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Aliquota sui formaggi al 43%, sulla plastica al 35%, sulla carne al 20%... La Ue potrebbe reagire, però vuol salvare il Green deal.
«Gli Stati Uniti innovano. La Cina imita. L’Europa regolamenta». Recita il vecchio adagio. Che si parli di impresa o di tecnologia. E pure sui dazi, la storiella vale. Le tariffe di Trump hanno fatto parlare tutti di tutto. Dibattiti stucchevoli sui giornali e nei talk show televisivi. Ma alla fine, Trump i suoi dazi li ha imposti. E l’Ue li ha subiti. Del resto, si sa. Il cliente (gli Usa) ha sempre ragione. Neppure smaltita la depressione da parte degli europeisti, che ora pure la Cina mette i suoi di dazi. L’Unione europea si prende un’altra batosta. E gli europeisti muti.
Al momento i dazi sono provvisori ma si fanno sentire eccome. Si va dal 4,9% al 19,8% per le importazioni cinesi della nostra carne di maiale. Misura annunciata lo scorso 16 dicembre. Preceduta da quelli sul brandy pari al 34,9% in vigore dallo scorso 5 luglio. Si arriva ai dazi sulle nostre esportazioni di prodotti a base di latte e formaggio dal 22 dicembre. Si spazia dal 21,95 al 42,7%. È il frutto di un’indagine iniziata da Pechino nell’agosto 2023. Più di un anno prima che arrivasse Trump. Laddove i dazi non sono stati imposti, vedi i prodotti a base di gomma, è perché rimangono sui livelli precedenti con una ciclopica forchetta che spazia dal 12,5% al 222%. Sulle plastiche l’Ue subisce tariffe del 34,9% contro il 74,9% di ciò che importa dagli Usa.
Teoricamente dovrebbe essere Bruxelles ad avere la meglio in un braccio di ferro commerciale con Pechino. Così come Washington l’ha avuta con noi. Noi siamo infatti un grosso cliente per la Cina. Nel 2024 abbiamo importato dal Celeste Impero merci e servizi in misura pari a 562,5 miliardi di euro contro un export di 280,5 miliardi. Abbiamo cioè registrato, stando ai dati Eurostat, un deficit commerciale complessivo di 282 miliardi. Negli ultimi dodici mesi, al settembre 2025, lo sbilancio commerciale per quanto riguarda i soli beni ha toccato la cifra di 356 miliardi. Considerando che tradizionalmente il nostro surplus commerciale riguardo ai servizi non supera i 20 miliardi di euro, vi rendete conto da soli che a fine 2025 il nostro deficit commerciale con la Cina aumenterà considerevolmente. Ma se noi siamo un cliente e la Cina è un fornitore perché ne usciamo pure qui con le ossa rotte? Dovremmo essere noi ad avere la meglio coi cinesi così come Trump l’ha avuta con noi. E perché questo non succede?
Leggendo ciò che scrivono illustri esponenti del «partito cinese» in Europa e in Italia si intuisce perché non si parla di dazi cinesi e perché pure qui ne usciremo becchi e bastonati. L’armata del Dragone conta in Europa supporter di eccezione. Il più illustre è Romano Prodi. Il Professore non ha occhi (a mandorla?) che per Pechino. Appena 20 giorni fa in una delle sue consuete trasferte a Pechino intonava questa lode con sottofondo di violoncelli: «Lo sviluppo e la trasformazione della Cina mi colpiscono in ogni aspetto. I cambiamenti sono davvero straordinari. Prendiamo la tecnologia ad esempio: come economista non avrei mai immaginato che la Cina potesse realizzare un cambiamento simile. La sua capacità manifatturiera e l’efficienza produttiva sono ben note, ma è ancora più sorprendente il balzo nella catena del valore nel campo high-tech. Osservando la società cinese ho notato che il pubblico cinese accetta le nuove tecnologie più rapidamente di quello europeo». Prodi non contiene il suo entusiasmo. «Oggi i cinesi assorbono nuove idee e tecnologie molto velocemente. Il sistema industriale cinese è molto ampio, dall’abbigliamento alla manifattura più avanzata, ed è in grado di integrare queste diverse catene, formando un nuovo paradigma. La catena cinese del valore attraversa attualmente diversi campi produttivi, e questo modello è davvero unico». Ecco spiegato il benevolo atteggiamento dei media mainstream. Che tutto perdonano a Pechino e nulla invece a Trump.
Ma per comprendere la parte iniziale della nostra domanda, vale a dire perché la Cina detta legge nonostante il cliente sia l’Ue, occorre invece ascoltare un’altra illustre economista italiana: Lucrezia Reichlin. Ripetutamente presa di mira dal deputato leghista Alberto Bagnai perché sistematicamente sostiene che la Germania avrebbe un surplus commerciale con la Cina anziché un deficit. Per dirla alla Troisi: pensava fosse amore e invece era un calesse. E lo scorso 9 giugno dalle colonne del Corriere scriveva: «Il disaccoppiamento dalla Cina renderebbe il Green geal europeo irrealizzabile (magari, ndr). Gli analisti di Bloomberg avvertono che i pannelli solari e le componenti per i veicoli elettrici potrebbero aumentare i costi dal 30 al 50% se i Paesi occidentali la escludessero dalle loro filiere» e più avanti esortava a rafforzare il rapporto con la Cina visto che l’Europa considera «la transizione verde un obiettivo strategico e un mezzo per esercitare la sua leadership globale».
Di quale leadership parli l’economista non è dato sapere. Vogliamo dettare legge in qualcosa che non è un business senza neppure averne le tecnologie. E mentre il Pentagono in Usa investe in partecipazioni di minoranza strategica in società del settore minerario garantendo alle stesse commesse con prezzo superiore alla media, pur di sganciarsi dallo strapotere cinese nella fornitura dei minerali necessari, l’Ue invoca l’abbraccio con il Dragone per inseguire la transizione. Cioè per distruggere la nostra industria. In pratica paghiamo il killer perché ci uccida. Facendoci pure soffrire.
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Ecco #DimmiLaVerità del 23 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico commentiamo l'azione dei giudici nei casi della famiglia del bosco e di Vittorio Sgarbi.
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Secondo Pd e M5s sono dei «no vax». Lisei (Fdi): «Giusto dare voce a chi si fidò dello Stato». Ira dell’associazione ContiamoCi!
Guai ad audire i danneggiati dai vaccini anti Covid, perché sono «no vax». È la stravagante logica che la sinistra ha illustrato ieri, durante la riunione dell’Ufficio di presidenza della commissione parlamentare sulla pandemia. «Esponenti del Pd e del M5s», riferiva una nota dei meloniani,«si sono opposti alla proposta di Fratelli d’Italia di audire associazioni di danneggiati da vaccino anti Covid. In uno slancio di surrealismo, sono arrivati a definire sdegnosamente queste persone “no vax”. Ma come? Cittadini che si sono fidati del governo di allora e sono andati a vaccinarsi vengono ora etichettati come contrari al vaccino?».
La teoria dei rappresentanti dem e pentastellati, in particolare la senatrice Ylenia Zambito (Pd) e il deputato Alfonso Colucci (Movimento 5 stelle), sarebbe questa: gli ammalati hanno maturato le loro convinzioni - antiscientifiche, laddove il punto di riferimento della scienza forse sono i tweet di Roberto Burioni - dopo essere stati colpiti dagli effetti avversi delle iniezioni. Significherebbe che alle opposizioni non manca solamente il senso della realtà: uno che va a vaccinarsi non può essere contrario ai vaccini. Alla sinistra sembrerebbe fare difetto anche l’umana comprensione per i sofferenti. Voi come reagireste? Se doveste rimanere invalidi a causa di un farmaco, pensereste di avere il diritto di essere almeno un po’ incazzati? E non vi incazzereste ancora di più se i vostri rappresentanti vi negassero l’ascolto? I danneggiati da vaccini Covid non saranno mica stati tutti sostenitori del centrodestra. Ma se anche i medicinali di Astrazeneca, Pfizer e Moderna avessero selezionato politicamente le loro vittime, gli onorevoli della Repubblica, ai sensi dell’articolo 67 della Costituzione, sarebbero lo stesso chiamati a rappresentare la nazione. Cioè, tutto il popolo e non solo gli elettori di riferimento.
«Nonostante l’ostruzionismo», hanno promesso gli esponenti del partito del premier, «andremo avanti per dare risposte ai cittadini che attendono comprensione, protezione e giustizia dallo Stato». Raggiunto dalla Verità, il senatore di Fdi, Marco Lisei, presidente della commissione sull’emergenza Covid, ha ricordato che «la verifica su effetti avversi e danni da vaccino contro Sars-Cov-2 rientra nella legge istitutiva» dell’organismo parlamentare. «Quindi, era doveroso aprire questa indagine. Inizieremo con un breve ciclo di audizioni di soggetti istituzionali e associazioni maggiormente rappresentative di danneggiati. È una premessa», ha precisato, «perché poi ci sarà sicuramente bisogno di approfondire ulteriormente il tema». È plausibile che, mentre Pd e 5 stelle spingeranno per invitare membri di Aifa, Inail o Ema, la cui litania dovrebbe ruotare attorno al ridimensionamento del fenomeno degli effetti collaterali e alla rapida evasione dei risarcimenti, il centrodestra chiami a testimoniare quanti hanno patito sulla propria pelle le conseguenze di un trattamento sanitario che, semmai, avrebbe dovuto salvarli. «Maggioranza e opposizione», ha continuato Lisei, «hanno manifestato sensibilità diverse. Era mio dovere raccoglierle entrambe. D’altronde, credo sia giusto anche dar voce alle associazioni di danneggiati, che sono appunto persone che hanno rispettato quanto imposto dallo Stato, ma che stanno soffrendo danni e meritano tutele adeguate».
È un aspetto che non bisogna dimenticare: è vero che chi si recò negli hub vaccinali lo fece fidandosi delle indicazioni del governo e degli esperti; ma è vero pure che, in una escalation giuridica e dialettica di repressione, l’esecutivo di Mario Draghi e Roberto Speranza introdusse la «spinta gentile» del green pass, della sospensione dal lavoro e dallo stipendio e delle multe per gli over 50 renitenti. Era il periodo in cui i politici, i Vip e i telepredicatori in camice bianco gareggiavano a chi sparava l’invettiva più feroce contro i non vaccinati, o semplicemente contro chi contestava la carta verde: «Sorci», «Si paghino le cure in terapia intensiva», «Si usi il metodo Bava Beccaris su chi manifesta». Se chi si è sottoposto alla puntura, per convinzione o per costrizione, poi ne è rimasto deturpato, è sacrosanto che una commissione d’inchiesta gli dedichi un minimo di attenzione.
Alla Verità ha espresso tutto il suo sdegno per l’atteggiamento della sinistra anche Dario Giacomini, di ContiamoCi!. L’associazione raduna tante vittime del vaccino anti Covid e «condanna quanto avvenuto in Ufficio di presidenza». Il gruppo, ha commentato il dottore, «difende realmente la Costituzione. A differenza di chi si proclama suo paladino, ContiamoCi! ha sempre lottato contro l’obbligo vaccinale e ha difeso i lavoratori e i cittadini colpiti, senza mai discriminare chi ha compiuto scelte diverse. Medici, operatori sanitari e cittadini», ha proseguito Giacomini, «convivono in ContiamoCi! senza distinzione di stato vaccinale, perché lo stato vaccinale non è un criterio di valore, né di esclusione. Questa è uguaglianza reale, non propaganda. Oggi, ancora una volta, ContiamoCi! si schiera a fianco di chi, dopo essersi fidato delle indicazioni dello Stato, viene ora insultato e delegittimato da chi vorrebbe cancellare errori e responsabilità politiche. Le vittime non si zittiscono con le etichette. E la Costituzione non si difende negando i diritti, ma garantendoli». Se i danneggiati da vaccino sono una minoranza, tanto meglio: a Pd e 5 stelle dovrebbero piacere ancora di più.
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Turismo e ospitalità rappresentano la nuova leva strategica per la competitività del Paese: non più soltanto un comparto economico, ma una dimensione in cui si riflettono le trasformazioni socioculturale in atto.
Viaggi narra questa trasformazione: crescita dei numeri, nuovi modelli di accoglienza, attenzione alla sostenibilità e ruolo dell’innovazione tecnologica stanno ridefinendo il posizionamento dell’Italia nello scenario globale. I risultati positivi in termini di attrattività confermano la forza del suo patrimonio culturale, paesaggistico ed esperienziale, ma pongono al tempo stesso interrogativi rilevanti sulla gestione dei flussi, sull’equilibrio tra sviluppo e qualità della vita e sulla capacità di costruire modelli realmente sostenibili. Il turismo si afferma così come banco di prova per politiche pubbliche, strategie territoriali e visioni di lungo periodo. Ed è qui che l’ospitalità assume un valore che va oltre il servizio. Accoglienza significa progettazione, formazione, cura dei luoghi e capacità di interpretare bisogni in continua evoluzione. Un ecosistema complesso che coinvolge strutture ricettive, produttive, mobilità e intrattenimento, e che richiede competenze sempre più trasversali e una governance consapevole. A offrire chiavi di interpretazione autorevoli di queste trasformazioni le voci istituzionali più rappresentative del sistema produttivo e i protagonisti del turismo italiano. Le politiche territoriali e le strategie di attrattività trovano spazio attraverso le visioni di presidenti di Regione come Roberto Occhiuto, Marco Bucci, Alberto Cirio, Francesco Rocca e Marco Marsilio, mentre il ruolo della promozione nazionale e dei mercati internazionali viene affrontato da Ivana Jelinic, amministratore delegato di ENIT. Il punto di vista delle imprese e delle associazioni di categoria emerge con l’analisi di Marina Lalli, presidente di Federturismo Confindustria, chiamata a riflettere su crescita, destagionalizzazione e competitività. Il racconto poi si arricchisce delle voci di chi interpreta e comunica l’identità italiana: attraverso la storia dei territori, dell’enogastronomia, degli stili di vita, con i contributi di Susanna Galeazzi, Chiara Francini, Gioacchino Bonsignore, Vincenzo Venuto e Chiara Maci. Un dialogo che mette in relazione turismo, narrazione e percezione del Paese, restituendo una visione ampia e articolata dell’accoglienza come esperienza culturale. In questo quadro la Borsa Internazionale del Turismo si conferma piattaforma di confronto strategico grazie al contributo dell’advisory board composto da Simon Anholt, Paolo Audino, Giovanna Manzi, Caroline Schaefer e Paolo Verri, e alla riflessione sui nuovi ecosistemi del viaggio proposta da Emanuele Guido di Fiera Milano. Tecnologia, intelligenza artificiale, formazione e sostenibilità emergono come temi chiave per accompagnare l’evoluzione del comparto. La testata invita il lettore ad approfondire analisi, punti di vista e contributi qualificati che aiutano a interpretare il presente e a immaginare il futuro. Un viaggio nel turismo pensato per chi vuol vivere da protagonista l'economia di un Paese che si misura oggi con la propria maturità identitaria di accoglienza e la sua attitudine a trasformare le sfide in opportunità concrete.
Il turismo, difatti, definisce il posizionamento dell’Italia nel mondo, governarne l’evoluzione significa decidere la traiettoria del Paese.
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