
Siamo entrati ad Avdiivka, che potrebbe presto cadere in mano russa. Ma qui la guerra è iniziata molto prima del 2022. Chi è rimasto si informa sulle posizioni dei soldati di Mosca e rifiuta di evacuare. Un gruppo di volontari porta cibo e farmaci sfidando i missili.da AvdiivkaSiamo riusciti ad entrare ad Avdiivka, la cittadina a sud di Bakhmut sotto assedio e linea del fronte da anni. Sembra che anche questo luogo ora potrebbe cadere in mani russe, come d’altronde sta cadendo Bakhmut.L’accesso non è più consentito a giornalisti e operatori umanitari, ma ci affianchiamo ad un gruppo di volontari che dice di sapere come fare per entrare e cosa dire ai soldati dei check point. Kuba è il soprannome di un volontario polacco, uno di quelli che ha tirato fuori la gente dai posti più impensabili, uno di quelli che continua a rischiare la vita anche solo per la speranza di salvare una sola persona, e rischiarne tre o anche di più in base al tipo di missione. A fianco a lui ci sono Mark, un ex militare statunitense a cui manca soltanto il fucile, l’attrezzatura che indossa è la stessa di un Navy Seals. Ha il compito di guidare la jeep e assicurare la sicurezza della missione, oltre che aiutare a distribuire gli aiuti e ad evacuare le persone. Non può mostrare la sua identità e non ne vuole svelare il motivo, d’altronde non sono pochi gli ex militari che hanno convertito le loro vite in varie attività qui in Ucraina e non vogliono essere strumentalizzati. L’altro volontario è un paramedico polacco che nella vita civile svolge la professione di fisioterapista e qui, dove viene a sue spese e nel tempo libero, assiste i malati e dà il primo soccorso sui fronti più caldi. Kuba ci spiega come ha cominciato, poco a poco, prima come volontario al confine polacco poi spingendosi sempre più al limite, fino ad essere diventato un «estrattore» conosciuto e stimato, tra gli addetti ai lavori si intende. Partiamo la mattina di buon ora da Kostantinivka, la città più vicina ai fronti caldi del Donbas. Un posto perfetto dove avere una base per le evacuazioni con lo spazio per raccogliere gli scatoloni di aiuti e tanto tanto cibo per cani. Se non riescono a tirare fuori persone, infatti, allora ci provano con i cani e i gatti abbandonati, in fin di vita. La base dista circa 25 minuti da Chasiv Jar, e un’ora da Avdiivka, partiamo abbastanza presto la mattina con due indirizzi in tasca da cui andare a portare aiuti e controllare delle persone che si pensa vogliano evacuare.Kuba ci spiega che sono molti i motivi che lo spingono a rischiare la vita, anche solo riuscire a portare via una persona e lasciare latte in polvere, pannolini o cibo ne fa valere la pena. Ci racconta che all’inizio, quando una città viene assediata, le persone fanno le corse per essere evacuate: «A volte dobbiamo fare due prelievi in una unica giornata, il che è rischioso, noi cerchiamo di fare queste operazioni nel minor tempo possibile, quindi entrare e uscire due volte da una città sotto assedio non è mai facile. Le persone che salviamo però sono la nostra benzina, ciò che ci fa andare avanti e che ci fa sentire orgogliosi di ciò che facciamo, io sono uno scrittore e un giornalista ma non posso stare a casa a scrivere quando posso operare sul campo, non potrei guardarmi allo specchio e con me tanti ragazzi che hanno trovato in questo tipo di volontariato un motivo di vivere».Mark guida la range rover carica di aiuti e attrezzature verso l’ultimo check point dove i soldati di guardia sono cambiati e chiedono i documenti dando il divieto di accesso per i giornalisti. Fingiamo anche noi di essere paramedici, e non molto curanti della situazione i soldati ci fanno passare con la frase classica di chi non sa cosa fare esattamente. «Buona fortuna, speriamo che sappiate ciò che fate», è l’augurio con cui ci salutanoE Kuba pare proprio saperlo, una delle doti fondamentali quando si opera in un teatro di guerra è la navigazione, sapere come seguire una mappa, delle coordinate, incrociando più mappe diverse, e più informazioni. Lo sappiamo quanto è importante, e vedere che chi ci porta dentro questa città ha dimestichezza con questo genere di navigazione ci rincuora. In questi territori è molto facile sbagliare una strada e trovarsi nella terra di nessuno o faccia faccia con un blindato russo.Ai margini della città gli altri posti di blocco che incontriamo sono abbandonati, fin dalla periferia si notano i tetti delle fabbriche scoperchiati, missili conficcati nei campi e nella carreggiata, carcasse di macchine e mezzi blindati abbandonati ai margini della strada.Si sente sparare sui lati della città, noi entriamo al centro della zona ancora in mano agli ucraini, non vediamo grande presenza militare ma sappiamo dove è il fronte. Non possiamo esserne certi con precisione, i russi possono guadagnare spazio tra i palazzi anche in poco tempo, quindi bisogna sempre ascoltare e guardarsi bene intorno, molto bene. Entriamo in città facendo lo slalom tra i detriti sulla strada, arriviamo al «centro dell’invincibilità», i palazzi intorno sono tutti con le finestre rotte e per lo più colpiti da varie tipologie di bombe e proiettili, alcuni crollati. Questi centri sono degli hub organizzati da volontari dove le persone vanno a cercare cibo, internet, elettricità, dove si scaldano e si scambiano informazioni con i pochi altri civili rimasti. Davanti alla porta c’è un gruppo di volontari, appena scendiamo sotto notiamo come questo centro rispetto a quello di Chasiv Jar sia ben organizzato, illuminato, con molti prodotti in distribuzione compreso il caffè caldo. Una quindicina di cittadini per lo più anziani sono già seduti a mangiare, guardare notizie al cellulare o semplicemente al caldo. Avdiivka è da anni sotto assedio e questa per molti di loro è diventata la normalità, c’è una signora che vorrebbe evacuare ma ha paura, non si decide a lasciare la propria casa, un’altra chiede informazioni, chiede dove siano i russi. Gli facciamo vedere la mappa più aggiornata che abbiamo, cercando di convincerla che ora forse la città verrà presa. Ma niente, non si convince, lasciamo le scatole di aiuti e cerchiamo di andare via da questo posto il più in fretta possibile perché nel frattempo tutto intorno i colpi dei russi esplodono tra i palazzi. Corriamo al secondo indirizzo dove ci sono tre anziane signore che hanno chiesto della benzina per il generatore, così, appena sceso dalla macchina Kuba prende una delle taniche presenti nel bagagliaio e corre giù per le scale. Delle tre anziane una è a letto, non sta bene, parla con Kuba e si mette seduta sul letto dandosi un tono davanti a noi. Il paramedico scende, la visita e la cura lasciando delle medicine e spiegando alle altre signore cosa fare in caso di malore, fuori nel frattempo si spara e i colpi iniziano a cadere vicino, troppo vicino alle nostre macchine parcheggiate, un gruppo si ripara dentro la porta di un palazzo. Mark, il nostro soldato americano, incurante, continua a sostare accanto alla jeep pronto a entrare e partire. Appena escono dallo scantinato il paramedico e Kuba, anche noi usciamo dai palazzi davanti e entriamo dentro i mezzi. Rifacciamo la stessa strada presa all’andata e ci troviamo in poco tempo fuori dalla città dove in un pezzo scoperto fra i campi veniamo sorpresi da alcuni colpi vicini alla carreggiata. Probabilmente e per fortuna non sono indirizzati a noi ma ai carri armati che vediamo nei campi, proseguiamo il nostro viaggio verso zone sicure mentre i coraggiosi ragazzi con cui siamo entrati in questa città così difficile programmano la prossima missione di evacuazione.
La transizione energetica non è più un concetto astratto, ma una realtà che interroga aziende, governi e cittadini. Se ne è discusso al primo panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano, dedicato a «Opportunità, sviluppo e innovazione del settore energetico. Hub Italia», con il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, la direttrice Ingegneria e realizzazione di Progetti di Terna Maria Rosaria Guarniere e la responsabile ESG Stakeholders & Just Transition di Enel Maria Cristina Papetti.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il giornalista: «In tv l’intellighenzia progressista mostrifica la vittima. Bisognerebbe scendere in piazza in difesa del libero pensiero: vedremmo chi davvero vuole il dialogo».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Cresce la tensione tra Etiopia ed Egitto. Il governo di Addis Abeba ha recentemente inaugurato la più grande diga idroelettrica dell’Africa: una mossa che ha notevolmente irritato Il Cairo.