2022-04-07
Aumentano le infezioni tra i medici e negli ospedali manca il personale
I vuoti in corsia rischiano di allungare ulteriormente le liste di attesa per visite specialistiche e interventi. Continua il ricorso, da parte delle Asl in diverse Regioni, ad anestesisti e rianimatori presi da cooperative.Lo stato di emergenza è finito, però i sanitari sono obbligati a fare il vaccino contro il Covid fino al prossimo 31 dicembre e intanto continuano a contagiarsi. Non c’è terza dose che regga, prendono il virus o si riammalano e gli ospedali, più che problemi di ricoveri e occupazione delle terapie intensive, hanno la grossa grana di medici e infermieri che mancano all’appello. Il Veneto sembra messo malissimo, contava ben 2.260 infettati al 31 marzo, inserendo nel conteggio degli assenti per Covid anche i medici di base e i pediatri di libera scelta. La settimana precedente erano 1.982. Un numero enorme di professionisti non disponibili nelle strutture sanitarie e sul territorio, così reparti e ambulatori sono sempre in affanno. Prima, per la gestione dell’epidemia, con le scarse risorse e i pochi operatori a disposizione, adesso, con personale sempre ridotto e per di più malato. La Regione amministrata da Luca Zaia è tra le poche a indicare il numero di dottori, infermieri, tecnici sanitari risultati positivi al tampone, molte altre nemmeno forniscono il dato nel bollettino giornaliero.«Ormai siamo abituati a fare a meno mediamente di 130 dipendenti a settimana, infettati», ha dichiarato al Corriere del Veneto Edgardo Contato, direttore generale dell’Usl 3 Serenissima. La riorganizzazione è continua, per spostare operatori e garantire la funzionalità dei servizi. «Il risultato è che, come sempre, chi resta in corsia deve sobbarcarsi un doppio lavoro», ha spiegato Giovanni Leoni, segretario regionale della Cimo, il sindacato degli ospedalieri. Oltre a medici e infermieri che non possono lavorare, sebbene positivi con pochi sintomi, ci sono i non vaccinati sospesi, costretti a rimanere a casa. I guariti e riammessi in corsia, fino a quando non scadranno i 90 giorni dal superamento del Covid e dovranno scegliere se vaccinarsi o subire una nuova sospensione, sono troppo pochi per coprire le necessità delle aziende sanitarie. Nel Veneto, stiamo parlando di appena 106 medici e 126 infermieri non vaccinati rientrati al lavoro, quando il bollettino dei sanitari contagiati ne conta quasi 3.000 in sette giorni. Nel vicino Friuli Venezia Giulia, non è che la situazione sia tanto migliore. Quotidianamente la Regione segnala una media di 40 operatori positivi al tampone, con punte di 70, come il 29 marzo, tra ostetriche, camici bianchi, infermieri, logopedisti, Oss, terapisti. Senza contare gli operatori nelle residenze per anziani, altra strage di addetti che fa aumentare in modo preoccupante i vuoti nella sanità territoriale. Posizioni che devono essere ricoperte al più presto, se non si vogliono allungare ulteriormente le liste d’attesa di chi già ha dovuto rimandare visite e interventi nell’emergenza durata due anni. Il cronoprogramma delle prestazioni arretrate procede con difficoltà in tutto il Paese, il recupero di diagnostica, specialistica ambulatoriale, ricoveri richiede la disponibilità di specialisti che o non ci sono, o sono troppo pochi per affrontare i pesanti ritardi nella sanità. La Verità ha segnalato come molte Asl stiano ricorrendo ad anestesisti e rianimatori spesso forniti da cooperative poco qualificate, per selezionare professionisti della sanità. Come la cooperativa La Fenice di Sassuolo, vincitrice di molti appalti di assistenza medica in diverse Regioni, ma anche rifiutata da aziende sanitarie per poca trasparenza o irregolarità nelle gestioni del personale. O la cooperativa presieduta da Luigi Buompane, diplomato in un istituto alberghiero eppure selezionatore di camici bianchi, che alla trasmissione Fuori dal coro di Mario Giordano su Rete 4 aveva dichiarato: «Ho fatto un po’ di formazione, mi occupo delle risorse umane e i curricula li scelgo insieme a un’altra persona. Ma perché i medici devono essere selezionati da altri medici?». Magari perché c’è bisogno di professionisti nei reparti, che sappiano assistere e trattare i pazienti, mentre le cooperative forniscono perfino anestesisti e specialisti di medicina d’urgenza. Secondo il Corriere della Sera, circa venti strutture sanitarie della Lombardia, sulle cento dotate del reparto d’urgenza, hanno affidato la copertura di una parte dei turni a cooperative esterne. Ma l’elenco sarebbe parziale. «Reclutare personale in più è il problema principale», conviene Massimo Uberti, direttore generale dell’Usl della Valle d’Aosta. Due giorni fa ha dichiarato che verrà pubblicato un avviso per gli operatori del vicino Piemonte, presi per l’emergenza Covid e non stabilizzati, perché vadano a lavorare nella sua Regione. Sono tanti i professionisti che non si sono visti trasformare il contratto a tempo indeterminato, perché i governi locali lamentano di non avere fondi a sufficienza. Intanto, però, il ministro della Salute, Roberto Speranza, dal prossimo ottobre potrà farsi la sua task force di ulteriore gestione Covid, assumendo una sessantina di persone grazie alla copertura finanziaria di 760.837 euro per l’anno in corso. Dal 2023, supererà i 3 milioni di euro l’anno, mentre le aziende sanitarie non assumono medici e infermieri che riportino alla normalità i nostri ospedali.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)