
La fashion week meneghina è stata chiusa dai grandi nomi. Re Giorgio ha presentato linee morbide e accoglienti. Prada ha ridefinito il concetto di lusso ribelle. Zegna ha «rielaborato l’armadio del nonno», mentre Tod’s ha puntato su un’esperienza sensoriale.È Giorgio Armani a far scendere la clair sulla Settimana della moda milanese dedicata alle collezioni del prossimo inverno. È un vero re il «nostro» grande Giorgio, capace di essere sempre al passo con i tempi, con le voglie della gente, con le necessità quotidiane e con il piacere di essere vestiti bene dalla mattina alla sera. «La passerella per me è una proposta: la mia visione del momento attuale, che questa stagione è particolarmente libera da costrizioni e convenzioni», ha spiegato lo stilista, «E mi piace immaginare gli abiti che entrano nei guardaroba e nelle vite di uomini diversi per età e atteggiamento, e che vengono interpretati da ciascuno secondo la propria personalità. Fare moda, per me, significa creare strumenti che accompagnano la vita, rendendola idealmente più bella e confortevole». Il tocco inconfondibile finisce in una eleganza senza costrizioni e imposizioni. Tutto è morbido, avvolgente, dalle forme ai tessuti e alle maglie. Le silhouette si modificano: i cappotti e le giacche si amplificano, le camicie e i pantaloni diventano più sciolti e confortevoli; gilet zippati dal piglio sportivo finiscono anche sotto il tuxedo. Il formale si mescola all’informale: lane fini, sete e cashmere si uniscono a materie più consistenti. Fino ad arrivare ai montoni che diventano cappe, gilet, sciarpe. Il grigio prevale ma spiccano i tocchi di rosso rubino, verde smeraldo e blu giadeite. Seduzione come denominatore comune anche da Emporio Armani. Il fascino finisce in giacche in velluto lucido, pantaloni ampi e a vita alta, cappe e cappotti larghi e una sera dai tocchi orientali. «Ho voluto creare una collezione allo stesso tempo vivace e misurata. Mi piace l’idea di giocare con elementi estremi, come il metallo e i maculati, i tessuti a pelo lungo e i broccati, sempre visti attraverso la mia personale visione dello stile», conclude Armani. Se si vuole vedere il domani della moda bisogna guardare le sfilate di Prada. Questa volta è andata in scena la collezione uomo del futuro inverno 2025/2026. Ma anche le prossime volte sarà così: che si parli al maschile o al femminile, ciò che sale in passerella è sempre qualcosa che non ti aspetti, spiazzante. Miuccia Prada e Raf Simons hanno ridefinito il concetto di lusso ribelle che tradotto vuol dire essere sofisticati e veramente fighi in un modo completamente diverso da quello che si poteva immaginare prima. Un esempio? Timothée Chalamet alla presentazione del film A Complete Unknown, completo di velluto color caramello con la camicia lasciata fuori (che in sfilata è di pelle), gli occhiali con piccoli cristalli e stivaletti texani stile Bob Dylan. Dettagli che fanno tutto. Look dopo look sono mille i pensieri che si rincorrono: possono essere studenti universitari, veri esteti, magari studiosi di greco antico e filosofia; possono essere gli uomini che si vogliono distinguere con altezzosa indifferenza. Tanta è la distanza dalla normalità con quei cappotti classici di sartoria, quei pantaloni stretti che faticano a stare sopra gli stivali, spesso in colori forti e in tessuti setosi. Quelle pelli di montone che sembrano appena uscite da una conceria e che diventano grandi colli a volte sciallati, gilet, balaclava. Una nuova raffinatezza e un’eleganza intima, selvaggia. «Il romanticismo inteso come qualcosa di emotivo e immediato, la creatività senza troppe riflessioni e come qualcosa di profondamente umano», spiega Miuccia Prada. Liberate la mente e lasciatevi andare, in pratica. Una collezione che indaga la natura umana. E forse è proprio da lì che bisogna partire. Cosa si chiede oggi alla moda? Alessandro Sartori, direttore artistico di Zegna, risponde con un evento che ha fatto la differenza. «Nel 1963, Ermenegildo Zegna, il fondatore, istituì i Wool trophy awards in Australia per supportare gli allevatori nella loro ricerca della lana più sottile al mondo. A oggi, il record mondiale vellus aureum per la singola fibra di lana è stato raggiunto nel 2023 con una finezza di 9,4 micron». Il tessuto della collezione. «Il modo in cui abiti, storia personale e atteggiamenti si fondono è per noi centrale», continua Alessandro Sartori, «In questa collezione i capi sono scelti con nonchalance e mescolati spontaneamente raccontando un incontro di generazioni nel nome dello stile italiano. Lavorando con lane lavate e vellus aureum siamo stati in grado di trasferire la vita vissuta sui capi. C’è qualcosa di tipicamente torinese in questa collezione, nell’atteggiamento colto che le forme suggeriscono e nel modo noncurante in cui vengono indossate, che è una maniera peculiare di essere italiani». «Abbiamo aperto l’armadio del nonno Zegna e lo abbiamo rielaborato». Volumi più ampi, proporzioni ripensate. Blazer destrutturati con chiusure basse a due bottoni; cappotti oversize con colli in pelliccia di cashmere che arrivano fino al ginocchio. Parla di «esperienza sensoriale», Matteo Tamburini, direttore creativo di Tod’s che celebra lo stile discreto e senza tempo così come la qualità incomparabile della manifattura artigianale italiana del marchio di Diego Della Valle. Va in scena il design italiano tra Gio Ponti e Vico Magistretti, l’arte e il progetto Pashmy, massima espressione dell’eccellenza nella ricerca e selezione dei pellami più pregiati. Ecco il bomber e la shirt jacket nei toni naturali della terra; il Gommino in scamosciati, nappe e pellami spazzolati a mano dagli artigiani del brand. Fay, del gruppo Tod’s e capitanato da Andrea Della Valle, ha puntato su un allestimento museale per raccontare i propri capi iconici con un progetto a tappe affidato al fotografo Michael Avedon, nipote del leggendario Richard, e a James Dylan, nipote del cantautore premio Nobel Bob Dylan.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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