2019-09-28
Babbo Boschi come babbo Tiziano. Rischia pure lui l’imputazione coatta
Il 4 ottobre udienza sulla richiesta di archiviazione, che non convince il gip, per il papà dell'ex sottosegretaria inquisito per il crac di Banca Etruria. All'orizzonte anche un secondo processo per consulenze milionarie. Se Matteo Renzi assisterà ai processi dei parenti da segretario di Italia viva e da ago della bilancia del governo, Maria Elena Boschi seguirà le vicissitudini giudiziarie del padre da capogruppo del neonato partito renziano. Infatti il genitore sta rischiando ben due processi collegati al crac di Banca Etruria, ma sui giornali non vi è traccia di questa notizia. Sotto accusa sono le decisioni prese dal consiglio d'amministrazione della Bpel ai tempi in cui ne faceva parte il signor Pier Luigi: un procedimento riguarda 6,27 milioni di euro di consulenze deliberate con l'istituto già a rischio default, e l'altro ha al centro la buonuscita da 1,2 milioni concordata con l'ex dg, Luca Bronchi, nell'estate del 2014. All'epoca Boschi senior era qualcosa di diverso da un semplice vicepresidente senza deleghe: la figlia era da pochi mesi potente ministro del nuovo gabinetto Renzi e lui era stato promosso sulla fiducia. In quella veste aveva deciso di dare il suo contributo al salvataggio della banca e insieme con il presidente Lorenzo Rosi andò alla ricerca di un nuovo dg e di soci negli uffici sbagliati, in particolare in quello del faccendiere Flavio Carboni, condannato per il crac del Banco Ambrosiano. Carboni e il suo spicciafaccende, il massone Valeriano Mureddu (sono entrambi a processo per riciclaggio e altri reati ad Arezzo), erano diventati i referenti del duo Rosi-Boschi. Centinaia di migliaia di euro riciclati e destinati a Carboni e alla moglie passarono da un conto di Etruria e nello stesso periodo il vicepresidente organizzò un incontro tra i vertici della banca e un oscuro pachistano che si proponeva come finanziatore e che era sponsorizzato dalla banda Carboni. La stessa che intavolò una trattativa per l'acquisto della banca tramite un fantomatico fondo del Qatar. Ovviamente nessuna di queste operazioni di soccorso andò a buon fine e la Bpel affondò miseramente. Per questo la Procura guidata da Roberto Rossi aprì un fascicolo e tra gli episodi che avrebbero portato al crac venne inserita anche l'erogazione della liquidazione di Bronchi. Nel 2016 i pm chiesero il sequestro di parte del gruzzolo (il dg, secondo i magistrati, non avrebbe avuto diritto a 16 mensilità per un importo di 475.000 euro netti); il gip Annamaria Loprete avallò l'istanza, correggendo, però l'impostazione iniziale degli inquirenti: il pagamento della buonuscita, scrisse, doveva essere contestato ai soli protagonisti della trattativa, ossia lo stesso ex dg e il presidente Rosi, mentre gli altri membri del cda, che il 30 giugno 2014 avevano votato a favore della liquidazione, andavano prosciolti, visto che non avrebbero avuto il tempo e il modo di approfondire la questione. Bronchi, che ha scelto il rito abbreviato, è stato condannato a cinque anni per bancarotta fraudolenta per questo e altri episodi. Per Rosi, invece, è in corso il processo ordinario. Per tutti gli altri indagati (sono 11, da Boschi senior a Claudia Bugno, già consigliere del ministro dell'Economia, Giovanni Tria), nel 2018, dopo mesi di silenzio, la Procura di Arezzo ha deciso di chiedere l'archiviazione. Ma a giugno è arrivata la botta. Il gip Piergiorgio Ponticelli ha fissato un'udienza per il 4 ottobre per discutere della richiesta di archiviazione per la liquidazione di Bronchi. Una decisione che potrebbe essere propedeutica alla richiesta di imputazione coatta. In una situazione analoga si trova Tiziano Renzi: nel luglio scorso il gip romano Gaspare Sturzo ha respinto la richiesta di archiviazione nei suoi confronti nell'ambito dell'inchiesta Consip e ha fissato un'udienza per il prossimo 14 ottobre che non lascia presagire buone nuove per il babbo dell'ex premier e altri nove indagati (tra cui Luca Lotti). Ritornando a Boschi senior, non è chiaro se il gip aretino Ponticelli abbia individuato profili di bancarotta fraudolenta o se invece ritenga che possa configurarsi una bancarotta colposa. Reato per cui la Procura di Arezzo, sempre a giugno, ha inviato a 17 indagati un avviso di chiusura indagini per la vicenda delle consulenze d'oro pagate da Etruria. Nelle prossime settimane potrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio. Uno dei capi d'accusa chiama in causa più di altri babbo Boschi e riguarda i contratti con la società milanese Bain & co. (2 milioni in tutto). In particolare si fa riferimento a una «delibera senza data avente a oggetto l'incarico di “sviluppare i risultati commerciali e creditizi" a fronte della quale veniva corrisposta la somma complessiva di euro 389.180 (spalmata su due distinte fatture) delibera che veniva adottata “fuori procedura" e senza un numero di regolare protocollazione. Somme, poi, effettivamente corrisposte nonostante che la Bain & co. non avesse provveduto ad alcuna elaborazione del nuovo Piano industriale […] e quanto, alla ulteriore attività, non avesse prodotto alcuna documentazione attestante le prestazioni rese, bensì mere slide di natura illustrativa». Nel dicembre 2017 avevamo anticipato questo filone investigativo e avevamo raccontato di un pizzino sequestrato dalla Guardia di finanza durante le indagini con il nome di Pier Luigi Boschi. Nell'articolo si leggeva: «Su una proposta di delibera che il dg (in quel momento il dimissionario Bronchi) manda al Cda per il pagamento di due fatture di circa 400.000 euro di importo totale c'è un'annotazione manoscritta: “Non inserita in procedura come da accordi con Boschi e Cuccaro". Non si sa chi abbia scritto la nota a margine, ma il senso è: va pagata per ordine di Boschi e Cuccaro (all'epoca vice direttore generale e per alcuni mesi sostituto dello stesso Bronchi) anche se non rispetta le procedure interne». Ora Boschi senior rischia il processo anche per quel pizzino.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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