2024-09-28
L’arrivo dei produttori d’auto cinesi è un rischio per i nostri dati sensibili
Pechino può usare i veicoli per controllare le connessioni, ma Urso smentisce il «Corriere della Sera» sulle richieste di Dongfeng al governo. Anche per le Ong verdi gli obiettivi di emissioni 2025 sono irrealizzabili.Mentre il governo si prepara a perfezionare i documenti da presentare al Consiglio europeo con la richiesta di anticipare all’inizio del prossimo anno l’esercizio della clausola di revisione del Regolamento sui veicoli leggeri, attualmente indicato per la fine del 2026, e rivedere anche la norma sui nuovi target più stringenti per le emissioni di CO2, si apre un altro fronte.È noto da tempo che il ministero del Made in Italy sta vagliando la possibilità di accordi con un player cinese da affiancare a Stellantis. È un’azione esplorativa a 360 gradi ma con il presupposto che l’ingresso nel nostro Paese, non sarà con la formula dell’assemblaggio di parti importate ma con il coinvolgimento della componentistica italiana. Una nuova casa automobilistica deve essere un valore aggiunto per la nostra economia non una penalizzazione. Ieri il Corriere della Sera, in un articolo ha lasciato intendere che ci sarebbe qualcosa di più di un’iniziale analisi della situazione ovvero che la partita con i cinesi sarebbe in fase avanzata al punto che il gruppo automotive Dongfeng avrebbe posto pesanti condizioni in cambio dell’investimento in Italia. La tesi del quotidiano milanese però è stata seccamente smentita dal ministero dell’Industria di Adolfo Urso. Il Corriere è arrivato infatti a riferire che degli emissari del ministero del Made in Italy si preparano a un nuovo tour di visite di siti produttivi e a colloqui con Pechino. Il cuore della presunta trattativa non sarebbe solo di carattere finanziario e industriale ma strategico. Dongfeng è un piccolo produttore di auto elettriche controllato completamente dallo Stato e dal partito. In gioco non ci sarebbero solo gli impianti e la logistica ma qualcosa di più importante. Secondo quanto scritto dal Corriere della Sera, Pechino «ha iniziato a sollecitare il governo su un ruolo di Huawei nelle infrastrutture di telecomunicazioni in Italia». I servizi di rete di Huawei sono stati proibiti da vari Paesi, a partire da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Nuova Zelanda e circa un anno fa la Commissione europea aveva annunciato misure per evitare l’uso della tecnologia del gruppo cinese. Ora Huawei userebbe l’ingresso in Italia, tramite le soluzioni di connettività delle auto, come cavallo di Troia per tornare in Europa. In ballo c’è anche la tecnologia dell’intelligenza artificiale.Questo tema è così sensibile che recentemente l’amministrazione di Joe Biden della Casa Bianca ha presentato una norma per impedire l’utilizzo di software sviluppati in Cina nei veicoli «connessi» in circolazione negli Stati Uniti: il divieto si dovrà applicare alle automobili, ai camion e agli autobus ma non ai mezzi agricoli e ai macchinari minerari. Il motivo è la tutela della sicurezza nazionale, cioè si vuole impedire alle agenzie di intelligence cinesi di raccogliere informazioni sugli spostamenti dei cittadini americani o di sfruttare le automobili per accedere alla rete elettrica o ad altre infrastrutture sensibili. Il New York Times ha ricordato che sono motivazioni simili a quelle che hanno portato alla messa al bando delle apparecchiature di Huawei dalle reti di telecomunicazioni e all’indagine sulle gru cinesi presenti nei porti americani. Il Congresso, inoltre, ha approvato una legge che obbliga TikTok a distaccarsi dalla cinese ByteDance, pena il blocco della piattaforma.L’infotainment, ovvero le apparecchiature elettroniche presenti in modo massiccio sulle auto di nuova generazione che consentono la connessione alla rete, rappresentano un veicolo per raccogliere una massa consistente di informazioni anche strategiche. Come in Italia possa avvenire lo scambio tra investimenti e uso del 5G non è dato capire ma appare inverosimile.Ieri infatti è arrivata la secca smentita dal ministero del Made in Italy su quanto scritto dal Corsera. «Non è prevista alcuna missione in Cina e non è in atto alcun confronto né vi è alcuna richiesta in merito alle infrastrutture di telecomunicazioni in Italia e sull’intelligenza artificiale. Riguardo all’Ia nel settore dell’auto è vero esattamente il contrario di quanto riportato nell’articolo: come più volte già ribadito, in ogni MoU (documento che stabilisce le intese generali tra due parti, ndr) siglato dal Mimit con il governo o con le aziende cinesi è previsto che la parte “intelligente” di eventuali veicoli prodotti in Italia debba essere realizzata nel nostro Paese sotto le regole della sicurezza nazionale ed europea».Il tema dei rischi dell’ingresso delle tecnologie cinesi è d’attualità e la presunta richiesta del gruppo Dongfeng, indica che l’obiettivo non sono solo gli stabilimenti ma Pechino potrebbe usare l’auto per arrivare a controllare la rete di connessione. La battaglia di Urso è anche sui livelli più stringenti delle emissioni di CO2 che scattano da gennaio prossimo. Perfino la Transport & Environment (T&E) la principale organizzazione non governativa europea ferma sostenitrice della transizione all’elettrico, riconosce che tutti i grandi gruppi automobilistici sono molto lontani dai target che scatteranno il prossimo anno. Per rispettare gli obiettivi di emissioni la quota di mercato delle elettriche dovrebbe salire al 20-22%, ma oggi la diffusione delle auto full green è sotto il 15%. Questo significa arrivare a vendere un’auto a batteria ogni quattro a combustione. Un obiettivo non raggiungibile entro il 2025. La T&E dice che la soluzione per diminuire le emissioni è di aumentare la vendita di ibride. Certo le ibride sono più accessibili ma siccome non hanno gli stessi risultati, come abbattimento delle emissioni, vanno vendute in numeri importanti. Come sempre c’è da confrontarsi con un mercato che finora ha mostrato di non voler seguire le scelte ideologiche.
Jose Mourinho (Getty Images)