2025-06-25
«Il regime degli ayatollah è debole. Siamo a una svolta, va abbattuto»
L’attivista Aysan Ahmadi: «Una certa propaganda fa presa anche in Occidente».Clicca QUI per vedere il video dell'intervista.Sono i persiani a levare la propria voce contro il dispotismo degli ayatollah. E tra le tante voci c’è quella di Aysan Ahmadi, dissidente iraniana e volto della diaspora che chiede libertà per il proprio Paese, videointervistata dal vicedirettore della Verità, Claudio Antonelli. L’attacco condotto dagli Stati Uniti contro postazioni strategiche in Iran e i raid israeliani su simboli del regime, ivi compreso il carcere dove vengono detenuti i prigionieri politici, segnano uno spartiacque. Per Ahmadi, «sono stati atti giusti». Nonostante il dolore personale di vedere colpita la città dove è nata, l’attivista non ha dubbi: «Quei bombardamenti hanno eliminato figure chiave dei pasdaran, responsabili di decenni di repressione e morte».Da anni la Ahmadi, venuta in Italia dapprima per studiare e poi rimasta per non dover tornare sotto il giogo sciita, è diventata un punto di riferimento della protesta iraniana all’estero, soprattutto dopo l’esplosione del movimento «Donna, vita, libertà». Oggi le sue parole delineano un’istanza precisa: «Questa guerra non può restare a metà. Deve portare al cambiamento definitivo del regime. Il vero nemico del popolo iraniano non è Israele, non è l’Occidente. È la Repubblica islamica».Per la dissidente, il cambio di regime è non solo auspicabile ma inevitabile. E ha un nome e un volto: quello del principe Reza Pahlavi, figlio di Reza I, ultimo scià di Persia, e della regina Farah Diba. La sua figura è un riferimento per molti iraniani dentro e fuori dal Paese. «Il popolo lo invoca da anni durante le proteste, è l’unico in cui ripone fiducia. Ha già dichiarato la sua disponibilità a guidare una transizione verso un referendum democratico. L’alternativa non esiste: altri nomi, anche tra i cosiddetti riformisti o nella cerchia dei Khamenei, non hanno alcuna legittimità popolare».Ma ogni cambio di potere ha bisogno del sostegno delle forze armate. Su questo resta cauta, ma lascia intendere che all’interno della stessa macchina repressiva iraniana si stiano aprendo delle crepe. «Alcuni ex membri del regime stanno passando dalla parte del popolo. È una rete diffusa, che lavora anche con l’opposizione all’estero, e ha già piani concreti per i primi cento giorni post regime».La posta in gioco è alta anche sul fronte mediatico. «La propaganda della Repubblica islamica», racconta Ahmadi, «ha saputo insinuarsi anche in Occidente, confondendo l’opinione pubblica. Noi iraniani siamo cresciuti con l’odio obbligato verso Israele e America. Ma ciò che stupisce è vedere che la stessa narrativa prende piede anche qui, dove si fatica a riconoscere gli attacchi terroristici per ciò che sono. È la stessa macchina che quarant’anni fa screditava lo scià per giustificare l’ascesa dell’ayatollah Ruhollah Khomeini».Oggi il regime iraniano è, secondo l’esule, più debole che mai. Non solo internamente, ma anche sul piano internazionale. «La guida suprema Khamenei è scomparsa da giorni. Le alleanze traballano. Né Cina né Russia, che pure hanno sostenuto il regime per interesse, sembrano disposte a legarsi ancora a un potere così isolato. I segnali sono chiari: Hezbollah ha fatto sapere che Teheran deve cavarsela da sola. I ministri iraniani devono chiedere il permesso a Israele per volare. Siamo a un punto di svolta».Ahmadi teme, però, che l’inerzia dell’Occidente possa ancora una volta tradire il popolo iraniano. «Se la Repubblica islamica dovesse sopravvivere, anche solo come simulacro, sarà la vendetta. Stanno già minacciando pubblicamente di colpire chiunque sia considerato collaborazionista». Il mondo libero ha una responsabilità storica: «Dire solo “no alla guerra” non basta. Dovete sostenere il nostro popolo, che da 46 anni vive sotto dittatura. Non per imporre una forma di governo, ma per permettere agli iraniani di sceglierla da sé, finalmente».
Ursula von der Leyen (Getty Images)