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2018-04-27
Avvoltoi global su Alfie in nome dello ius soli
ANSA
Il caso Alfie ha scoperchiato il disordine morale dell'ideologia globalista. Chi predica il verbo dell'accoglienza, che poi equivale alla deportazione dei popoli e al depauperamento del continente africano, non si scompone se al piccolo Evans, cittadino italiano, le corti britanniche hanno vietato l'espatrio come a un criminale. I cantori dell'immigrazione selvaggia, per i quali la soppressione di Alfie è diventata una questione di principio, si stanno servendo dell'ondata di indignazione che ha sollevato la tragedia del neonato per confezionare un vergognoso spot in favore dello ius soli.
È il caso di Francesco Rocca, presidente della Croce rossa, che commentando la proposta di Angelino Alfano e Marco Minniti di concedere la cittadinanza italiana ad Alfie, ha partorito una grottesca tirata sulle sofferenze dei bambini nel mondo: «Se la vita è correttamente un diritto», ha argomentato Rocca, «dobbiamo ricordarci anche che le vite sono tutte uguali. E allora ci piacerebbe vedere tutti quelli che hanno seguito questi casi di attualità o quelli che hanno incensato il governo per la decisione sulla cittadinanza, fare lo stesso per ogni bambino che vediamo morire o soffrire atrocemente. Invece, molte volte, gli stessi tanto interessati ai temi della cosiddetta bioetica sono quelli che poi voltano le spalle a chi muore in mare, a chi viene bombardato in Yemen on in Siria, a chi viene torturato in Libia, a chi viene trucidato in una delle tante guerre dimenticate nel continente africano». Un ragionamento, a volerlo definire tale, completamente sgangherato. Classico sintomo della patologia dell'universalismo etico, che vorrebbe abbracciare il mondo in un unico afflato, ma ignora l'uomo agonizzante che incontra lungo il cammino.
La tesi strampalata, in sostanza, sembra essere che se non salviamo tutti, soccorrere uno è illegittimo. Tanto più poiché quell'uno patisce le pene, per usare una perifrasi mutuata dall'eugenetica nazista, di una «vita indegna di essere vissuta». È la teoria di Zita Dazzi, giornalista del quotidiano La Repubblica, cui l'intervento dei nostri ministri di Esteri e Interni non è andato proprio giù: «Non converrebbe dare la cittadinanza», ha twittato, «invece che al piccolo Alfie che è praticamente morto, alle migliaia di bambini africani vivi che rischiano di morire mentre attraversano il canale di Sicilia?». Lasciate che i morti stacchino il respiratore ai loro morti. Noi dobbiamo preoccuparci di alimentare il traffico di esseri umani, promuovendo le migrazioni che strappano dalla loro terra intere comunità, assicurano ai mercati globali l'esercito industriale di riserva e provocano conseguenze culturalmente e socialmente devastanti nei Paesi di arrivo. I progressisti amano tanto i bimbi africani, da accanirsi su Alfie, che ha la colpa di aver attirato la nostra compassione.
Era stato proprio il giornale diretto da Mario Calabresi a lanciare l'invereconda strumentalizzazione del piccolo Evans. Michela Marzano, in un articolo che ha scatenato lo sdegno di molti lettori, aveva invocato «l'attribuzione della nazionalità italiana anche a tutti quei ragazzi e quelle ragazze nati in Italia e che, ancora oggi, sono considerati stranieri». Alfie trasformato in uno slogan che manderebbe in visibilio Cécile Kyenge.
Un neonato sofferente, i cui genitori chiedono soltanto il diritto di tentare un'ultima cura ed eventualmente di accompagnarlo con amorevolezza alla sua fine naturale, trattato come un rifiuto che, prima di essere eliminato, merita di diventare bersaglio del livore dei fan dello ius soli. Si può andare a morire nelle cliniche in Svizzera, ma non al Bambino Gesù.
C'è pure chi fa dell'ironia, come Alessandro Capriccioli, consigliere regionale eletto nel Lazio per la lista della rinomata abortista Emma Bonino. Su Facebook, il segretario dei Radicali romani si fa beffe del bimbo che versa «in stato neurovegetativo», chiedendo, se non «la concessione della cittadinanza, molto più modestamente il rilascio di un permesso di soggiorno» ai migranti.
I caritatevoli paladini dell'umanitarismo non reggevano il pensiero che l'Italia offrisse aiuto ad Alfie, ma non si sobbarcasse l'onere di risolvere tutti i mali del pianeta. Tra l'altro, questi predicatori ricolmi di nobili sentimenti dovrebbero spiegarci quante persone il nostro Paese avrebbe lasciato annegare nel Mediterraneo: da sette anni gli italiani sono impegnati in operazioni di pattugliamento e soccorso e, nel nome della solidarietà, hanno lasciato che il canale di Sicilia diventasse zona franca per i traffici delle Ong.
I mondialisti amano l'umanità in astratto, ma sono incapaci di amare l'uomo in concreto. Lo aveva capito Gilbert Keith Chesterton, il quale, notando che umanisti e umanitaristi si professavano atei, qualificò il loro operato con amara ironia: «Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell'umanità, finiscono per combattere la libertà e l'umanità pur di combattere la Chiesa».
Alessandro Rico
Papà Tom scatenato «Siamo degli ostaggi, l’ospedale ci odia Francesco venga qui»
Da quando il sogno di trasferire Alfie all'ospedale Bambino Gesù per essere curato si è spezzato, per colpa di un'altra sentenza negativa da parte dei giudici, l'unico desiderio dei suoi genitori è sempre stato quello di portarlo a casa. «Ci hanno vietato di andare in Italia sfortunatamente», ha detto papà Tom ieri mattina presto, di fronte ai microfoni dei giornalisti riuniti davanti all'Alder Hey Hospital di Liverpool.
«Potremmo spostarlo a Roma più avanti, ma sarebbe la cosa giusta da fare o finiremmo al centro delle critiche? Quello che chiediamo è solo di incontrare i medici e trasferire il piccolo a casa». Secondo il racconto del padre, ormai Alfie non ha più bisogno di cure intensive. Sta nel suo letto, con un litro di ossigeno che va nel suoi polmoni da una fonte esterna e per il resto se la cava. «Qualcuno dice che si tratta di un miracolo, altri lo negano. Per me non è un miracolo, è una diagnosi errata. Ormai sono giorni che è senza la ventilazione automatica e non ci sono stati peggioramenti. Non si è svegliato, è ancora debole. Vogliamo portarlo a casa e continuare a tenerlo in vita». Una posizione che i genitori del piccolo hanno ribadito anche davanti ai medici, che hanno incontrato nel pomeriggio. Al termine dell'incontro, Tom è apparso più conciliante, affermando di voler lavorare con i medici per garantire ad Alfie «la dignità e il conforto di cui ha bisogno». L'uomo ha detto che la famiglia intende «costruire un rapporto» con l'ospedale. Ha poi fatto un appello alla privacy: «Apprezziamo tutto il sostegno che abbiamo ricevuto da tutto il mondo, inclusi i nostri sostenitori italiani e polacchi, che hanno dedicato il loro tempo e supporto alla nostra incredibile lotta. Ora vi chiediamo di tornare alla vita di tutti i giorni e permettere a me, Kate e all'Alder hey di creare una relazione».
Nel corso della giornata, prima del confronto con gli uomini di scienza, Tom Evans aveva parlato molto, di diverse questioni, alternando dichiarazioni serene ad accuse ispirate dal nervosismo e complicate dalla stanchezza di tre giorni senza sonno. Nei momenti più critici aveva detto che «i medici ci odiano perché non siamo come loro», accusandoli di «guardarci dall'alto» e di trattarli da «criminali». Più volte, in compenso, ha confermato la sua riconoscenza al nostro Paese, visto che in questa folle vicenda di malattia, leggi e amore familiare, l'Italia sta giocando un ruolo di primo piano. «Grazie Italia, ti amiamo», ha detto mister Evans, «Alfie fa parte della famiglia italiana, è un pezzo d'Italia. Noi sentiamo di appartenere all'Italia». La cittadinanza che il bimbo ha ricevuto è solo un segno che il consenso e il sostegno da parte del Paese sono forti, come dimostra il fatto che nel pomeriggio di ieri un sostenitore del bimbo ha collocato un Tricolore su un palo della luce davanti all'ospedale. Tom Evans e la sua compagna Kate James guardano Oltremanica con affetto. Anzi, è probabile che in questi giorni di preoccupazione sentano Roma più vicina di Londra, anche se ieri pomeriggio a Westminster, sommersa di cittadini in assetto da protesta pronti a marciare per la città, il deputato Steven Woolfe ha lanciato una campagna per modificare la normativa che riguarda i casi simili a quelli di Alfie o di Charlie Gard. L'idea del parlamentare è di definire una norma che sostenga i genitori nell'affermazione dei loro diritti per la tutela dei figli. Battaglie legali come quella portata avanti dalla famiglia di Charlie Gard lo scorso anno e adesso da quella di Alfie Evans non si dovrebbero ripetere, perchè risultano estenuanti e dolorose, in un contesto di grave malattia infantile che è già di per sè molto pesante.
Legislazione a parte, ieri il papà del bimbo di 23 mesi affetto da una grave malattia neurologica, peraltro mai precisamente diagnosticata, ha fatto appello anche al Pontefice. «Chiedo al Papa di venire qui e vedere quello che sta succedendo», ha detto ad alta voce, con il tono della disperazione, «vieni a vedere come mio figlio è tenuto in ostaggio da questo ospedale. Quello che noi tutti stiamo subendo è sbagliato». L'invito rivolto a Papa Francesco è arrivato dopo che Tom Evans ha ribadito come la resistenza del piccolo paziente abbia stupito anche le infermiere dell'ospedale. «Alfie vive bene, sereno, felice, senza il ventilatore. Mi sembra abbastanza per dimostrare che i medici hanno sbagliato». In mattinata, peraltro, Tom Evans aveva anche lanciato un'accusa pesante all'ospedale, convinto che questa fretta di «terminare» suo figlio dipendesse solo da una questione economica. «Non è una faccenda di costi, non ci devono essere costi, si deve badare solo ad Alfie», ha detto davanti alle telecamere del programma Good Morning Britain, prima che le sue parole venissero rapidamente sfumate, con la rabbia conseguente degli spettatori.
Caterina Belloni
Monsignor MacMahon: «Qui tuteliamo i bambini»
Dopo la sentenza di mercoledì che ribadiva l'indisponibilità dei medici e dei giudici inglesi al trasferimento di Alfie Evans all'ospedale Bambino Gesù, nonché il divieto di mandarlo subito a casa, l'isolamento della famiglia Evans si è fatto ancora più desolante. Anche spiritualmente.
Ormai nella stanza in cui è recluso il piccolo Alfie possono entrare solo il padre e la madre, nemmeno altri famigliari, seppure perquisiti. E poi è stato allontanato definitivamente don Gabriele Brusco, il sacerdote italiano appartenente all'ordine dei Legionari di Cristo che fino a mercoledì sera era ammesso nella stanza dell'ospedale dell'Alder hey.
Ufficialmente richiamato dal parroco londinese dove presta servizio, però le cronache raccontano che al momento di entrare in stanza si sarebbe sentito dire: «Mi hanno dato disposizione di non farla passare. Mi dispiace». Tom, Kate e Alfie, hanno appreso solo al telefono che il loro conforto spirituale se ne andava.
Don Gabriele ha somministrato l'unzione degli infermi e poi il sacramento della cresima ad Alfie, ed era in qualche modo la persona che fisicamente rappresentava il desiderio di papa Francesco di restare accanto alla famiglia. Qualche dubbio su come abbia potuto realizzarsi l'allontanamento di padre Gabriele lo hanno sollevato le considerazioni che il giornale inglese The Tablet ha fatto a margine di alcune dichiarazioni rilasciate dal vescovo di Liverpool, monsignor Malcom MacMahon, dopo che mercoledì ha incontrato il Papa a Roma in seguito alla tradizionale udienza in piazza San Pietro.
«L'unzione di coloro che sono malati o in uno stato di salute grave è offerto per consolare e aiutare, ma anche in base al presupposto che l'individuo abbia peccato in qualche modo». Questa la chiosa giornalistica che seppur formalmente corretta ha tutto il sapore di una bacchettata sulle dita di padre Gabriele. Parole scritte a margine di dichiarazioni dello stesso vescovo che lasciano senza parole. Il pastore della chiesa di Liverpool, quindi colui che dovrebbe essere più vicino ad Alfie e alla sua famiglia, ha dichiarato: «Sono cosciente della compassione che il popolo italiano dimostra in maniera così caratteristica verso chi è nel bisogno, e in questo caso per Alfie. Ma so che i sistemi legali e medici nel Regno Unito sono anche basati sulla compassione e la salvaguardia dei diritti del singolo bambino».
Al Papa il presule si sarebbe però limitato a dire che «i cattolici di Liverpool hanno il cuore spezzato per Alfie e i suoi genitori» e continuano a pregare. Talmente spezzato, verrebbe da dire, che però il vescovo non esita a difendere l'operato di medici e giudici che vedono la morte come unico «best interest» per il bambino. Molto diverse le parole che don Gabriele rilasciava solo un paio di giorni fa a Repubblica. «Rimarrò qui accanto al suo letto», dichiarava il sacerdote, «anche nelle prossime ore e nei prossimi giorni fin quando dalla Santa Sede non riceverò nuove indicazioni. Resto qui come prete e come uomo perché, se fossi stato anche io un padre così come lo è Tom, avrei fatto di tutto per salvare mio figlio senza mai arrendermi anche di fronte alla sentenza di un giudice che non mi sta permettendo di ricevere il sostegno da chi vuol aiutare mio figlio in fin di vita». Sono state nuove indicazioni provenienti dal Vaticano, magari su pressione dei vescovi inglesi, ad allontanare don Gabriele? Quello che sappiamo è che l'ausiliare di Liverpool ha telefonato a padre Gabriele per chiedergli conto della sua presenza lì, e anche l'ausiliare del cardinale di Westminster, Vincent Nichols, si era fatto sentire con una mail al prete italiano. Il Papa dice una cosa e la Chiesa inglese gli fa da controcanto? Non è un bell'esempio di pluriformità della Chiesa, anche perché nel frattempo Alfie respira.
Lorenzo Bertocchi
La polizia inglese minaccia chi contesta sui social

LaPresse
Che nella vicenda del piccolo Alfie Evans la libertà non sia un valore tenuto troppo in considerazione dalle istituzioni britanniche, le quali hanno più volte negato ai genitori del bambino la possibilità di portarlo in Italia per essere assistito, è cosa ormai nota. Meno noto, ma non meno preoccupante, è l'intervento delle forze di polizia inglesi che , per bocca dell'ispettore capo Chris Gibson, hanno preso pubblicamente posizione dichiarando che controlleranno e perseguiranno le «comunicazioni malevole» che sui fatti verranno diffuse. Un avvertimento, postato quello sulla pagina Facebook della Merseyside police, nel quale è stato fatto anche un esplicito richiamo a possibilità di «azioni legali».
Come prevedibile, le reazioni degli utenti alla comunicazione delle polizia di sua maestà - giudicata intimidatoria, se non orwelliana - non si sono fatte attendere. Anzi, se possibile questa presa di posizione ha ulteriormente arroventato gli animi su una vicenda nella quale l'operato degli agenti aveva già suscitato parecchie perplessità. A colpire, nei giorni scorsi, era stata in particolare una foto dell'ingresso dell'Alder hey children hospital, la struttura di Liverpool che ha in cura Alfie, nella quale si poteva in effetti osservare un dispiegamento di forze dell'ordine imponente. Un vero e proprio cordone di agenti che pare duri tutt'ora.
Non solo. Nella serata di lunedì, quando al piccolo Evans è stata sottratta la ventilazione meccanica che da 15 mesi lo aiutava nella respirazione, si è parlato addirittura di una trentina di agenti attivi nel piantonare la sua stanza. Un impiego visto da molti, anche in Italia, come provocatorio e totalmente fuori luogo. Allo stesso modo sta indignando la voce secondo cui gli stessi familiari di Alfie, prima di poterlo visitare, sarebbero da diverse ore oggetto di attente «perquisizioni» finalizzate ad evitare che al bambino venga portato qualsiasi cosa che esuli dalle draconiane indicazioni dei medici dell'Alder hey.
Inoltre, da mercoledì sera, è stato definitivamente allontanato dall'ospedale padre Gabriele, il quale pareva potesse contare, per quanto riguarda la sua presenza, su un'importante copertura diplomatica, e invece è stato richiamato a Londra dal suo parroco in fretta e furia senza aver neppure il tempo, sembra, di salutare i genitori di Alfie, ai quali prestava assistenza spirituale. Comprensibile dunque, alla luce di tutto questo, l'irritazione suscitata dall'avviso della polizia inglese, in risposta al quale centinaia di utenti, stupiti anche dalla genericità del monito - cosa vuol dire «comunicazioni malevole»? - ne hanno alluvionato la pagina Facebook con critiche anche molto accese.
La sensazione maggiormente condivisa è che le istituzioni inglesi, da una parte isolando progressivamente Thomas Evans, l'agguerrito padre di Alfie, e dall'altra con l'esplicita minaccia azioni legali verso tutti coloro che sui social stanno tenendo alta l'attenzione sul caso, vogliano far spegnere i riflettori da giorni ininterrottamente accesi sull'Alder hey, le cui posizioni sono state peraltro ripetutamente sposate dalla magistratura. Più che di un avvertimento vero e proprio, quello della Merseyside police sarebbe dunque una mossa strategica finalizzata a distogliere l'attenzione dal piccolo Alfie Evans. Questo perché se il suo caso, sotto il profilo giudiziario, pare chiuso, a livello mediatico è invece tutt'ora più aperto che mai; e c'è da scommettere che la cosa dia un certo fastidio.
Giuliano Guzzo
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Sinistra scatenata contro il piccolo britannico: ironie e paragoni insensati con la cittadinanza agli immigrati la fanno da padrone. Dopo giornalisti e politici, persino il presidente della Croce rossa prende spunto dalle cronache per fare uno spot all'accoglienza. Il papà durissimo, poi l'incontro con i dottori e la svolta: «Chiediamo rispetto e silenzio, ora costruiamo un rapporto». Il vescovo di Liverpool ha più fede nei medici e nei giudici che nel Papa. E le forze dell'ordine avvertono: «Controlliamo tutte le comunicazioni malevole in Rete, si rischiano azioni legali». Lo speciale contiene quattro articoli. Il caso Alfie ha scoperchiato il disordine morale dell'ideologia globalista. Chi predica il verbo dell'accoglienza, che poi equivale alla deportazione dei popoli e al depauperamento del continente africano, non si scompone se al piccolo Evans, cittadino italiano, le corti britanniche hanno vietato l'espatrio come a un criminale. I cantori dell'immigrazione selvaggia, per i quali la soppressione di Alfie è diventata una questione di principio, si stanno servendo dell'ondata di indignazione che ha sollevato la tragedia del neonato per confezionare un vergognoso spot in favore dello ius soli. È il caso di Francesco Rocca, presidente della Croce rossa, che commentando la proposta di Angelino Alfano e Marco Minniti di concedere la cittadinanza italiana ad Alfie, ha partorito una grottesca tirata sulle sofferenze dei bambini nel mondo: «Se la vita è correttamente un diritto», ha argomentato Rocca, «dobbiamo ricordarci anche che le vite sono tutte uguali. E allora ci piacerebbe vedere tutti quelli che hanno seguito questi casi di attualità o quelli che hanno incensato il governo per la decisione sulla cittadinanza, fare lo stesso per ogni bambino che vediamo morire o soffrire atrocemente. Invece, molte volte, gli stessi tanto interessati ai temi della cosiddetta bioetica sono quelli che poi voltano le spalle a chi muore in mare, a chi viene bombardato in Yemen on in Siria, a chi viene torturato in Libia, a chi viene trucidato in una delle tante guerre dimenticate nel continente africano». Un ragionamento, a volerlo definire tale, completamente sgangherato. Classico sintomo della patologia dell'universalismo etico, che vorrebbe abbracciare il mondo in un unico afflato, ma ignora l'uomo agonizzante che incontra lungo il cammino. La tesi strampalata, in sostanza, sembra essere che se non salviamo tutti, soccorrere uno è illegittimo. Tanto più poiché quell'uno patisce le pene, per usare una perifrasi mutuata dall'eugenetica nazista, di una «vita indegna di essere vissuta». È la teoria di Zita Dazzi, giornalista del quotidiano La Repubblica, cui l'intervento dei nostri ministri di Esteri e Interni non è andato proprio giù: «Non converrebbe dare la cittadinanza», ha twittato, «invece che al piccolo Alfie che è praticamente morto, alle migliaia di bambini africani vivi che rischiano di morire mentre attraversano il canale di Sicilia?». Lasciate che i morti stacchino il respiratore ai loro morti. Noi dobbiamo preoccuparci di alimentare il traffico di esseri umani, promuovendo le migrazioni che strappano dalla loro terra intere comunità, assicurano ai mercati globali l'esercito industriale di riserva e provocano conseguenze culturalmente e socialmente devastanti nei Paesi di arrivo. I progressisti amano tanto i bimbi africani, da accanirsi su Alfie, che ha la colpa di aver attirato la nostra compassione. Era stato proprio il giornale diretto da Mario Calabresi a lanciare l'invereconda strumentalizzazione del piccolo Evans. Michela Marzano, in un articolo che ha scatenato lo sdegno di molti lettori, aveva invocato «l'attribuzione della nazionalità italiana anche a tutti quei ragazzi e quelle ragazze nati in Italia e che, ancora oggi, sono considerati stranieri». Alfie trasformato in uno slogan che manderebbe in visibilio Cécile Kyenge. Un neonato sofferente, i cui genitori chiedono soltanto il diritto di tentare un'ultima cura ed eventualmente di accompagnarlo con amorevolezza alla sua fine naturale, trattato come un rifiuto che, prima di essere eliminato, merita di diventare bersaglio del livore dei fan dello ius soli. Si può andare a morire nelle cliniche in Svizzera, ma non al Bambino Gesù. C'è pure chi fa dell'ironia, come Alessandro Capriccioli, consigliere regionale eletto nel Lazio per la lista della rinomata abortista Emma Bonino. Su Facebook, il segretario dei Radicali romani si fa beffe del bimbo che versa «in stato neurovegetativo», chiedendo, se non «la concessione della cittadinanza, molto più modestamente il rilascio di un permesso di soggiorno» ai migranti. I caritatevoli paladini dell'umanitarismo non reggevano il pensiero che l'Italia offrisse aiuto ad Alfie, ma non si sobbarcasse l'onere di risolvere tutti i mali del pianeta. Tra l'altro, questi predicatori ricolmi di nobili sentimenti dovrebbero spiegarci quante persone il nostro Paese avrebbe lasciato annegare nel Mediterraneo: da sette anni gli italiani sono impegnati in operazioni di pattugliamento e soccorso e, nel nome della solidarietà, hanno lasciato che il canale di Sicilia diventasse zona franca per i traffici delle Ong. I mondialisti amano l'umanità in astratto, ma sono incapaci di amare l'uomo in concreto. Lo aveva capito Gilbert Keith Chesterton, il quale, notando che umanisti e umanitaristi si professavano atei, qualificò il loro operato con amara ironia: «Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell'umanità, finiscono per combattere la libertà e l'umanità pur di combattere la Chiesa». 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Quello che chiediamo è solo di incontrare i medici e trasferire il piccolo a casa». Secondo il racconto del padre, ormai Alfie non ha più bisogno di cure intensive. Sta nel suo letto, con un litro di ossigeno che va nel suoi polmoni da una fonte esterna e per il resto se la cava. «Qualcuno dice che si tratta di un miracolo, altri lo negano. Per me non è un miracolo, è una diagnosi errata. Ormai sono giorni che è senza la ventilazione automatica e non ci sono stati peggioramenti. Non si è svegliato, è ancora debole. Vogliamo portarlo a casa e continuare a tenerlo in vita». Una posizione che i genitori del piccolo hanno ribadito anche davanti ai medici, che hanno incontrato nel pomeriggio. Al termine dell'incontro, Tom è apparso più conciliante, affermando di voler lavorare con i medici per garantire ad Alfie «la dignità e il conforto di cui ha bisogno». L'uomo ha detto che la famiglia intende «costruire un rapporto» con l'ospedale. Ha poi fatto un appello alla privacy: «Apprezziamo tutto il sostegno che abbiamo ricevuto da tutto il mondo, inclusi i nostri sostenitori italiani e polacchi, che hanno dedicato il loro tempo e supporto alla nostra incredibile lotta. Ora vi chiediamo di tornare alla vita di tutti i giorni e permettere a me, Kate e all'Alder hey di creare una relazione». Nel corso della giornata, prima del confronto con gli uomini di scienza, Tom Evans aveva parlato molto, di diverse questioni, alternando dichiarazioni serene ad accuse ispirate dal nervosismo e complicate dalla stanchezza di tre giorni senza sonno. Nei momenti più critici aveva detto che «i medici ci odiano perché non siamo come loro», accusandoli di «guardarci dall'alto» e di trattarli da «criminali». Più volte, in compenso, ha confermato la sua riconoscenza al nostro Paese, visto che in questa folle vicenda di malattia, leggi e amore familiare, l'Italia sta giocando un ruolo di primo piano. «Grazie Italia, ti amiamo», ha detto mister Evans, «Alfie fa parte della famiglia italiana, è un pezzo d'Italia. Noi sentiamo di appartenere all'Italia». La cittadinanza che il bimbo ha ricevuto è solo un segno che il consenso e il sostegno da parte del Paese sono forti, come dimostra il fatto che nel pomeriggio di ieri un sostenitore del bimbo ha collocato un Tricolore su un palo della luce davanti all'ospedale. Tom Evans e la sua compagna Kate James guardano Oltremanica con affetto. Anzi, è probabile che in questi giorni di preoccupazione sentano Roma più vicina di Londra, anche se ieri pomeriggio a Westminster, sommersa di cittadini in assetto da protesta pronti a marciare per la città, il deputato Steven Woolfe ha lanciato una campagna per modificare la normativa che riguarda i casi simili a quelli di Alfie o di Charlie Gard. L'idea del parlamentare è di definire una norma che sostenga i genitori nell'affermazione dei loro diritti per la tutela dei figli. Battaglie legali come quella portata avanti dalla famiglia di Charlie Gard lo scorso anno e adesso da quella di Alfie Evans non si dovrebbero ripetere, perchè risultano estenuanti e dolorose, in un contesto di grave malattia infantile che è già di per sè molto pesante. Legislazione a parte, ieri il papà del bimbo di 23 mesi affetto da una grave malattia neurologica, peraltro mai precisamente diagnosticata, ha fatto appello anche al Pontefice. «Chiedo al Papa di venire qui e vedere quello che sta succedendo», ha detto ad alta voce, con il tono della disperazione, «vieni a vedere come mio figlio è tenuto in ostaggio da questo ospedale. Quello che noi tutti stiamo subendo è sbagliato». L'invito rivolto a Papa Francesco è arrivato dopo che Tom Evans ha ribadito come la resistenza del piccolo paziente abbia stupito anche le infermiere dell'ospedale. «Alfie vive bene, sereno, felice, senza il ventilatore. Mi sembra abbastanza per dimostrare che i medici hanno sbagliato». In mattinata, peraltro, Tom Evans aveva anche lanciato un'accusa pesante all'ospedale, convinto che questa fretta di «terminare» suo figlio dipendesse solo da una questione economica. «Non è una faccenda di costi, non ci devono essere costi, si deve badare solo ad Alfie», ha detto davanti alle telecamere del programma Good Morning Britain, prima che le sue parole venissero rapidamente sfumate, con la rabbia conseguente degli spettatori. 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E poi è stato allontanato definitivamente don Gabriele Brusco, il sacerdote italiano appartenente all'ordine dei Legionari di Cristo che fino a mercoledì sera era ammesso nella stanza dell'ospedale dell'Alder hey. Ufficialmente richiamato dal parroco londinese dove presta servizio, però le cronache raccontano che al momento di entrare in stanza si sarebbe sentito dire: «Mi hanno dato disposizione di non farla passare. Mi dispiace». Tom, Kate e Alfie, hanno appreso solo al telefono che il loro conforto spirituale se ne andava. Don Gabriele ha somministrato l'unzione degli infermi e poi il sacramento della cresima ad Alfie, ed era in qualche modo la persona che fisicamente rappresentava il desiderio di papa Francesco di restare accanto alla famiglia. Qualche dubbio su come abbia potuto realizzarsi l'allontanamento di padre Gabriele lo hanno sollevato le considerazioni che il giornale inglese The Tablet ha fatto a margine di alcune dichiarazioni rilasciate dal vescovo di Liverpool, monsignor Malcom MacMahon, dopo che mercoledì ha incontrato il Papa a Roma in seguito alla tradizionale udienza in piazza San Pietro. «L'unzione di coloro che sono malati o in uno stato di salute grave è offerto per consolare e aiutare, ma anche in base al presupposto che l'individuo abbia peccato in qualche modo». Questa la chiosa giornalistica che seppur formalmente corretta ha tutto il sapore di una bacchettata sulle dita di padre Gabriele. Parole scritte a margine di dichiarazioni dello stesso vescovo che lasciano senza parole. Il pastore della chiesa di Liverpool, quindi colui che dovrebbe essere più vicino ad Alfie e alla sua famiglia, ha dichiarato: «Sono cosciente della compassione che il popolo italiano dimostra in maniera così caratteristica verso chi è nel bisogno, e in questo caso per Alfie. Ma so che i sistemi legali e medici nel Regno Unito sono anche basati sulla compassione e la salvaguardia dei diritti del singolo bambino». Al Papa il presule si sarebbe però limitato a dire che «i cattolici di Liverpool hanno il cuore spezzato per Alfie e i suoi genitori» e continuano a pregare. Talmente spezzato, verrebbe da dire, che però il vescovo non esita a difendere l'operato di medici e giudici che vedono la morte come unico «best interest» per il bambino. Molto diverse le parole che don Gabriele rilasciava solo un paio di giorni fa a Repubblica. «Rimarrò qui accanto al suo letto», dichiarava il sacerdote, «anche nelle prossime ore e nei prossimi giorni fin quando dalla Santa Sede non riceverò nuove indicazioni. Resto qui come prete e come uomo perché, se fossi stato anche io un padre così come lo è Tom, avrei fatto di tutto per salvare mio figlio senza mai arrendermi anche di fronte alla sentenza di un giudice che non mi sta permettendo di ricevere il sostegno da chi vuol aiutare mio figlio in fin di vita». Sono state nuove indicazioni provenienti dal Vaticano, magari su pressione dei vescovi inglesi, ad allontanare don Gabriele? Quello che sappiamo è che l'ausiliare di Liverpool ha telefonato a padre Gabriele per chiedergli conto della sua presenza lì, e anche l'ausiliare del cardinale di Westminster, Vincent Nichols, si era fatto sentire con una mail al prete italiano. Il Papa dice una cosa e la Chiesa inglese gli fa da controcanto? Non è un bell'esempio di pluriformità della Chiesa, anche perché nel frattempo Alfie respira. Lorenzo Bertocchi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/avvoltoi-global-su-alfie-in-nome-dello-ius-soli-2563602717.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="la-polizia-inglese-minaccia-chi-contesta-sui-social" data-post-id="2563602717" data-published-at="1765226624" data-use-pagination="False"> La polizia inglese minaccia chi contesta sui social LaPresse Che nella vicenda del piccolo Alfie Evans la libertà non sia un valore tenuto troppo in considerazione dalle istituzioni britanniche, le quali hanno più volte negato ai genitori del bambino la possibilità di portarlo in Italia per essere assistito, è cosa ormai nota. Meno noto, ma non meno preoccupante, è l'intervento delle forze di polizia inglesi che , per bocca dell'ispettore capo Chris Gibson, hanno preso pubblicamente posizione dichiarando che controlleranno e perseguiranno le «comunicazioni malevole» che sui fatti verranno diffuse. Un avvertimento, postato quello sulla pagina Facebook della Merseyside police, nel quale è stato fatto anche un esplicito richiamo a possibilità di «azioni legali». Come prevedibile, le reazioni degli utenti alla comunicazione delle polizia di sua maestà - giudicata intimidatoria, se non orwelliana - non si sono fatte attendere. Anzi, se possibile questa presa di posizione ha ulteriormente arroventato gli animi su una vicenda nella quale l'operato degli agenti aveva già suscitato parecchie perplessità. A colpire, nei giorni scorsi, era stata in particolare una foto dell'ingresso dell'Alder hey children hospital, la struttura di Liverpool che ha in cura Alfie, nella quale si poteva in effetti osservare un dispiegamento di forze dell'ordine imponente. Un vero e proprio cordone di agenti che pare duri tutt'ora. Non solo. Nella serata di lunedì, quando al piccolo Evans è stata sottratta la ventilazione meccanica che da 15 mesi lo aiutava nella respirazione, si è parlato addirittura di una trentina di agenti attivi nel piantonare la sua stanza. Un impiego visto da molti, anche in Italia, come provocatorio e totalmente fuori luogo. Allo stesso modo sta indignando la voce secondo cui gli stessi familiari di Alfie, prima di poterlo visitare, sarebbero da diverse ore oggetto di attente «perquisizioni» finalizzate ad evitare che al bambino venga portato qualsiasi cosa che esuli dalle draconiane indicazioni dei medici dell'Alder hey. Inoltre, da mercoledì sera, è stato definitivamente allontanato dall'ospedale padre Gabriele, il quale pareva potesse contare, per quanto riguarda la sua presenza, su un'importante copertura diplomatica, e invece è stato richiamato a Londra dal suo parroco in fretta e furia senza aver neppure il tempo, sembra, di salutare i genitori di Alfie, ai quali prestava assistenza spirituale. Comprensibile dunque, alla luce di tutto questo, l'irritazione suscitata dall'avviso della polizia inglese, in risposta al quale centinaia di utenti, stupiti anche dalla genericità del monito - cosa vuol dire «comunicazioni malevole»? - ne hanno alluvionato la pagina Facebook con critiche anche molto accese. La sensazione maggiormente condivisa è che le istituzioni inglesi, da una parte isolando progressivamente Thomas Evans, l'agguerrito padre di Alfie, e dall'altra con l'esplicita minaccia azioni legali verso tutti coloro che sui social stanno tenendo alta l'attenzione sul caso, vogliano far spegnere i riflettori da giorni ininterrottamente accesi sull'Alder hey, le cui posizioni sono state peraltro ripetutamente sposate dalla magistratura. Più che di un avvertimento vero e proprio, quello della Merseyside police sarebbe dunque una mossa strategica finalizzata a distogliere l'attenzione dal piccolo Alfie Evans. Questo perché se il suo caso, sotto il profilo giudiziario, pare chiuso, a livello mediatico è invece tutt'ora più aperto che mai; e c'è da scommettere che la cosa dia un certo fastidio. Giuliano Guzzo
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Essi, infatti, incidevano il tronco della Manilkara chicle e raccoglievano la sostanza che ne colava, per poi bollirla fino al raggiungimento della consistenza giusta per appallottolarla in pezzetti da masticare. La parola chicle è il nome in lingua nahuatl della pianta da cui i Maya estraevano la gomma, la Manikara chicle, appunto, che è una pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Sapotaceae diffuse nei Paesi dell’America centrale e in Colombia, un bell’albero sempreverde dalla grande chioma che arriva fino a 40 metri di altezza, presente dalla messicana Veracruz fin le coste atlantiche della Colombia. L’albero della Manikara chicle cresce nelle foreste, fino a 1.100 metri sul livello del mare, pensate, e non solo i Maya ne masticavano le palline, ma, in un certo senso, anche noi. Il nome che comunemente si dà in Piemonte alla gomma da masticare, cicles, deriva proprio dal nome di questa pianta, arrivato da noi attraverso una marca di gomme da masticare americana negli anni appena successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Da cicles deriva anche cicca, altro modo di chiamare colloquialmente il chewing gum. E proprio dalla corteccia della Manikara chicle e da altre piante congeneri nasce questo lattice che in passato si usava come unica materia prima gommosa (e naturale) per preparare le gomme da masticare. Le tesi sul passaggio dalla gomma naturale masticata dai Maya a quella di produzione occidentale sono varie. Secondo alcuni, la gomma da masticare occidentale nasce per riciclare quantitativi di quel lattice dei Maya esportato negli Usa, però senza successo. Nel 1845, il generale messicano Santa Ana, in fuga a New York dopo un colpo di Stato che lo aveva esautorato dal potere, propone all’imprenditore Thomas Adams una partita di chicle, che però non supera il processo di vulcanizzazione e non va bene per l’uso industriale. Così Adams pensa di aggiungere sciroppo di zucchero e un aroma (ovvero sassofrasso o liquirizia) e nel 1866 lancia il bon bon da ciancicare sul mercato alimentare, col nome di Adams - New York Chewing gum. Chewing gum significa letteralmente gomma masticante, cioè masticabile, ossia da masticare. La gomma da masticare si fa strada nel cuore e soprattutto nelle bocche degli americani: nel 1885 l’imprenditore di Cleveland William J. White sostituisce lo sciroppo di zucchero con lo sciroppo di glucosio, più performante nella miscelazione con altri ingredienti, e aromatizza con quello che poi diventerà l’archetipo assoluto della gomma da masticare, anche perché rinfresca l’alito, la menta piperita. Nel 1893 William Wrigley crea due nuove gomme da masticare, la Spearmint e Juicy fruit. Secondo altre tesi, prima di Thomas Adams il primo a commerciare una gomma da masticare, ottenuta però dalla linfa di abete rosso, fu John B. Curtis, che nel 1848 produsse la State of Maine Pure Spruce Gum, una ricetta segreta che oltretutto non brevettò mai. La gomma da masticare arriva in Europa, coi soldati americani, durante la Prima Guerra Mondiale, in Francia. Da noi, arriva con la Liberazione che pone fine alla Seconda Guerra Mondiale. Per un po’ di tempo gli italiani masticano americano. Poi, il dolcificio Perfetti di Lainate, nato infatti nel 1946, inizia a produrre chewing gum italiano con il nome, giustamente americano, Brooklyn. Il formato non è sferico ma a lastrina, lo slogan noto a tutti, «la gomma del ponte», sottinteso di Brooklyn, insomma la gomma americana.
Oggi più che mai, ma ben prima di oggi, più o meno a partire dagli anni Sessanta, il chewing gum abbandona la sua fattezza totalmente naturale e diventa sintetico, del tutto o in gran parte sintetico. È un po’ il destino di tutto: nel caso della gomma da masticare il motivo è che in questo modo la produzione costa meno e poi la sinteticizzazione della materia prima sopperisce alla rarefazione degli alberi di sapodilla. Il chicle sintetico è fatto con polimeri sintetici, in particolare gomma butadiene-stirene e acetato di polivinile. Di solito, giusto il 15-20% circa della gomma usata è ancora fatta di lattice di sapodilla (oppure di jelutong, l’albero da lattice Dyera costulata diffuso nelle foreste del Sudest asiatico). A questa base gommosa si aggiungono aromi, edulcoranti e additivi, come lo xantano, che rendono il chewing- gum odierno più elastico del suo antenato Maya. E infatti ciancichiamo a tutto andare, la stima di consumo mondiale è di circa 350 miliardi di gomme da masticare all’anno, circa 30 milioni in Italia.
D’altronde, c’è un chewing gum per ogni occasione. I chewing gum in commercio oggi sono divisibili in quattro gruppi: con lo zucchero, senza lo zucchero, chewing gum rivestiti e chewing gum medicati. Nei primi abbiamo quasi l’80% di peso in zuccheri, come saccarosio e sciroppo di glucosio. Il chewing gum senza zucchero contiene polioli naturali come sorbitolo, xilitolo, eritritolo, dolcificanti naturali a basso contenuto calorico, basso rischio cariogenico e e basso indice glicemico, oppure dolcificanti sintetici ad alta intensità come l’aspartame, il sucralosio, l’acesulfame K. Le gomme da masticare rivestite sono quelle col ripieno e quelle medicate sono, invece, addizionate di sostanze nutritive o composti farmaceutici, per promuovere funzioni specifiche del nostro organismo e prevenire alcuni disturbi, come le gomme antinausea per il mal d’auto e le gomme alla nicotina per la disintossicazione dal fumo. Queste ultime, naturalmente, non devono essere usate in circostanze diverse da quelle per cui nascono.
Ma masticare gomme fa bene o fa male? Se guardiamo all’antenato della gomma da masticare, sicuramente masticare materie di estrazione naturale, in primo luogo resine, è una prassi umana radicata e volta ad uno scopo innanzitutto curativo. Pensate che nel sito neolitico di Kiriekki, in Finlandia, i ricercatori hanno di recente rinvenuto un pezzo di resina risalente al terzo millennio prima di Cristo, ricavato da corteccia di betulla, con segni di denti ben visibili. Anche i greci del V secolo a.C. usavano masticare resine di lentisco. I nostri antenati masticavano resine per estrarne i fenoli, che hanno proprietà antinfiammatorie. Non masticavano solo resine: i malesi masticavano noci di betel, etiopi e yemeniti il qat del Corno d’Africa, i Maya, appunto, palline di chicle. Oggi, continuiamo a masticare. Dopo cioccolatini e caramelle, il chewing gum è il terzo piccolo boccone dolce preferito al mondo, naturalmente non si ingoia e l’apporto calorico è certamente inferiore a quello di cioccolatini e caramelle, quindi molti masticano il terzo, anziché mangiare i primi due per stare a dieta.
Masticare il chewing gum può avere aspetti positivi. Se dopo un pasto o uno snack non abbiamo modo di lavare i denti con spazzolino e dentifricio, rischiamo che la diminuzione del valore del PH della placca conseguente al pasto intacchi smalto e dentina aumentando il rischio di carie. Per alzarlo, allora, e riportarlo a livelli di normalità si può masticare chewing gum senza zucchero, in questo modo stimoliamo la produzione di saliva, la cui aumentata quantità nel cavo orale ha l’effetto di riportare il PH della placca dentaria a un valore normale, debellando il rischio carie. Particolarmente adatto pare essere il chewing gum senza zucchero con xilitolo, del quale è stata appurata la capacità di inibire la crescita dei batteri che, lasciati invece liberi, possono demineralizzare lo smalto e la dentina, favorendo la nascita della carie. La produzione extra di saliva aiuta questo effetto preventivo della carie del chewing gum con xilitolo, perché la saliva contiene enzimi ed anticorpi che hanno un effetto antibatterico naturale. La saliva ha anche l’effetto di rimineralizzare e quindi rafforzare lo smalto dentario. Masticare il chewing gum dopo un pasto fuori casa poi ha un effetto detergente sui denti. Masticare il chewing gum ha un effetto rinfrescante sull’alito, tuttavia questo non si può considerare un intervento curativo a lungo termine nel caso si soffra di alitosi stabile, che va indagata e curata alla radice. Idem la pulizia dei denti, non si può certamente considerare la masticazione del chewing gum equivalente a lavare i denti con lo spazzolino e poi a passare il filo interdentale. La masticazione del chewing gum non dovrebbe superare i 15-20 minuti e massimo per 3 chewing gum al giorno. Se si esagera, invece, si rischia di creare problemi all’articolazione della mascella e ai muscoli della bocca e delle guance. Inoltre, essendo le gomme da masticare contemporanee estremamente adesive rispetto a quella di sola origine naturale, si rischia di tirare via otturazioni dentali, se se ne hanno, e creare problemi ad altre presenze nella bocca come ponti, protesi e apparecchi (soprattutto in quest’ultimo caso, non si deve masticare la gomma). Sembra poi che masticare chewing gum aiuti la concentrazione.
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Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti (Ansa)
Non è certo un grosso problema: è sufficiente reidratare il paziente e si risolve nel giro di un paio di giorni al massimo. La tragedia è che questo ha allertato il «lupo». Per una indigestione da funghi, la famiglia è stata attenzionata dai servizi sociali.
Levare un bambino alla sua famiglia, staccarlo da sua madre, è un danno di gravità mille. Il cortisolo alle stelle, la fede nel mondo distrutta. Lo stress è talmente atroce che abbatte il sistema immunitario. Un bambino si può levare solo quando sta subendo un danno di gravità duemila. Come si fa a non sbagliarsi? Basta usare il buon senso, la logica e ascoltare i bambini.
Eleonora è morta il 7 gennaio 2005 a Bari. Aveva 16 mesi. Era nata sana come un pesciolino. È morta di stenti, di fame e sete, ma sicuramente avranno avuto un peso le botte, le ecchimosi, le escoriazioni suppurate, le due vecchie fratture a un braccio mai curate, la completa mancanza di sole, e soprattutto le devastanti piaghe da decubito per i pannolini non cambiati. Era legata al passeggino e il passeggino era messo davanti a un muro. Ha vissuto nel dolore e nel terrore: la paura continua dei colpi da parte della madre e del suo convivente (le tiravano addosso di tutto, se piangeva) o anche dei due fratellini a cui era stata regalata come una specie di giocattolo da tormentare. L’ha uccisa la paura che la notte calasse senza nemmeno il mezzo biberon che le davano ogni due giorni. La notte è calata per più di una volta consecutiva senza il mezzo biberon, ed Eleonora è morta di disidratazione. Le assistenti sociali, allertate da vicini perplessi, erano arrivate alla sua porta, per ben quattro volte, avevano fatto toc toc come il lupo davanti alla porta dei tre porcellini, nessuno aveva aperto e il discorso è stato considerato chiuso.
Le assistenti sociali sono persone educate, estremamente rispettose, davanti alle porte chiuse si fermano. I due fratellini di Eleonora sono stati ricoverati in ospedale. Quando hanno loro chiesto se volessero stare con mamma o con la dottoressa, hanno risposto che volevano stare con la dottoressa. I bambini abusati lo capiscono che fuori casa stanno meglio e lo verbalizzano. Un bambino, dopo aver dichiarato innumerevoli volte che la madre era violenta con lui, che lo terrorizzava, che non voleva andare con lei, è stato consegnato alla donna che lo ha sgozzato. Si sono fidati di un qualche esperto, uno psichiatra, un’altra assistente sociale, un giudice che per una qualche teoria letta su un libro ha ritenuto di avere la capacità di stabilire che quella madre non fosse pericolosa, e che il bambino che ne aveva paura fosse uno sciocchino.
Sono le stesse assistenti sociali che, dopo aver tolto un bambino a sua madre con le motivazioni più creative, stanno con le labbra strette e l’orologio in mano a controllare che non si sgarri dai 60 minuti che un giudice, che non ha mai visto quel bambino in vita sua, ha stabilito per la visita due volte al mese. L’assistente sociale sottolinea alla madre che il bambino il giorno del colloquio con lei è agitato, disperato e intrattabile, mentre di solito è sempre «buonissimo». Buonissimo vuol dire apatico e rassegnato, in inglese si usa il termine «functional freezing», congelamento delle emozioni per evitare di essere schiantato dal dolore. Il congelamento deve essere totale perché il bambino possa essere svuotato di qualsiasi emotività e ridotto a cosa. Se il bimbo ha un fratello, viene separato da lui. Sparisce la nonna da cui andava tutti i pomeriggi e che gli faceva i biscotti, spariscono gli amici. A volte sono andati a prenderlo poliziotti armati. Più il trauma è atroce, più potente è il congelamento emotivo che rende il bambino malleabile.
La prima notte che il bambino passa in «casa famiglia», vezzoso termine con cui si chiamano gli orfanotrofi statali dove portano i bambini tolti alle famiglie, piange tutta la notte: se è piccolo può arrivare alla disidratazione. Poi si «rasserena», diventa buono. La rassegnazione si paga in malattie. Ci sono processi che dimostrano che è vero che nei campi rom si vendono bambini ladri e bambine prostitute, periodicamente qualche bambino rom muore bruciato vivo nella roulotte che ha preso fuoco, eppure nessuno interviene. I rom non vogliono essere disturbati e le assistenti sociali sono persone rispettose delle civiltà altrui, per questo non intervengono nelle famiglie musulmane che infibulano la figlia di due anni o danno la figlia tredicenne in sposa al cugino mai visto prima. Ma è su tre nomi: Forteto, Bibbiano, Bassa Modenese, che il sistema ha mostrato la sua struttura violentemente patologica. Non metto in dubbio che tra le assistenti sociali esistano persone di buon senso e non malevole, ma un sistema che ha prodotto Bibbiano, il Forteto e la Bassa Modenese è strutturalmente privo di buonsenso e soprattutto malevolo, e deve essere ristrutturato o abolito. Gli assistenti sociali e i giudici hanno un potere totale. Non rispondono degli errori. La facoltà da cui escono gli assistenti sociali, dopo aver dato alcuni esami e superato una tesi, in nulla garantisce buon senso e benevolenza, anzi: è il contrario. Si tratta di una delle facoltà politicamente strutturate, il 99% dei docenti e degli iscritti sono di sinistra. Le assistenti sociali sono il braccio armato della politica della sinistra mondiale: odio per il cristianesimo, odio per la famiglia, amore sviscerato per tutte le tematiche Lgbt. Tra i minuscoli esami con cui le assistenti sociali formano la loro capacità di giudicare il bene e il male, di distruggere famiglie, di annientare la psiche ma anche il corpo dei bambini che hanno la sciagura di attirare la loro attenzione, quindi non Eleonora e non i bambini rom, le incredibili idiozie raccolte sotto il nome di «studi gender» sono considerate una lodevole intuizione scientifica. Le assistenti sociali sono convinte che un uomo possa essere una donna, che un bambino affidato a due maschi che l’hanno comprato non possa che stare benissimo, e che in fondo la famiglia «tradizionale» sia un modello da superare. La terza situazione problematica è la mancanza di un controllo sui controllori. Chi stabilisce che la psiche dell’assistente sociale e del giudice che possono distruggere la vita di altri sia in equilibrio? Si tratta di persone che hanno semplicemente superato degli esami e un concorso. Chi stabilisce che nella sua mente l’assistente sociale, che controlla con le labbra strette che la madre non possa stare con i suoi figli più del numero di minuti stabiliti da lei o da un giudice, non abbia tendenze di aggressività maligna o non le abbia sviluppate facendo questo lavoro?
Sono stati fatti terribili esperimenti, dove persone prese a caso venivano messe nel ruolo del carceriere, dove qualcun altro a caso faceva il carcerato: era una recita. Ma molti hanno sviluppato linee di aggressività maligna. Dove si ha potere sugli altri, è estremamente facile che si sviluppino linee di aggressività maligna, linee di piacere nell’infliggere ad altri dolore attraverso la propria autorità. Ripeto la domanda: chi controlla i controllori? Nel frattempo, se avete bambini in casa, evitate i funghi. Le zucchine costano anche meno.
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Soldati di guardia vicino al confine tra Thailandia e Cambogia (Getty Images)
L’ennesimo scontro sta imponendo nuove evacuazioni di massa su entrambi i lati del confine. Il governo della Thailandia ha ordinato a più di 380.000 suoi cittadini di abbandonare subito le aree ad alto rischio, con decine di migliaia che hanno già raggiunto i rifugi allestiti dal governo.
La Cambogia ha spostato circa 1200 famiglie, portandole all’interno del paese e lontane dalla zona dove si combatte. Hun Manet, primo ministro della Cambogia ha pubblicamente accusato la Thailandia, di essersi inventata un incidente fra i militari per tornare ad attaccare la Cambogia, negando che ci sia stato qualsiasi tipo di atto provocatorio da parte dell’esercito di Phnom Penh. Il governo di Bangkok ha invece additato la Cambogia come la nazione che non vuole rispettare l’accordo avendo continuato a minare il confine comune. «Il ministero della Difesa thailandese.ha autorizzato nuove operazioni militari a fronte dell’escalation - ha dichiarato il portavoce dell’esercito Winthai Suvaree - i raid hanno preso di mira infrastrutture militari cambogiane in rappresaglia all’attacco avvenuto in precedenza. il nostro unico obiettivo sono le posizioni di supporto della Cambogia nell’area del passo di Chong An Ma, un’area che doveva essere smilitarizzata».
I combattimenti della scorsa estate in pochi giorni avevano provocato 45 morti ed oltre 250.000 sfollati da entrambe le parti. Alla fine dell’estate a Kuala Lumpur Malesia, Cina e anche Stati Uniti avevano mediato un primo cessate il fuoco che però non era mai stato realmente applicato. A ottobre il presidente statunitense Donald Trump si era impegnato in prima persona co-firmando una dichiarazione congiunta tra le due nazioni e promuovendo allo stesso tempo una serie di nuovi accordi commerciali con Bangkok e Phnom Penh, nel caso avessero accettato un prolungamento del cessate il fuoco. Questo accordo sembrava poter durare, ma meno di un mese fa la Thailandia ha deciso di sospenderlo unilateralmente, accusando la Cambogia di aver minato una zona in territorio thailandese e l’esplosione di una mina aveva anche ferito alcuni soldati. Il primo ministro cambogiano ha ribadito il suo impegno nei confronti dell'accordo, che prevedeva il rilascio di 18 prigionieri cambogiani detenuti in Thailandia da diversi mesi e non ancora liberati. Il problema rimane il posizionamento del confine e la contestazione di alcune aree e templi che si trovano in territorio cambogiano, ma che sono rivendicati da Bangkok.
Le aree contese ospitano diversi templi di grande interesse storico e culturale, tra cui il Preah Vihear. La Corte Internazionale di Giustizia ne ha concesso la sovranità esclusiva a Phnom Penh, ma Bangkok si rifiuta di riconoscere l'autorità della Corte in materia territoriale. In realtà la questione è molto più profondo e da molti anni fra i due paesi del sud-est asiatico la tensione rimane altissima. Entrambe le nazioni sono caratterizzate da un acceso nazionalismo che diventa determinante soprattutto fra le popolazioni che vivono lungo gli oltre 800 chilometri di confine. L’amministrazione statunitense si è detta pronta a riportare i due contendenti al tavolo delle trattative, ma intanto l’aviazione thailandese sta continuando a martellare il territorio cambogiano.
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Ecco #DimmiLaVerità dell'8 dicembre 2025. La "dj" ufficiale di Atreju, la deputata di Fdi Grazia Di Maggio, ci parla della festa nazionale del partito di Giorgia Meloni.