2024-11-24
Sull’arresto di Bibi deciderebbe Nordio. Ma pesano immunità e debolezza della Cpi
Benjamin Netanyahu (Ansa)
È compito del Guardasigilli dar seguito ai mandati della Corte, più volte ignorati. La Mongolia, per esempio, ha ospitato Vladimir Putin.Al mandato d’arresto internazionale che pende sul premier israeliano Benjamin Netanyahu e sull’ex ministro della Difesa Yoav Gallant per «crimini di guerra e contro l’umanità» sono seguite posizioni contrastanti. Nel tentativo di fare chiarezza, nell’ipotesi remota che Bibi dovesse arrivare sul suolo italiano, la persona designata a interfacciarsi e a cooperare con la Corte penale internazionale sarebbe il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. A dirlo è la legge 237 del 2012 che adegua l’ordinamento italiano allo Statuto di Roma della Cpi. Secondo la legge, l’autorità amministrativa spetta al ministro della Giustizia, mentre l’autorità giudiziaria alla Corte d’appello di Roma. In particolare, al ministro della Giustizia compete «ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito». Se necessario, il ministro può concordare «la propria azione con altri ministri interessati, con altre istituzioni o con altri organi dello Stato», oltre a «presentare alla Corte, ove occorra, atti e richieste». Infine «nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovute». Riguardo alla misura cautelare che precede la consegna della persona, «il procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, ricevuti gli atti, chiede alla medesima corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna».Sono presenti diversi scogli che possono bloccare o rallentare le decisioni della Cpi. Per esempio, ci sono legami tra la Corte penale internazionale e il Consiglio di sicurezza Onu: quest’ultimo può attivare ma anche sospendere temporaneamente le indagini e i procedimenti della Corte. Anche la questione dell’immunità del capo di Stato o di governo può dare vita a tensioni con la Cpi, che difende strenuamente il mandato d’arresto indipendentemente dalla carica ufficiale.Va ricordato che ad aderire allo Statuto di Roma della Cpi sono ben 124 Paesi, mentre altri 32 Stati, tra cui Stati Uniti, Israele, Russia e Cina non hanno espresso la volontà di ratificarlo. Va da sé che qualora Netanyahu e Gallant si recassero negli Stati Uniti, non rischierebbero di essere arrestati. Tuttavia, non è però raro che le decisioni della Cpi siano ignorate anche da parte di Paesi che ne hanno ratificato lo Statuto, con la conseguente crescita di fragilità in termini di autorità e consenso verso la Corte. L’ultimo caso in ordine di tempo è stata la visita del presidente russo Vladimir Putin, su cui pende dal 2023 il mandato d’arresto da parte della Cpi, in Mongolia, ovvero uno Stato che riconosce la giurisdizione della Corte. Se la Mongolia avesse ottemperato ai suoi doveri in qualità di Paese aderente, a quest’ora Putin sarebbe già stato arrestato, eppure così non è stato. Durante la visita a settembre, il presidente russo è stato accolto nella capitale Ulan Bator dall’omologo mongolo Ukhnaagiin Khurelsukh con una grande cerimonia. Il volto disteso e sorridente del presidente russo faceva già intuire che non sarebbe stato arrestato sul suolo di un Paese amico. Il 24 ottobre la Cpi è intervenuta sulla questione, affermando che «la Camera preliminare II della Corte penale internazionale ha rilevato che, non avendo arrestato Putin mentre si trovava nel suo territorio e non avendolo consegnato alla Corte, la Mongolia non ha ottemperato alla richiesta della Corte di cooperare». Con la conclusione che «la Camera ha ritenuto necessario deferire la questione all’Assemblea degli Stati parte». Inoltre, la Corte ha ribadito il concetto che l’immunità non si applica in questi casi, affermando: «Non è oppugnabile davanti alla Corte e non è prevista alcuna deroga», quindi «gli Stati parte e quelli che accettano la giurisdizione della Corte hanno il dovere di arrestare e consegnare le persone soggette a mandato di arresto, indipendentemente dalla carica ufficiale o dalla nazionalità». Tuttavia, lo sdegno della Cpi non si dovrebbe tradurre in azioni concrete, rimanendo una sorta di rimprovero formale. Infatti, quando uno Stato non rispetta gli obblighi verso la Cpi, quest’ultima può deferirli all’Assemblea degli Stati parte, senza che però seguano stringenti ripercussioni. Tornando indietro nel tempo, una situazione analoga si è verificata con il presidente del Sudan, Omar al Bashir, imputato di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio durante il conflitto in Darfur. Nel 2015 il Sudafrica si era rifiutato di arrestarlo, con l’Alta corte di Pretoria che aveva preso del tempo per valutare la richiesta della Cpi. L’allora ministro della Giustizia di Pretoria, Michael Masutha, aveva poi spiegato: «Il fatto di perseguire in Sudafrica i capi di Stato e di governo di altri Paesi implicherebbe una nostra complicità in eventuali cambi di regime».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)