe. Perché il momento sarebbe il più positivo da molti anni: i grillini sono ormai devastati al loro interno e risalgono in disordine le valli elettorali che nel 2018 avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Mentre il Pd è isolato e appeso all’improvvida alleanza con Giuseppe Conte e al «campo largo» deciso da Enrico Letta, che oggi in realtà assomiglia desolatamente a un «camposanto largo». Nella paradossale tempesta politica del centrodestra, brilla come non mai il faro di Silvio Berlusconi: «Oggi dobbiamo essere uniti», ripete il fondatore di Forza Italia, «senza perderci in questioni sterili». Come dire: pensiamo a vincere. Di leadership ci occuperemo a tempo debito. Lo ascolteranno, gli alleati?
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 16 settembre con Carlo Cambi
Il killer di Charlie Kirk, Tyler Robinson (Ansa)