2023-08-21
Attenti alla scuola artificiale
Mentre le aule cadono a pezzi, il Pnrr punta tutto sul digitale L’insegnante perderebbe la sua centralità, ed è un problema.Il linguista Massimo Arcangeli: «L’eccesso di tecnologia danneggia il senso critico, l’ho riscontrato con la didattica a distanza».Il docente di Pedagogia Adolfo Scotto di Luzio : «Si cerca l’innovazione a tutti i costi senza pensare ai pericoli. I veri beneficiari saranno le aziende».Lo speciale contiene tre articoliAddio vecchia lavagna. Nella scuola 4.0 ci saranno mega schermi in 3D, gli studenti saranno forniti di visori che li accompagneranno attraverso le lezioni digitali e al posto dell’insegnante di chimica o del prof di inglese, ci sarà una sorta di avatar. Il tutto all’interno di un’aula specifica dotata di strumenti all’avanguardia. Benvenuti nell’intelligenza artificiale pronta ad entrare nelle aule scolastiche. La rivoluzione digitale dovrebbe avvenire proprio da quest’anno. Il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, prevede la Scuola 4.0. Così mentre i presidi sono alle prese con la quadratura del cerchio degli organici, tra supplenti da recuperare per colmare le carenze del personale di ruolo, i cantieri aperti per riparare infiltrazioni d’acqua, cambiare gli infissi, sistemare alla meglio le aule e le palestre, organizzare le mense, devono vedersela pure con i progetti della digitalizzazione. Si parla di aule immersive, laboratori di realtà aumentata ma nessuno sa bene quali saranno i reali cambiamenti e soprattutto le implicazioni sulla didattica e l’apprendimento. Il precedente delle lezioni da remoto durante la pandemia non ha prodotto risultati che dovrebbero incoraggiare a seguire la strada della sostituzione degli insegnanti con le macchine. Eppure pare che prevalga la dittatura delle mode, senza se e senza ma. Le prove Invalsi hanno dimostrato gli esiti disastrosi dell’insegnamento fuori dalle aule. Due quattordicenni su cinque sono risultati fermi alle competenze da quinta elementare e uno studente su tre tra quelli che hanno affrontato la maturità, era fermo al livello della terza media. Perdite di apprendimento maggiori per l’italiano e la matematica. La mancanza del rapporto con l’insegnamento ha inciso profondamente nella preparazione. Eppure si va avanti negando il ruolo centrale del docente. Le nuove tecnologie sono la moda del momento e guai a chi solleva una voce critica. Per la digitalizzazione degli istituti scolastici e della didattica in classe, il Pnrr prevede 2,1 miliardi di euro che dovranno essere impiegati per acquistare strumenti tecnologici, ammodernare le aule, creare nuovi laboratori e formare gli insegnanti.L’obiettivo del progetto Scuola 4.0 è di trasformare le classi tradizionali in ambienti innovativi di apprendimento e creare laboratori per le professioni digitali del futuro. Chissà se qualcuno ha detto agli esperti di tale progetto che in tante aule ci sono infiltrazioni d’acqua e che gli infissi delle finestre sono talmente vetusti da far passare i rumori dell’esterno e gli spifferi d’aria. Alla realizzazione dell’obiettivo del Pnrr dovranno pensare le scuole che entro il prossimo 30 settembre devono presentare i progetti relativi ai costi di studio. I fondi sono ripartiti in base alla grandezza della scuola quindi circa il 30% degli istituti avrà più di 250mila euro, il 28% avrà tra i 150 e i 250mila euro e il 42% avrà meno di 150 mila euro. Le regioni che hanno ricevuto il maggior numero di risorse sono quelle più grandi come la Lombardia, la Campania, la Sicilia, il Lazio e la Puglia. In coda invece regioni come Friuli Venezia Giulia, Umbria, Molise, Basilicata e Valle d’Aosta. C’è poi il tema della formazione degli insegnanti. Se ne occuperanno il ministero dell’Istruzione e le aziende fornitrici degli strumenti digitali. Un esercito di formatori sono pronti per il nuovo business che per le aziende non si ferma qui. Le nuove macchine richiedono un aggiornamento continuo così come personale sempre al passo con le novità. Sarà interessante vedere come gli istituti e con quali risorse faranno fronte alle nuove spese o si trasformeranno in depositi di strumenti obsoleti.Il progetto prevede che tutto sia pronto per fine 2024. Due i percorsi: il primo è denominato Classrooms e prevede la trasformazione digitale delle classi. Il ministero dell’Istruzione ne vuole realizzare 100mila. Il secondo è il Labs, ed è destinato alle scuole superiori per l’allestimento di laboratori all’avanguardia per le professioni digitali. Quegli istituti in grado di cavalcare questa innovazione tecnologica potrebbero fare il pieno di iscrizioni, contando sul maggiore appeal da parte di famiglie e alunni. Un tempo era il prestigio di una scuola per la preparazione degli insegnanti, che faceva la differenza. Ora, a quanto pare, basterebbe avere un laboratorio in più. Al bando hanno aderito praticamente tutti gli istituti (non sia mai mostrarsi poco in linea con le mode) ma non senza problemi, visto che scrivere un progetto in chiave digitale non è semplice e richiede una macchina organizzativa per la ricerca dei formatori e delle aziende che le scuole al momento hanno impegnato in altre priorità: vedesi la copertura delle cattedre con i docenti di ruolo e i supplenti. Ma a quanto pare questi «problemucci» sono passati in secondo piano. Secondo uno studio condotto dall’Osservatorio sulla transizione digitale del mondo della scuola di Aura Immersive, il 96,7% dei dirigenti scolastici e degli insegnanti partecipa al bando «Scuola 4.0» anche se solo il 12,3% delle scuole ritiene di avere il personale formato per gestire una innovazione così importante. In questa euforia per le nuove tecnologie mancano gli studi critici sull’impatto che avrebbe togliere all’insegnante la centralità. Secondo gli esperti da noi interpellati c’è il rischio di una omologazione della preparazione oltre a un impoverimento. Affidare sempre più alle macchine la crescita nelle conoscenze, comprimendo lo spazio per il confronto con il docente, lo sviluppo del pensiero critico, rischia di creare soggetti culturalmente deboli. Il linguaggio dei social ha cambiato il modo di esprimersi delle nuove generazioni, sempre più carente di profondità. Dall’esperienza dei docenti emerge che chi esce dal ciclo scolastico superiore ha spesso difficoltà perfino ad interpretare un testo e a sostenere un contraddittorio. Non è inoltre dato sapere se le tecnologie saranno applicate e come alle materie umanistiche.E infine: siamo sicuri che mentre le aule cadono a pezzi e ogni anno c’è il balletto delle cattedre, siano le lavagne in 3D e i visori, la vera priorità?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/attenti-alla-scuola-artificiale-2664131890.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cosi-si-rischia-lomologazione-culturale" data-post-id="2664131890" data-published-at="1692514744" data-use-pagination="False"> «Così si rischia l’omologazione culturale» «L’ora di lezione deve restare centrale nella scuola. Poi si possono usare come complemento anche gli strumenti digitali ma non possono essere sostitutivi». Massimo Arcangeli è ordinario di linguistica italiana all’Università di Cagliari e da tempo studia il tema dell’intelligenza artificiale applicata ai percorsi formativi. «Sarà questo l’argomento centrale della Festa della Scuola in programma ad Ascoli dal 26 al 29 ottobre. Sarà l’occasione per fare una riflessione seria. Abbiamo visto quanti danni hanno creato le lezioni a distanza durante il Covid come hanno dimostrato i risultati delle prove Invalsi. I ragazzi stanno perdendo il pensiero critico, si sta andando verso una omologazione culturale. Si è iniziato aggredendo i contenuti, bandendo quei classici considerati politicamente scorretti sulla base di pregiudizi ideologici. Il passaggio dai contenuti ai mezzi formativi è automatico con un effetto omologazione preoccupante». Lei dice che la tecnologia può portare a una omologazione culturale? I giovani diventeranno tante marionette prime di capacità critica? «Parto dalla mia esperienza. Dopo il Covid, ho dovuto mettere in discussione il mio lavoro perché mi sono trovato di fronte ragazzi che non erano in grado di sostenere un colloquio orale con tranquillità come prima della pandemia. Ho riscontrato un deficit cognitivo che può derivare solo dall’insistenza coatta alla digitalizzazione non compensata dall’attività nel mondo reale. Quando manca il dialogo con l’insegnante e l’apprendimento avviene tramite le macchine, senza un confronto, si indebolisce la capacità di approfondimento, c’è appiattimento. Durante la pandemia ma anche dopo con l’uso intenso del web si è creato uno scollamento con la realtà. Il mondo del web, artificiale non è più nemmeno un doppio di quello reale, si sta sostituendo ad esso. Alcuni ragazzi stanno perdendo la distinzione netta tra realtà e dimensione artificiale». In che senso questo scollamento tra reale e virtuale? «La diffusione della violenza gratuita solo per stupire i propri follower, dimostra come il virtuale incida sul reale. Se vogliamo che gli studenti diventino cittadini responsabili, capaci di decidere con un pensiero critico solido, bisogna sorvegliare l’uso dell’intelligenza artificiale. Mi trovo di fronte, nella mia esperienza di docente, a un analfabetismo funzionale». Cosa intende per analfabetismo funzionale? «Le matricole hanno difficoltà a interpretare un semplicissimo testo. Se durante un esame, il docente chiede una discussione critica, cioè di andare oltre il nozionismo, entrano in difficoltà. Non ho mai conosciuto generazioni fragili come quella degli ultimi anni. Non sono in grado di sostenere un rapporto di confronto durante l’interrogazione. Sono ragazzi facilmente condizionabili con difficoltà a replicare in un contraddittorio, a rispondere in modo adeguato a qualsiasi sollecitazione che vada oltre le nozioni per superare l’esame. Non posso immaginare quando dovranno sostenere un colloquio di lavoro, o si troveranno di fronte a situazioni difficili. Questo impoverimento è figlio di un sistema anglo-americano dal quale abbiamo preso i concorsi con le risposte a crocette che selezionano i candidati non in base alla capacità di affrontare i temi in modo critico ma esclusivamente sulle nozioni. E le università di stanno adeguando». Come? «I docenti universitari di fronte a questo impoverimento, consapevoli della difficoltà dei giovani al colloquio, preferiscono le prove scritte». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/attenti-alla-scuola-artificiale-2664131890.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="lia-e-una-moda-non-vedo-come-possa-aiutare-gli-studenti" data-post-id="2664131890" data-published-at="1692514744" data-use-pagination="False"> «L’Ia è una moda: non vedo come possa aiutare gli studenti» «Mi piacerebbe proprio vedere queste classi ipertecnologiche. Il Pnrr sta creando una serie di aspettative destinate a scontrarsi con la realtà. Si parla di schermi al posto della lavagna quando mancano aule degne di questo nome. Sia chiaro non sono contro la tecnologia per cui in attesa del miracolo sospendo il giudizio». Adolfo Scotto di Luzio è professore ordinario di Storia della Pedagogia all’università di Bergamo ed è stato tra i primi ad affrontare il tema delle tecnologie nella scuola con il libro, nel 2015, Senza educazione. I rischi della scuola 2.0. Allora si discuteva sull’uso dei tablet, ora dell’Intelligenza artificiale, ma la scuola è pronta a recepire la rivoluzione tecnologica? «Mi sembra un inseguimento delle mode pensando di trovare nella tecnologia una soluzione alla crisi di motivazione tra i giovani. Poi c’è questa ossessione che bisogna sempre essere aggiornati. Si sventola la bandiera dell’intelligenza artificiale mentre le scuole cadono a pezzi, mancano gli insegnanti. Davvero si pensa che bastano due pc per risolvere i problemi dell’insegnamento? Si guarda all’Ia come a uno strumento salvifico ma senza conoscerne i rischi, le diverse soluzioni applicative. Ci si tuffa nel mito dell’innovazione a tutti i costi». Ma la tecnologia fa parte della nostra vita, perché la scuola dovrebbe restare fuori da questo percorso? «Non sono contrario alla tecnologia ma non vedo un progetto, non si capisce bene come dovrebbe essere utilizzata e soprattutto se è efficace dal punto di vista educativo. Si parte dalla convinzione che l’innovazione sia un bene a cui piegare la realtà. Non sappiamo nulla sulle applicazioni educative. E’ un modo patetico di considerare la tecnologia». Durante il lockdown l’insegnamento è stato possibile grazie all’uso dei pc. «Era una didattica di emergenza. Questo non significa fare innovazione ma usare una possibilità offerta dalla tecnologia attraverso la quale gli insegnanti hanno continuato a fare quello che facevano prima. E’ emerso anche che questa tecnologia non solo non compensava le differenze sociali ma le accentuava. I ragazzi con carenze culturali, hanno accumulato un ulteriore ritardo proprio perché è mancata la vicinanza con i docenti. Tutto era mediato dallo schermo del pc». Quindi sarebbe superflua se non dannosa la tecnologia nelle aule? «Non ho detto questo. La domanda è: cosa si fa con tale strumento? Se sto insegnando informatica è un conto, diverso se è letteratura italiana. Vorrei capire come aiuta e potenzia l’insegnamento ma nessuno in concreto sa come può servire a ciascuna materia, le implicazioni. Stiamo parlando sul nulla. Inoltre gli strumenti tecnologici comportano alti costi». Ci sarebbero i soldi del Pnrr. «Non mi riferiscono all’investimento iniziale. Questi oggetti hanno un elevato tasso di invecchiamento, dopo un paio di anni vanno aggiornati, ci deve essere un flusso costante nel rinnovamento. La scuola che viene dotata di tali strumenti verrebbe caricata di un onere finanziario consistente, con il rischio di diventare, in assenza di fondi, il deposito di un parco macchine destinato a diventare obsoleto in breve tempo. Alcuni istituti tecnici hanno programmi di studio avanzati sulle nuove tecnologie avanzati, come è giusto che sia. E chiedono di poter essere finanziati. Ma non si può estendere il tema a tutti i corsi di studio, con una generalizzazione superficiale. Poi c’è il tema della formazione dei docenti». Se ne occuperebbero le aziende che forniscono gli strumenti. «Ecco chi sarebbero i veri beneficiari di questa rivoluzione».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.