2018-09-07
Autostrade e ministero: i 20 indagati per il Morandi rischiano 30 anni di cella
I pm di Genova hanno iscritto Aspi, i suoi vertici e pure i dirigenti dei Trasporti. Alle accuse si aggiunge l'omicidio stradale. Decisivi i verbali dei cda e le chat. Pronti i daspo a vita per i corrotti. Il governo vara il disegno di legge sui reati contro la Pa: con condanne sopra i due anni niente più affari con gli enti pubblici. Testo ammorbidito ma Matteo Salvini assente dal Cdm. Lo speciale contiene due articoli. A 23 giorni dal crollo del ponte Morandi sono arrivate le annunciatissime iscrizioni sul registro degli indagati. Ieri la Procura di Genova ha inviato a 20 dirigenti di Autostrade, della controllata Spea engineering, del ministero delle Infrastrutture e trasporti e del Provveditorato ligure delle opere pubbliche l'invito (che vale come avviso di garanzia) a partecipare all'incidente probatorio irripetibile che verrà realizzato sulle macerie del ponte prima del suo abbattimento. Il confronto tra accusa e difese avverrà alla presenza dei manager e dei tecnici sotto inchiesta assistiti da avvocati e consulenti e dei rappresentati della società Autostrade a cui viene contesta la violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Prevista anche la presenza dei rappresentanti delle 59 parti offese (43 defunte e 16 che hanno riportato lesioni più o meno gravi). Il procuratore di Genova Francesco Cozzi ha annunciato la presenza di due nuove contestazioni: l'omicidio stradale colposo multiplo e la contestazione della legge 231 per le società, per la violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. La motivazione la spiega lo stesso Cozzi alla Verità: «È collegato con il fatto che subito prima del crollo sul ponte era allestito un cantiere di lavoro. Non importa che, per fortuna, non sia morto nessun operaio. Per i principi della Cassazione è irrilevante che nell'area del cantiere, qualora pericolosa, abbia trovato lesioni o morte un lavoratore, la vittima può essere anche un estraneo». Il reato più grave contestato è l'omicidio stradale colposo plurimo che può essere sanzionato con pene fino a 18 anni di carcere. Il disastro colposo può arrivare a 12 anni e l'attentato alla sicurezza dei trasporti con conseguente disastro è punibile sino a 10 anni. «Essendoci più reati ed essendoci un concorso formale la pena massima può essere applicata sino al triplo, ma non può superare i 30 anni per legge», puntualizza l'avvocato Piergiorgio Assumma, presidente dell'Osservatorio nazionale vittime di omicidio stradale. Prosegue Cozzi: «Riteniamo che nella materia della sicurezza stradale rientri anche la sicurezza del sedime stradale, cioè dell'infrastruttura soprattutto di un ponte su cui si svolge la circolazione stradale. La sicurezza non riguarda soltanto l'insieme delle regole che attengono i comportamenti dei conducenti, ma può riguardare anche estranei, come è pacifico secondo la dottrina e una prima giurisprudenza: anche un addetto a un cantiere o al rifacimento delle righe qualora sia negligente imperito o imprudente risponde dell'omicidio stradale». A maggior ragione può riguardare chi ha permesso la circolazione stradale su un'infrastruttura che presenta profili di pericolo concreto per chi vi circola sopra. Qualche legale già arriccia il naso, ma l'avvocato Assumma dà ragione alla Procura: «Il primo comma dice che commette omicidio stradale chi viola le norme sulla disciplina della circolazione stradale e l'articolo 14 del codice della strada prevede gli obblighi del manutentore. A confermare questa interpretazione esiste una circolare del ministero dell'Interno del 25 marzo 2016 e un parere del Consiglio del di Stato». L'incidente probatorio avverrà dopo che saranno terminate le notifiche di richiesta dell'incidente probatorio. L'elenco dei nomi è presto fatto ed è in gran parte simile a quello già anticipato domenica da questo giornale. Nella lista ci sono il direttore generale del Mit per la vigilanza sulle concessionarie autostradali Vincenzo Cinelli, il suo predecessore Mauro Coletta; il direttore della Prima divisione Bruno Santoro (Vigilanza Tecnica e operativa della rete autostradale in concessione); il direttore della quarta divisione (Analisi e investimenti) Giovanni Proietti; il responsabile dell'Ispettorato di Genova Carmine Testa, il provveditore ligure Roberto Ferrazza e altri due ingegneri del provveditorato; l'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci; il responsabile centrale delle operazioni di Aspi Paolo Berti, il capo dell'ufficio Manutenzione e interventi Michele Donferri e il suo predecessore Mario Bergamo, più due ingegneri che tenevano i rapporti con i consulenti di Cesi e Politecnico e che potrebbero aver sottovalutato il contenuto dei dossier con gli allarmi; il direttore del tronco di Genova (dove è avvenuto il disastro) Stefano Marigliani e altri due dirigenti dello stesso ufficio (Paolo Strazzullo e Riccardo Rigacci). Nella distinta compaiono pure tre dirigenti della Spea Engineering, la controllata di Autostrade che ha realizzato il progetto e redatto report trimestrali sulla sicurezza: gli inquirenti hanno inserito nell'elenco degli indagati il responsabile del progetto Massimiliano Giacobbi e l'autore del piano sicurezza Massimo Bazzarelli. Gli investigatori del Primo gruppo della Guardia di finanza agli ordini del colonnello Ivan Bixio stanno esaminando il materiale sequestrato agli indagati, in particolare le chat dei dirigenti di Autostrade in cui in modo più o meno esplicito si fa riferimento alla sicurezza del Morandi. Ma alcune frasi, soprattutto su Whatsapp, sembrano sottintendere o completare discorsi avvenuti a voce e per questo andranno contestualizzate, magari durante gli interrogatori, anche se vengono considerate di possibile interesse per le investigazioni. Importanti, come avevamo anticipato, anche i verbali del cda e in particolare quello dell'ottobre 2017, consiglio in cui si discusse il progetto di «retrofitting» del ponte. Gli investigatori hanno messo sotto osservazione la presentazione di circa 3 pagine del direttore Donferri, mentre nelle mail verranno recuperati gli allegati inviati ai consiglieri a supporto della relazione. Il materiale servirà a determinare quanto fossero consapevoli del rischio sicurezza i membri del cda. Per lo stesso motivo i finanzieri stanno cercando anche tutte le carte a supporto della prima proposta di rifacimento del ponte risalente al 2015. Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/autostrade-e-ministero-i-20-indagati-per-il-morandi-rischiano-30-anni-di-cella-2602619659.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pronti-i-daspo-a-vita-per-i-corrotti" data-post-id="2602619659" data-published-at="1758171401" data-use-pagination="False"> Pronti i daspo a vita per i corrotti Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il ddl anticorruzione, uno dei provvedimenti più attesi e controversi del governo guidato dal premier Giuseppe Conte. I punti salienti del ddl sono il cosiddetto «daspo per i corrotti», ovvero il divieto di partecipare a gare pubbliche per chi è stato condannato per reati di corruzione; la possibilità di utilizzare agenti delle forze dell'ordine sotto copertura anche nella lotta ai reati contro la pubblica amministrazione; la possibilità di ottenere sconti di pena per i «pentiti», in pratica per coloro i quali entro sei mesi dal momento in cui si hanno commesso il reato, si autodenunceranno volontariamente e forniranno all'autorità giudiziaria indicazioni utili per assicurare la prova del reato e per individuare altri responsabili. In sostanza, anche per i reati di corruzione c'è la possibilità di usufruire dei benefici di legge concessi ai «collaboratori di giustizia» che aiutano la magistratura a perseguire i reati connessi alla criminalità organizzata. Il «pentimento» deve avvenire prima che l'episodio corruttivo diventi oggetto di inchiesta giudiziaria e comunque entro sei mesi dal fatto. Diventano inoltre perseguibili d'ufficio, quindi senza la necessità di una querela di parte, i reati di truffa, frode informatica, appropriazione indebita aggravata, anche nel caso in cui la persona offesa sia incapace per età o per infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità. Il testo approvato ieri è il frutto di una lunga mediazione tra Lega, M5s e Palazzo Chigi. Il vicepremier Matteo Salvini, in particolare, sul divieto a partecipare a gare pubbliche per i condannati aveva invitato alla cautela, e proprio la sua assenza al Cdm si è fatta sentire ieri. In ogni caso, il «daspo per i corrotti», originariamente concepito come perpetuo, è stato modulato: i condannati per reati di corruzione con pene inferiori ai due anni di reclusione potranno tornare a partecipare a gare di appalto pubbliche, ma soltanto dopo un periodo che va dai 5 ai 7 anni dall'esecuzione o l'estinzione della pena, purchè «il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta». Per i condannati a pene superiori ai due anni di reclusione, il «daspo» sarà a vita. Il divieto di partecipare a gare di appalto pubbliche riguarderà i condannati per peculato, malversazione a danno dello Stato, concussione, corruzione propria e impropria, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, istigazione alla corruzione, abuso di ufficio aggravato e traffico di influenze illecite. In caso di sospensione condizionale della pena, il giudice può disporre che la sospensione stessa non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. In sostanza, il condannato con pena sospesa non andrà in galera ma dovrà comunque scontare le pene accessorie. Per quel che riguarda gli agenti delle forze dell'ordine sotto copertura, i cosiddetti «infiltrati» che costituiscono un'arma molto importante nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, il ddl anticorruzione ne estende l'utilizzo anche per i reati di concussione, corruzione propria e impropria, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, traffico di influenze illecite e turbata libertà degli incanti. Anche su questa novità introdotta dal ddl anticorruzione si era scatenato il dibattito. L'agente sotto copertura, che con l'approvazione del ddl potrà essere utilizzato anche nel contrasto ai reati di corruzione, viene impiegato in inchieste che riguardano reati che sono già stati commessi, sono in corso o stanno per essere perpetrati. Ad esempio: l'agente sotto copertura che si unisce a un clan malavitoso per scoprire chi sono gli affiliati, può anche commettere un reato, ad esempio detenere stupefacenti o armi o «coprire» un latitante, perché questa azione serve a portare a termine la missione che gli è stata affidata dalla magistratura o dai suoi superiori. È stato anche eliminato il segreto per chi finanzia i partiti politici. I contenuti del ddl anticorruzione sono stati illustrati ieri, dopo il Consiglio dei ministri, dal premier Giuseppe Conte, dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dal vicepremier Luigi Di Maio. «Siamo di fronte», ha detto Conte, «ad una riforma strutturale per il paese». «Con questo ddl», ha commentato Bonafede, «la corruzione viene equiparata a reati gravissimi, come mafia e terrorismo, perché la corruzione è un reato gravissimo». «D'ora in poi», ha detto Di Maio, «non ci sarà mai più qualcuno che prende una bustarella con la serenità di sapere che dall'altra parte c'è per forza un corruttore. Si dovrà chiedere se non c'è un carabiniere o un poliziotto sotto copertura». Carlo Tarallo
Carlo III e Donald Trump a Londra (Ansa)
Tyler Robinson dal carcere dello Utah (Ansa)