2023-02-20
«Autonomia a marzo in Aula. E non la chiede solo il Nord»
Il ministro Roberto Calderoli: «Per il Sud è un’opportunità di crescita, a opporsi è chi non vuol rispondere della propria malagestione. La Lega ha invertito il trend. Ora basta politica a Sanremo».Roberto Calderoli, ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, facciamo il punto sull’autonomia differenziata. La strada è ancora lunga?«Ci sto lavorando. Mercoledì prossimo andrà in conferenza unificata. Poi l’approvazione definitiva e ai primi di marzo la trasmissione al Parlamento. Diciamo che entro un anno dovremo arrivare al sì finale». Resta il fatto che non sono ancora definiti i cosiddetti «livelli di prestazioni essenziali», per evitare regioni di serie A e di serie B…«Su questo, per dirla alla siciliana, mi girano gli zebedei a elica. I cosiddetti “Lep” esistono dal 2001, ma da allora nessuno li ha mai definiti nei particolari. E questo perché lasciare le cose a mezz’aria ha sempre fatto comodo a tutti».Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi si è detto «spaventato»: troppi poteri in mano alle regioni, dice. «Tanto per cominciare, l’elenco delle materie di competenza regionale l’abbiamo ereditato dall’ultima riforma della sinistra. E poi teniamo presente che una regione può chiedere una materia, o una parte di questa, a fronte però di un negoziato con il governo. E a seguire il Parlamento esprime un atto di indirizzo sulla pre-intesa, e un voto a maggioranza assoluta sull’intesa definitiva. Non è che una regione chiede, e in automatico viene accontentata». Insomma, cosa vede dietro le critiche?«Ci vedo da un lato il perseguimento di certi interessi politici. Dall’altro il desiderio di aggirare le proprie responsabilità e nascondere la malagestione di certe regioni». Siamo sicuri che il presidenzialismo possa marciare in parallelo con l’Autonomia?«Mi auguro proprio di sì, e per questo bisogna definire il percorso. Non spingo perché arrivi prima un progetto o l’altro. Stapperò la bottiglia al primo traguardo tagliato». Dicono che con l’Autonomia del Nord…«Per carità, non la chiami “Autonomia del Nord”. A chiedermi autonomia sono anche le regioni del resto d’Italia: Campania, Lazio, Marche, Umbria. La richiesta arriva da 9 regioni che corrispondono al 72% della cittadinanza, se consideriamo i territori a statuto ordinario». Dicono che con l’Autonomia differenziata le regioni del Nord diventeranno troppo attrattive per le imprese, e il Sud finirà desertificato. «Purtroppo è già così. Ma facciamoci la domanda: come mai molte imprese, già oggi, decidono di investire al Nord? La scelta è molto semplice: da una parte c’è la filosofia dell’Autonomia e della responsabilità, dall’altra la filosofia del reddito di cittadinanza. Che facciamo: diamo al Sud un’opportunità per crescere, o ci accontentiamo di uno Stato che elargisce sussidi?». Se lo aspettava il risultato delle Regionali?«Non mi aspettavo nulla di diverso. Soprattutto la conquista del Lazio la considero importantissima, in una regione dove Zingaretti è fuggito, facendosi eleggere in Parlamento, per colpa di un termovalorizzatore. Evidentemente la cittadinanza lo ha giudicato di conseguenza». E la Lega?«Non solo ha conservato il suo consenso, ma è cresciuta di tre punti rispetto alle politiche. Poche chiacchiere: abbiamo invertito il trend». Non è preoccupato per il crollo dell’affluenza? «Non è mica una novità. Negli ultimi trent’anni la partecipazione alle elezioni politiche è crollata dal 93 al 63%. Nel 2014 Bonaccini è stato eletto governatore con il 37,5. A giugno alle amministrative per i sindaci non siamo arrivati al 50».Come si corre ai ripari?«Ci sono delle piccole accortezze logistiche che bisognerebbe ripristinare: come l’avviso elettorale, che una volta si spediva a casa del singolo cittadino per ricordargli di andare a votare». Tutto qui?«I partiti dovrebbero piantarla di delegittimarsi reciprocamente. Ogni giorno va in scena l’ennesima polemica inutile che allontana l’elettore dalla politica. Ma questo centrodestra è partito col piede giusto, con un programma concreto che sta dimostrando, un passo alla volta, di voler realizzare». Insomma, il Paese reale non è il festival di Sanremo? «Mi spiace per la città di Sanremo, che dopo quello spettacolo è diventata un simbolo della sinistra. Per quanto mi riguarda, non ho praticamente guardato un secondo di festival. Quanto a qualità, è meglio lo zecchino d’oro». E perché?«Sbaglia la Rai a consentire che si faccia un uso strumentale della musica e della cultura a fini politici. A Sanremo si canti e basta». Troppi messaggi politico-sociali?«Cosa vuole che me ne importi di quello là che prende a calci i fiori durante l’esibizione? E cosa c’è di scandaloso in quei due ragazzi che si baciano in bocca?» Me lo dica lei. «Lo facevano già nel mio liceo sessant’anni fa: io che sono figlio del ’68 me lo ricordo bene. Ma dove sta oggi lo scandalo? Quelli che si auto organizzano gesti del genere lo fanno solo per creare polemiche e acquistare like». E Fedez che strappa la foto di Bignami, come lo giudica?«E chi è Fedez?».Mai sentito nominare?«Non so chi sia. Ma conosco Guccini, che con “La locomotiva” ha trasmesso grandi contenuti sociali in una bella canzone. Senza fare tante sceneggiate». Influencer e rapper sono divenuti il punto di riferimento di una certa sinistra?«Perfetto, visto che poi è la stessa sinistra che finisce trombata alle elezioni». Paola Egonu ha detto che l’Italia è ancora un Paese razzista? «Il fatto che in giro ci sia qualche razzista non significa che lo sia l’Italia intera. A Bergamo, l’altro giorno, durante una partita delle giovanili, il papà di un giocatore ha aggredito l’arbitro: ma questo significa forse che tutti i genitori sono violenti?».Quanto alla Egonu?«Vorrei confrontarmi con lei, chiederle spiegazioni. Lei stessa in Italia ha potuto studiare, affermarsi, diventare cavaliere della Repubblica, ricevere meritate entrate economiche». Non può fare la vittima?«Dopo aver condotto Sanremo? No, perché altri sono più titolati. Se io fossi il direttore artistico del Festival assolderei piuttosto Bebe Vio, campionessa mondiale, in rappresentanza dei tanti disabili ingiustamente discriminati nella vita di tutti i giorni». Ma oggi in Italia c’è più razzismo di ieri? «No, di meno. Stiamo parlando di percorsi storici di cui occorre essere consapevoli. Una volta in Svizzera comparivano cartelli del tipo: “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”, ma oggi siamo rispettati. Allo stesso modo, trent’anni fa da noi c’erano pregiudizi nei confronti dei meridionali: oggi non è più così, e a Milano la gente del Sud gestisce personalmente imprese, ristoranti e bar». E il razzismo contro gli immigrati?«Quello non nasce mica dal colore della pelle, ma dal desiderio di quieto vivere. Il razzismo scaturisce dalla mancata integrazione: se vieni per lavorare, magari con una qualifica professionale e all’interno di un flusso migratorio regolato, è più semplice integrarsi ed evitare criminalità e spaccio». Ma parliamo di mobilità: Calderoli ha l’auto elettrica in garage? «Guardi, io ho fatto un sacco di attività sportiva. Ho fatto sci a discesa libera a discreti livelli. Ho corso in moto, ho vinto due prove del campionato europeo di rally». Ebbene?«Per uno come me, la macchina elettrica è onanismo mentale al volante». In che senso?«Non mi interessa, sulla macchina elettrica non ci salgo. Io voglio sentire cantare il motore a sei cilindri: una vera sinfonia. Altro che Fedez». Lo vada a spiegare a Bruxelles, che bandisce le auto endotermiche nel 2035. «Un suicidio, e nemmeno assistito ma fortemente voluto dall’Europa. Una follia che porterà alla rovina interi comparti produttivi, e che ci renderà totalmente dipendenti dalla Cina».Colpa delle pressioni della lobby cinese, un po’ come avvenuto con il Qatar?«Non saprei. Mi chiedo solo chi si potrà permettere la macchina elettrica e la ristrutturazione “verde” della casa». Dunque?«Se devo cambiare l’auto, e anziché comprare una Punto usata sarò condannato all’elettrico, dove il modello più straccione costa 25.000 euro, come vuole che finisca? Saremo condannati al “modello Beppe Sala”: ci vogliono tutti a piedi». Un’ideologia?«È la stessa ideologia che ha ispirato il superbonus del 110%, di cui peraltro hanno usufruito i ricchi. I poveri sono ancora lì a scartabellare gli articoli di legge, cercando di capirci qualcosa». Ma con lo stop alla cessione dei crediti non si rischia di nuocere alle imprese? L’Ance dice che «si è deciso di affossare famiglie e imprese in nome di non si sa quale ragion di Stato». «Tra il fallimento dello Stato e il fallimento di un’impresa, pur con dispiacere, la scelta è obbligata, perché senza lo Stato non c’è più l’impresa. Tutta colpa di un’operazione drogata che è costata all’erario 120 miliardi. Confesso che anch’io, quando uscì la trovata del bonus, sono stato attirato. Però un attimo dopo mi sono chiesto: ma come fa lo Stato a garantire una cifra superiore alla spesa del cittadino che ristruttura?». Si poteva scegliere soluzioni migliori?«Si poteva incentivare l’economia scegliendo una soglia più bassa del 110. Ma con un bonus così congegnato, era facile immaginare che i nodi sarebbero venuti al pettine. Un po’ come sta accadendo per Giuseppe Conte, anche lui destinato a scomparire. Insieme alle sue Cinque Stelle cadenti».