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Una casa di Avdiivka (Ansa)
Le truppe di Kiev si ritirano dall’avamposto nella regione di Donetsk per evitare di essere circondate. Per i russi, la conquista mette in sicurezza l’area ma ha valore soprattutto psicologico, anche se il costo umano dell’operazione è stato pesante.
Il generale Oleksandr Syrskyi, che ha assunto il comando delle forze armate ucraine dall’8 febbraio, ha comunicato tramite i social media: «Le truppe di Kiev si stanno ritirando da Avdiivka (nella regione di Donetsk, ndr), per evitare di essere circondate. Adotteremo le misure necessarie per stabilizzare la situazione e mantenere le nostre posizioni, spostandoci verso posizioni più vantaggiose per la difesa. I nostri soldati hanno adempiuto al loro dovere militare con dignità, facendo tutto il possibile per neutralizzare le migliori unità militari russe e infliggere perdite significative al nemico». Poco dopo, Oleksandr Tarnavsky, comandante dell’area, ha scritto su Telegram: «In ottemperanza all’ordine ricevuto, ci siamo ritirati da Avdiivka verso posizioni precedentemente preparate, in base alla situazione operativa circostante, al fine di evitare l’accerchiamento e salvaguardare la vita e la salute dei nostri soldati. Ho deciso di ritirare le nostre unità dalla città e di stabilirci in difesa su linee più favorevoli. In una situazione in cui il nemico avanza su un mare di cadaveri dei suoi stessi soldati e ha a disposizione dieci volte più munizioni, questa è l’unica decisione ragionevole». Poi il generale ucraino che è comandante del gruppo operativo e strategico delle truppe Tavria, ha ammesso che nel corso della ritirata da Avdiivka «alcune forze» sono state fatte prigioniere dai russi senza però specificare il loro numero. Da Monaco dove è intervenuto alla Conferenza sulla sicurezza, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato: «È stata una decisione logica giusta e professionale quella di salvare quante più vite possibile». E ora cosa succederà? Gli analisti dell’Institute for the Study of War scrivono che i russi rischiano di subire pesanti perdite «se decideranno di attaccare frontalmente le nuove posizioni verso le quali le truppe ucraine si stanno ritirando proprio a causa della grande concentrazione di truppe di Kiev». Le forze russe continueranno a cercare di impedire il ritiro delle forze ucraine nella speranza di infliggere loro perdite operative, poiché la cattura di Avdiivka di per sé non fornisce alcun vantaggio operativo o opportunità per offensive significative. Allo stesso tempo, gli esperti dell’Isw ritengono «che le forze ucraine potrebbero dover condurre contrattacchi per consentire un ritiro organizzato delle truppe da Avdiyivka al fine di stabilizzare la linea del fronte». Per l’analista strategico Virgilio Lo Presti «La conquista di Avdiivka in sé non rappresenta un cambiamento fondamentale dell’equilibrio bellico in Ucraina. Ritengo più significativo il suo valore in chiave difensiva e psicologica. Avdiivka era una città-fortezza che resisteva ai russi da nove anni ed era una postazione avanzata che minacciava da pochi chilometri di distanza la città di Donetsk; con la sua caduta i russi si garantiscono lo sblocco di Donetsk e la fine della minaccia ucraina su questo insediamento. A distanza di quasi un anno dalla conquista delle macerie di Bakhmut i russi possono ora fregiarsi della presa di una nuova ex-città ucraina, sebbene - proprio come a Bakhmut - ad un costo di perdite umane e materiali spaventoso. Così come a Bakhmut, così come nella seconda guerra mondiale, ad Avdiivka il numero-potenza ha funzionato». Il ritiro da Avdiivka non ha certo fermato le operazioni belliche dell’Ucraina tanto che come scrive la Tass è stato emesso un allarme per un possibile attacco missilistico nella città russa di Kursk che si trova a circa 152 km a Nord di Belgorod e a 580 km a Sud di Mosca, e nelle zone circostanti. Secondo quanto riportato, i residenti sono stati consigliati dal governatore della regione di Kursk, Roman Starovoit, tramite il canale Telegram «di rimanere lontani dalle finestre e di ripararsi in stanze con pareti solide». Sempre nella giornata di ieri il comandante dell’aeronautica militare ucraina, Mykola Oleschuk, ha dichiarato che le forze armate ucraine hanno abbattuto tre aerei russi contemporaneamente: due cacciabombardieri Su-34 e un caccia Su-35. Oleschuk ha anche precisato che le unità dell’Aeronautica Militare sono riuscite a distruggere gli aeromobili dirigendosi verso est. I russi hanno riposto bombardando la città di Kherson, nell’Ucraina meridionale e secondo il capo dell’amministrazione militare regionale, Oleksandr Prokudin citato da Ukriform, «l’esercito russo ha bombardato Kherson. Tre cittadini sono rimasti feriti, per uno di loro le ferite si sono rivelate mortali. Si stima che la vittima avesse circa 45 anni. Una donna di 49 anni ha riportato ferite lievi a una gamba. È stato ricoverato in ospedale anche un uomo di 36 anni, le sue condizioni sono moderate». Il ministero della Difesa russo ha reso noto che l’altra notte è stato sventato un tentativo di attacco contro obiettivi situati sul territorio della Federazione Russa, perpetrato da almeno 33 droni ucraini. Secondo quanto riportato dal messaggio pubblicato sul canale Telegram del ministero della Difesa russo e ripreso dall’agenzia Interfax, i sistemi di difesa aerea in servizio hanno intercettato e distrutto tutti e 33 i droni provenienti da Kiev nelle regioni di Belgorod, Voronezh, Kursk, Bryansk e Kaluga. Ieri ha parlato anche il capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov, che ha detto di aver ha scoperto chi ha avvelenato sua moglie l’anno scorso e ha promesso al quotidiano francese Liberation « una serie di azioni di ritorsione sul territorio russo». Secondo quanto riportato dai media, Budanov è stato oggetto di oltre 10 tentativi di omicidio da parte della Russia e in risposta alla domanda su chi fosse responsabile dell’avvelenamento di sua moglie, il capo degli 007 militari ha affermato: «Certo che lo so!»
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2023-10-25
Sul fronte ormai dimenticato con i pacchi per i civili. «I russi? Noi aiutiamo tutti»
(Niccolò Celesti)
Ad Avdiivka, in Donbass, c’è una battaglia cruciale: Mosca attacca approfittando dell’Occidente distratto da Israele. I volontari attraversano una città spettrale.
da Avdiivka (Donetsk)
Avdiivka è la città sotto assedio a cui, oggi, nessuno pensa. Per peso e strategicità qualche mese fa sarebbe stata raccontata come un’epopea tragica, esattamente come accadde per Bachkmut, ma oggi è l’emblema della perdita di centralità di Kiev nel racconto mediatico. È in corso un combattimento epocale in questa parte dimenticata di Ucraina, una battaglia che si protrae da 9 anni ma che da alcuni giorni si è alzata di intensità nei combattimenti, con un attacco furioso da parte dei russi e perdite enormi da un lato e dall’altro. Il conflitto israelo-palestinese ha conquistato il gradino più alto sul podio delle news, i russi intelligentemente attaccano al riparo dall’attenzione mediatica e dai giudizi occidentali. Siamo riusciti a entrare con un gruppo di volontari che portano aiuti umanitari ai civili che ancora vivono dentro la città e questo è il nostro racconto.
Con un anonimo furgoncino bianco ci dirigiamo verso una zona industriale di una cittadina distante una cinquantina di chilometri da Avdiivka, siamo a bordo del mezzo di Vlad e Lona (nomi di fantasia) e ci chiedono di non fotografare e riprendere niente che possa rendere questo luogo individuabile. Dopo poco arriviamo dentro a un capannone, una struttura immensa e segreta, dove al suo interno sono stipati migliaia di scatole del World Food Program e di altri enti benefici con confezioni di pasta, scatolette, latte, zucchero, sale, tè e altri generi alimentari, ma anche pellet per le stufe, acqua... Riempito il furgoncino e prima di riprendere la strada verso Avdiivka facciamo tappa alla casa dell’organizzazione per prendere scatole e scatole di medicinali, ci eravamo stati già il giorno prima per pianificare la missione e durante la cena, parlando del loro lavoro sul campo, gli avevamo chiesto se fossero al corrente che molte di queste persone che sono all’interno delle città assediate potessero essere filorusse e aspettare gli invasori. La risposta ci ha lasciato a bocca aperta per quanta umanità racchiude: «Possono essere anche russi, noi aiutiamo le persone, tutte, se sono disagiate e hanno bisogno». Infatti delle 900 persone che sono rimaste ad Avdiivka la maggior parte sono persone con disabilità mentale o fisica, poveri e vecchi. Persone come Vald e Lona non si incontrano tutti i giorni, sono tra i volontari più coraggiosi e spesso vanno in posti cosi pericolosi da essere conosciuti all’interno della comunità dei vari gruppi di volontari che operano su tutti i fronti, lui è stato ferito da un colpo di mortaio pochi mesi fa, mentre facevano una consegna. Una scheggia alla schiena, in un punto dove non poteva arrivare a medicarsi da solo, cosi Lona gli ha salvato la vita fermando l’emorragia e guidando fino al punto medico più vicino. Ora sono migliori amici, se vogliamo entrate ad Avdiivka dobbiamo farlo con loro e una volta caricate le medicine si parte. Alcune parti della strada sono sterrate, l’ultimo posto di blocco è molto fortificato, si vede dalle facce tese dei soldati che il fronte si avvicina.
A destra c’è la strada principale quella che prima in poco tempo arrivava in città, passando dal lato Nord, ma ora tra questa grande arteria e la città ci sono i russi, dunque si deve andare dritto allungando di molto il tragitto per entrare dal lato Ovest più coperto. Dopo poco si intravede il fumo dei bombardamenti, avvicinandoci a una delle zone industriali ci sembra quasi incredibile come le ciminiere siano ancora in piedi perché i palazzi intorno sono tutti distrutti. Più ci si avvicina all’ingresso della città, più si vede la differenza con l’ultima volta che siamo stati in questo posto maledetto, circa 6 mesi fa, infatti riuscimmo a entrare e ci trovammo davanti una situazione difficilissima ma niente in confronto a ora: quasi ogni palazzo è stato colpito, il terreno della città è cosparso dei vetri delle finestre rotte, qua e là nei cortili e nei giardini ci sono enormi crateri delle bombe cadute negli ultimi giorni e nelle ultime ore. Entriamo facendo lo slalom nelle strade invase dai detriti, si inizia a sentire il suono delle esplosioni tutto intorno, tra un bombardamento e l’altro si sentono i corvi che volano intorno ai cumuli di spazzatura, decine di cani randagi vagano tra le macerie. Arriviamo davanti ad un condominio e Vlad suona il clacson per avvertire la popolazione, davanti a noi c’è un parco con i giochi per bambini, le altalene e le macchine per fare gli esercizi come in palestra, sono ormai invase dalla vegetazione che in questi anni di assedio si sta riprendendo il suo spazio tra i palazzi, nelle strade, dentro le case abbandonate. Nel giro di pochi minuti da tutti i palazzi e dalle strade intorno le persone arrivano come formiche, a volte urlando verso le finestre per avvertire anche gli altri che è arrivato il cibo. Intorno al furgone aspettano il proprio sacchetto che Vlad distribuisce elargendo grandi sorrisi, chi ha bisogno di medicine aspetta di parlare con Lona che distribuisce i farmaci. Appena ricevuti i sacchetti si dileguano scomparendo dalla nostra vista ma camminando in questo quartiere fatto di palazzoni di epoca sovietica. Si vede chiaramente dove queste persone abitano grazie alle tracce lasciate dal calpestio costante che crea dei sentieri nella vegetazione. Questa era una città di 35.000 abitanti, molti erano lavoratori nel grande complesso industriale dove oggi ci sono feroci combattimenti, dai primi mesi del 2014 è sotto assedio, prima dai separatisti russi e poi dall’esercito russo, e la situazione è estremamente pesante, come ci racconta un soldato di cui non sveleremo l’identità: «Dopo che è iniziato il conflitto in Israele i russi hanno sferrato un attacco massiccio usando centinaia di mezzi e migliaia di uomini, da giorni stiamo difendendo la città strenuamente e non ho mai visto una quantità tale di perdite russe perché eravamo pronti ad un attacco e preparati alla riposta. Il primo giorno sul lato Nord verso le miniere un convoglio di tank ha provato a sfondare la nostra linea ma non ci è riuscito, hanno perso tantissimi carri armati e uomini. Dopo una disfatta così pensavano che non avrebbero mai più riprovato ma sono tornati con un’altra colonna il giorno dopo e non è andata diversamente dal primo, non sappiamo come riescano a mandare cosi tanti uomini e carri anche dopo tali perdite ma è certo così non potremmo difenderci a lungo». Ci dicono che la situazione in generale è così su tutto il fronte intorno alla città, mentre Putin parla di «difesa attiva dei territori russi» qui a Avdiivka si testimonia tutt’altro, una offensiva in piena regola che se avrà successo potrebbe cambiare le sorti di tutto questa parte di fronte in Donbass. Così continuiamo a perlustrare la zona con le esplosioni che per direzione e quantità non capiamo più se siano in entrata o in uscita. Svoltiamo un angolo ed un signore attira la nostra attenzione, ci fa vedere il proiettile di un carro armato ucraino lasciato lì vicino a un palazzo accanto ai contenitori vuoti degli altri ordigni sparati, ci rendiamo conto che la battaglia è attiva anche in città e che quel colpo è stato dimenticato nella fretta di andar via. Non ce ne rendiamo conto subito e non li vediamo ma i soldati sono in tutta la città, nei sotterranei, nei punti di avvistamento, ne intravediamo qualcuno che guarda da una finestra al nostro passaggio, uno da lontano che ci guarda coperto sotto un albero, ma non hanno voglia di parlare, sono stremati e passano il tempo qui per riposare tra i turni sul fronte pochi palazzi più in là. Si sta facendo tardi, intorno al furgone ci sono ormai solo un paio di persone. Vlad inizia a innervosirsi, troppe esplosioni, il sole che cala, lui è uno di quelli che va ascoltato quando il suo istinto dice di andare, vuol dire che bisogna muoverci, la situazione sta cambiando. Così ci mettono nel retro del furgone e partono all’imbrunire dalla città. Fari spenti fino a dove si vede con la poca luce del tramonto, perché altrimenti si diventa calamite per i droni.
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Siamo entrati ad Avdiivka, che potrebbe presto cadere in mano russa. Ma qui la guerra è iniziata molto prima del 2022. Chi è rimasto si informa sulle posizioni dei soldati di Mosca e rifiuta di evacuare. Un gruppo di volontari porta cibo e farmaci sfidando i missili.
da Avdiivka
Siamo riusciti ad entrare ad Avdiivka, la cittadina a sud di Bakhmut sotto assedio e linea del fronte da anni. Sembra che anche questo luogo ora potrebbe cadere in mani russe, come d’altronde sta cadendo Bakhmut.
L’accesso non è più consentito a giornalisti e operatori umanitari, ma ci affianchiamo ad un gruppo di volontari che dice di sapere come fare per entrare e cosa dire ai soldati dei check point.
Kuba è il soprannome di un volontario polacco, uno di quelli che ha tirato fuori la gente dai posti più impensabili, uno di quelli che continua a rischiare la vita anche solo per la speranza di salvare una sola persona, e rischiarne tre o anche di più in base al tipo di missione. A fianco a lui ci sono Mark, un ex militare statunitense a cui manca soltanto il fucile, l’attrezzatura che indossa è la stessa di un Navy Seals. Ha il compito di guidare la jeep e assicurare la sicurezza della missione, oltre che aiutare a distribuire gli aiuti e ad evacuare le persone. Non può mostrare la sua identità e non ne vuole svelare il motivo, d’altronde non sono pochi gli ex militari che hanno convertito le loro vite in varie attività qui in Ucraina e non vogliono essere strumentalizzati. L’altro volontario è un paramedico polacco che nella vita civile svolge la professione di fisioterapista e qui, dove viene a sue spese e nel tempo libero, assiste i malati e dà il primo soccorso sui fronti più caldi.
Kuba ci spiega come ha cominciato, poco a poco, prima come volontario al confine polacco poi spingendosi sempre più al limite, fino ad essere diventato un «estrattore» conosciuto e stimato, tra gli addetti ai lavori si intende.
Partiamo la mattina di buon ora da Kostantinivka, la città più vicina ai fronti caldi del Donbas. Un posto perfetto dove avere una base per le evacuazioni con lo spazio per raccogliere gli scatoloni di aiuti e tanto tanto cibo per cani. Se non riescono a tirare fuori persone, infatti, allora ci provano con i cani e i gatti abbandonati, in fin di vita.
La base dista circa 25 minuti da Chasiv Jar, e un’ora da Avdiivka, partiamo abbastanza presto la mattina con due indirizzi in tasca da cui andare a portare aiuti e controllare delle persone che si pensa vogliano evacuare.
Kuba ci spiega che sono molti i motivi che lo spingono a rischiare la vita, anche solo riuscire a portare via una persona e lasciare latte in polvere, pannolini o cibo ne fa valere la pena.
Ci racconta che all’inizio, quando una città viene assediata, le persone fanno le corse per essere evacuate: «A volte dobbiamo fare due prelievi in una unica giornata, il che è rischioso, noi cerchiamo di fare queste operazioni nel minor tempo possibile, quindi entrare e uscire due volte da una città sotto assedio non è mai facile. Le persone che salviamo però sono la nostra benzina, ciò che ci fa andare avanti e che ci fa sentire orgogliosi di ciò che facciamo, io sono uno scrittore e un giornalista ma non posso stare a casa a scrivere quando posso operare sul campo, non potrei guardarmi allo specchio e con me tanti ragazzi che hanno trovato in questo tipo di volontariato un motivo di vivere».
Mark guida la range rover carica di aiuti e attrezzature verso l’ultimo check point dove i soldati di guardia sono cambiati e chiedono i documenti dando il divieto di accesso per i giornalisti. Fingiamo anche noi di essere paramedici, e non molto curanti della situazione i soldati ci fanno passare con la frase classica di chi non sa cosa fare esattamente. «Buona fortuna, speriamo che sappiate ciò che fate», è l’augurio con cui ci salutano
E Kuba pare proprio saperlo, una delle doti fondamentali quando si opera in un teatro di guerra è la navigazione, sapere come seguire una mappa, delle coordinate, incrociando più mappe diverse, e più informazioni. Lo sappiamo quanto è importante, e vedere che chi ci porta dentro questa città ha dimestichezza con questo genere di navigazione ci rincuora. In questi territori è molto facile sbagliare una strada e trovarsi nella terra di nessuno o faccia faccia con un blindato russo.
Ai margini della città gli altri posti di blocco che incontriamo sono abbandonati, fin dalla periferia si notano i tetti delle fabbriche scoperchiati, missili conficcati nei campi e nella carreggiata, carcasse di macchine e mezzi blindati abbandonati ai margini della strada.
Si sente sparare sui lati della città, noi entriamo al centro della zona ancora in mano agli ucraini, non vediamo grande presenza militare ma sappiamo dove è il fronte. Non possiamo esserne certi con precisione, i russi possono guadagnare spazio tra i palazzi anche in poco tempo, quindi bisogna sempre ascoltare e guardarsi bene intorno, molto bene.
Entriamo in città facendo lo slalom tra i detriti sulla strada, arriviamo al «centro dell’invincibilità», i palazzi intorno sono tutti con le finestre rotte e per lo più colpiti da varie tipologie di bombe e proiettili, alcuni crollati. Questi centri sono degli hub organizzati da volontari dove le persone vanno a cercare cibo, internet, elettricità, dove si scaldano e si scambiano informazioni con i pochi altri civili rimasti.
Davanti alla porta c’è un gruppo di volontari, appena scendiamo sotto notiamo come questo centro rispetto a quello di Chasiv Jar sia ben organizzato, illuminato, con molti prodotti in distribuzione compreso il caffè caldo. Una quindicina di cittadini per lo più anziani sono già seduti a mangiare, guardare notizie al cellulare o semplicemente al caldo.
Avdiivka è da anni sotto assedio e questa per molti di loro è diventata la normalità, c’è una signora che vorrebbe evacuare ma ha paura, non si decide a lasciare la propria casa, un’altra chiede informazioni, chiede dove siano i russi. Gli facciamo vedere la mappa più aggiornata che abbiamo, cercando di convincerla che ora forse la città verrà presa. Ma niente, non si convince, lasciamo le scatole di aiuti e cerchiamo di andare via da questo posto il più in fretta possibile perché nel frattempo tutto intorno i colpi dei russi esplodono tra i palazzi.
Corriamo al secondo indirizzo dove ci sono tre anziane signore che hanno chiesto della benzina per il generatore, così, appena sceso dalla macchina Kuba prende una delle taniche presenti nel bagagliaio e corre giù per le scale. Delle tre anziane una è a letto, non sta bene, parla con Kuba e si mette seduta sul letto dandosi un tono davanti a noi.
Il paramedico scende, la visita e la cura lasciando delle medicine e spiegando alle altre signore cosa fare in caso di malore, fuori nel frattempo si spara e i colpi iniziano a cadere vicino, troppo vicino alle nostre macchine parcheggiate, un gruppo si ripara dentro la porta di un palazzo. Mark, il nostro soldato americano, incurante, continua a sostare accanto alla jeep pronto a entrare e partire. Appena escono dallo scantinato il paramedico e Kuba, anche noi usciamo dai palazzi davanti e entriamo dentro i mezzi.
Rifacciamo la stessa strada presa all’andata e ci troviamo in poco tempo fuori dalla città dove in un pezzo scoperto fra i campi veniamo sorpresi da alcuni colpi vicini alla carreggiata. Probabilmente e per fortuna non sono indirizzati a noi ma ai carri armati che vediamo nei campi, proseguiamo il nostro viaggio verso zone sicure mentre i coraggiosi ragazzi con cui siamo entrati in questa città così difficile programmano la prossima missione di evacuazione.
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