2025-08-22
L’assemblea Mediobanca molla Nagel e boccia l’offerta su Banca Generali
Francesco Gaetano Caltagirone (Imagoeconomica)
A favore solo il 35%. No di Caltagirone, astenuti Delfin e le casse previdenziali. Unipol è uscita dal capitale come effetto del disco verde della Bce all’Ops del Monte. Ora Mps si trova la strada spianata per la sua scalata.Il fortino di Mediobanca ha perso l’ultima barricata. L’Ops su Banca Generali, trovata difensiva dell’amministratore delegato Alberto Nagel, è stata bocciata dagli azionisti. Alla fine è stato confermato l’antico adagio di Enrico Cuccia, fondatore della blasonata banca d’affari: «Articolo quinto: chi ha i soldi ha vinto». Legge fondamentale del capitalismo che si contrappone al sistema di relazioni di cui il banchiere siciliano è stato il sommo sacerdote consentendo la sopravvivenza di capitalisti senza capitali. E sempre grazie al capitalismo di relazione Cuccia e i suoi successori (Vincenzo Maranghi e Alberto Nagel) sono riusciti a governare la banca e, per molto tempo, anche la finanza italiana. Da ieri tutto questo è stato spazzato via proprio dalla forza dei capitali messi in campo dal gruppo Caltagirone e dalla Delfin guidata da Francesco Milleri. Hanno accumulato negli anni circa il 30% del capitale e ieri in assemblea hanno fatto valere la forza del loro investimento. Per dirla con l’ex ministro delle Finanze Bruno Visentini: «Hanno fatto valere la forza virile dell’azionista di maggioranza». E volendo fare un ultimo gioco di rimandi storici c’è un’altra considerazione da fare. Nagel, nel giorno della sconfitta, lamenta il fatto che i soci che lo hanno bocciato sono in conflitto d’interessi. Eppure per decenni Mediobanca è stata il monumento del conflitto d’interessi e Cuccia il grande sacerdote del rito attraverso i suoi complicati intrecci azionari. Tutto finito. Niente manovre di palazzo o capitani di ventura. Il castello è caduto sotto i colpi delle finanze solide di Caltagirone e degli eredi Del Vecchio attraverso Delfin. L’assedio è durato anni, come si conviene a una cittadella altamente fortificata come Mediobanca ma, alla fine, il bastione è caduto. Niente Banca Generali, niente trincee: il destino della banca d’affari milanese resta appeso all’offerta pubblica di scambio di Mps, la cui partita sembra già avere il finale già scritto. All’appello mancano 315 milioni perché l’Ops è ancora a sconto del 2%. L’eventuale rilancio entro l’8 settembre chiuderebbe la partitaNumeri alla mano, l’assemblea ha negato al cda l’autorizzazione a procedere con l’operazione Banca Generali che certo non brillava di trasparenza: agli azionisti di Banca Generali, infatti, sarebbe stato assegnato il 13,1% di Assicurazioni Generali in portafoglio a Mediobanca. Un po’ acrobatico. Nagel, fedele al suo ruolo, ha parlato di «opportunità mancata» per effetto di un voto espresso da azionisti con un evidente conflitto d’interessi, più attenti ai propri asset italiani che agli interessi di Piazzetta Cuccia. Il riferimento è chiaro: il gruppo Caltagirone, con il suo 10% del capitale che ha votato contro, e poi Delfin, che con il 20% circa ha contribuito a portare al 32% la quota di astenuti. A comporre il corteo delle astensioni anche le casse previdenziali (Enasarco, Enpam, Forense) con il 5%, investitori istituzionali come Amundi, Anima e Tages (circa 2% ciascuno) e quote analoghe di Edizione e Unicredit. Non ha partecipato Unipol, che ha già smobilizzato la sua quota di quasi il 2%. Ha venduto dopo lo spostamento dell’assemblea su Banca Generali, inizialmente prevista per il 16 giugno, quando la compagnia delle Coop era fra i pochi pronti a votare per Nagel. Il disco verde della Bce a Mps anche in caso di adesioni al 35% ha convinto del tutto il gruppo guidato da Carlo Cimbri che la partita contro Siena era di fatto già chiusa. Nagel ha potuto invece contare ora sull’appoggio degli investitori istituzionali, soprattutto esteri, che hanno votato sì con il 25% del capitale seguendo i consigli dei proxy advisor, e dei soci privati, pari al 10%, in gran parte aderenti al patto di consultazione. Il loro voto non è bastato. Nagel ha dovuto prendere atto della situazione. I soci sono più interessati al risiko con Generali e Mps che a sostenere la difesa del fortino. Fonti vicine a Delfin osservano che il voto è stato probabilmente una perplessità sulle modalità e tempi dell’operazione, più che una bocciatura strategica, ma Nagel non è convinto: parla di conflitto di interessi considerando che i soci più blasonati a cominciare da Caltagirone e Delfin sono anche azionisti di Mps e di Generali. Un accerchiamento in piena regola frutto di investimenti scalettati nel tempoNonostante tutto l’amministratore delegato mantiene la sua postazione. Il piano industriale One Brand – One Culture resta la bussola, e lui continua a difendere la «superiore generazione di valore rispetto all’alternativa rappresentata dall’offerta di Mps». Ma la realtà è chiara: senza Banca Generali, Mediobanca è come un castello senza fossato.La strada è ormai spianata per l’assalto di Mps, che anche con la sponsorizzazione del governo punta a consolidare un polo bancario nazionale. Se Mps supererà il 50% del capitale di Mediobanca, avrà il controllo. Se si fermerà al 35%, sarà un gioco di equilibri, alleanze e maggioranze che farà impazzire i mercati.Si annuncia comunque una concentrazione senza precedenti: una catena che, partendo da Mps, arriva a Mediobanca cui fa capo il 13% di Generali, a sua volta principale azionista di Banca Generali. Una potenza finanziaria senza precedenti. Per Giancarlo Giorgetti una garanzia in più sul collocamento dei Btp.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Lockheed F-35 «Lightning II» in costruzione a Fort Worth, Texas (Ansa)
Roberto Cingolani, ad e direttore generale di Leonardo (Imagoeconomica)