2023-01-03
L’attesa per una visita decisa da un algoritmo
Medici in Veneto costretti a stabilire l’urgenza degli esami con tabelle precompilate. Un bimbo con sangue nelle urine può aspettare tre mesi, mentre per un’emorragia in gravidanza si può attendere fino a dieci giorni. Il sindacato Fimmg: «Criteri inapplicabili».È un algoritmo che decide quanto tempo devi aspettare prima di una visita o di un esame diagnostico. Stanno creando sconcerto le tabelle Rao (Raggruppamenti di attesa omogenea) per l’accesso alle prestazioni specialistiche ambulatoriali, stabilite dalla Regione Veneto. Non viene più richiesta la valutazione delle condizioni dell’assistito, da parte del medico di famiglia o del pediatra di libera scelta. I dottori si devono limitare ad attribuire ai sintomi, alla documentazione clinica, ai referti presentati, una priorità che può essere urgente, breve o differita solo in base a elenchi prestabiliti. Un bimbo sta male, ha ematuria microscopica isolata persistente, ovvero sangue nell’urina? La tabella dice che ci sono 90 giorni di tempo per sottoporlo alla prima visita nefrologica. Il sangue, però, può essere conseguenza di problemi a uretere, vescica, uretra, o provenire dai reni e, come spiega la Società italiana di pediatria, bisogna escludere «patologie severe, quali le glomerulonefriti croniche». Perché, allora, far aspettare tre mesi un piccolo paziente? Anche «anomalie ecografiche renali asintomatiche», escluse sospette neoplasie, secondo le tabelle non dovrebbero far preoccupare un genitore e nemmeno il pediatra, costretto a prescrivere una visita entro 90 giorni senza tener conto di collegate complicanze e di possibili urgenze. «L’attribuzione della priorità è a tutti gli effetti, anche medico legali, un atto medico di cui solo il medico è responsabile e quindi non può essere sostituito da un semplice algoritmo che non tenga conto delle condizioni oggettivabili in quel momento e in quel contesto preciso di quel paziente», ha protestato Domenico Crisarà, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Padova e vice segretario nazionale del sindacato Fimmg, la Federazione italiana medici di medicina generale. In un documento, inviato ai colleghi, stronca la presunzione di attribuire «delle classi di priorità legandole a generiche situazioni patologiche», esautorando il medico della capacità di valutare lo stato effettivo di salute del paziente. Secondo Il Mattino di Padova, Crisarà avrebbe presentato anche «formale diffida alla società di software dall’applicare, nei programmi in uso in ambulatorio, le modifiche necessarie a rendere operativo il provvedimento», della Regione Veneto. Il modello Rao è «uno strumento fondamentale per la gestione della domanda», ha dichiarato l’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin, spiegando che si applica dal primo gennaio di quest’anno e che contiene linee di indirizzo da osservare «nel rispetto del principio di equità ed omogeneità». Scorrendo le tabelle con le classi di priorità, riesce davvero difficile credere che prescrizioni mediche con algoritmi possano essere fatte nel rispetto delle reali condizioni del singolo paziente. Per sanguinamenti in gravidanza, «sospetta anomalia strutturale fetale» o «sospetto ritardo di crescita fetale», il medico di famiglia non deve richiedere accertamenti immediati ma applicare la classe B di priorità, che prevede fino a dieci giorni di attesa per una visita/ controllo. E se la futura mamma sta rischiando di perdere la sua creatura, deve rassegnarsi ad essere declassata quanto a urgenza?La tomografia computerizzata (Tac) va assegnata a 30 giorni, in caso di «lesioni locali al fegato», e per fortuna è importante intervenire per tempo. Stesso tempo per una colonscopia, anche se il paziente ha «diarrea che perdura da almeno 30 giorni». Se ne soffrisse solo da due settimane, può aspettare tre mesi? Del tutto incomprensibile, inserire in una lista di attesa fino a 90 giorni la prima richiesta di mammografia «in paziente ad elevato rischio eredo/familiare in donne over 40». La prevenzione del tumore alla mammella che fine farà? L’ecocolordoppler, esame diagnostico per controllare lo stato di salute di vene e arterie e identificare alcune patologie vascolari, come aneurismi e trombosi, si applica a 30 giorni in caso di pazienti con cardiopatie ischemiche, o a 90 in presenza di «familiarità per cardiopatia a trasmissione genetica». Eppure, l’analisi delle immagini prodotte «consente di valutare in tempo reale la velocità e la direzione del flusso sanguigno evidenziando numerose malattie, sia nei bambini sia negli adulti», raccomanda l’Istituto superiore della sanità. Ed è molto utile per valutare l’evoluzione di una particolare patologia, quindi perché precludere dalla prescrizione le osservazioni del medico curante?Mamma e papà sono allarmati, perché il loro piccolo soffre di dolori addominali ricorrenti o di «sospetta sensibilità chimica multipla», che solo a scriverla mette in brividi, perciò cercano il parere di un allergologo? Visita a 90 giorni, deve scrivere il pediatra di libera scelta. Non ha caselle da spuntare, aggiuntive, per segnalare condizioni di particolare rischio o gravità. La Regione Veneto l’ha svuotato di ulteriore professionalità, alla faccia della valorizzazione della medicina del territorio. Se sbaglia valutazione, ci rimette il paziente. «Quesiti diagnostici non corretti rendono nulla la classe di priorità, derubricando la prima visita/accesso in prestazione di controllo», avvertono da Palazzo Balbi. Assicurano che l’applicazione delle tabelle Rao «consente di uniformare il nostro sistema di prescrizione a quello delle altre Regioni italiane che lo hanno già adottato». La nostra impressione, invece, è che imponendo tempi di attesa così assurdi, sarà ben difficile recuperare i ritardi accumulati con il Covid e prevenire ben più gravi patologie.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)