2023-01-29
Arianna Casadei: «Dopo le scarpe ci allarghiamo alle borse»
Arianna Casadei (Fashion Magazine)
Il direttore generale dell’azienda di famiglia che produce le calzature ai piedi delle dive di Hollywood: «Creiamo opere d’arte che potrebbero stare in una teca ma che invece vengono indossate quotidianamente. Sarebbe impossibile senza i nostri artigiani».Direttore generale, un bel traguardo. «Un punto di partenza», definisce Arianna Casadei il suo nuovo ruolo all’interno dell’azienda di famiglia. Ma diversi sono stati i punti di partenza. «Da bambina», racconta alla Verità, «mio padre tornava a casa con materiali scartati, pellami colorati, ricami con pietre preziose, fiocchi, erano il mio gioco preferito. Da un punto di vista tecnico, invece, a 18 anni ho fatto un tirocinio passando dall’ufficio stile al taglio per avere la visibilità completa di quello che era tutto il percorso produttivo». Arianna, classe 1988, è una vera forza della natura. «Ufficialmente sono entrata nel 2012 parlando di quello che era lo sviluppo ecommerce, una parte importante che fino a quel momento non era ancora stata presa in mano. Quindi dopo una serie di valutazioni mio padre mi disse che, se ci credevo veramente, mi dava piena fiducia e mi spronò ad andare avanti. Un momento di grande slancio. Dall’altra parte avevo mio nonno che mi diceva che allora non lavoravo nelle scarpe. Ma una volta visti i numeri ha voluto capirne di più». Avete precorso i tempi.«Assolutamente sì. Abbiamo di fatto saltato a piedi pari il discorso del sito lanciando subito un ecommerce che rispetto ai social media aveva un grande valore sia di comunicazione sia di vetrina sul mondo. Ritenevo che in quel momento fosse importante seguirlo».In effetti, il mondo della calzatura è in continua evoluzione. «L’obiettivo deve essere costantemente rinnovato giorno dopo giorno e quindi anche questo fa parte di questo spirito d’innovazione, di ricerca del futuro a 360 gradi».D’altronde la lezione viene prima di tutto da suo padre Cesare, grande creatore. L’iconico tacco Blade, sottile, altissimo, affilato come una lama d’acciaio, ormai un marchio di fabbrica, è senza tempo ormai da diversi anni.«Mio padre è il maestro. Da sempre disegna scarpe per ogni tipo di occasione e ogni tipo di donna. Seguiamo non solo i bisogni aziendali ma soprattutto quelli delle clienti. Quindi creiamo oggetti che sono opere d’arte che potrebbero stare in una teca ma che invece vengono vissuti quotidianamente, delle scarpe che sono dei gioielli». Scarpe da red carpet, scelte da star del calibro di Sara Sampaio e Cara Delevingne, Zendaya, Hailey Bieber, Heidi Klum, Anne Hathaway e molte altre.«Alla base della nostra scarpa ci sono tre fattori fondanti che esprimono il nostro concetto di lavoro. Prima di tutto la passione, l’amore che abbiamo per il nostro mestiere, che dura da 65 anni e che lega tutte le persone che sono qui, che ci permettono di continuare a raccontare questa storia meravigliosa. Il secondo aspetto è quello del made in Italy in cui noi crediamo tantissimo perché la qualità e l’innovazione sono elementi fondamentali per garantire alle nostre clienti il risultato che loro si aspettano. Terzo, e non meno importante, la trasmissione di quello che è il sogno. Lo abbiamo toccato con mano durante la pandemia: l’acquisto di un paio di scarpe si faceva lo stesso perché ci si diceva: “Prima o poi dovrà finire”. Questo ci ha portati a un rapporto diretto con le nostre clienti, a confrontarci con il desiderio che ti viene dalla pancia».In effetti un paio di scarpe fa meglio di una seduta dallo psicologo.«È vero, c’è una componente psicologica fortissima. Perché la scarpa cambia il modo in cui cammini, in cui ti approcci, cambia la socialità. Una scarpa piuttosto che un’altra, una determinata scelta, può dire in che mood ci si trova quel giorno». Lei è la terza generazione di un marchio che ha fatto storia.«Sì, ma ci tengo a dire che non conta solo la discendenza diretta, di cui sono grata perché mi ha permesso di vivere in questo mondo fantastico, quello della moda, e respirare un’aria incredibile e molto stimolante: il mio lavoro oggi passa dalle mani di tutte le persone che sono state con noi per tanti anni. La componente artigianale nella costruzione di una scarpa è fortissima perché ci sono 200 step e l’operatore ha un coefficiente di variabile sul risultato molto alto. Ringrazio tutti i dipendenti che hanno lavorato con noi partendo dal 1958 perché ci danno il modo di continuare». C’è un ricambio di manodopera?«È fisiologico che ci siano tanti ragazzi che hanno cominciato con me e che oggi ricoprono dei ruoli rilevanti e che ce ne siano di nuovi, arrivati da poco, che imparano il mestiere e che lavorano fianco a fianco con tecnici formati da mio nonno e che ora stanno facendo a loro volta formazione ai giovani. Mio padre lo fa costantemente ed è fonte di ispirazione continua».Quante persone lavorano nell’azienda di San Mauro Pascoli?«Abbiamo 660 dipendenti».Mercati?«Oggi per noi l’Italia pesa tra il 10 e il 15% sul giro d’affari, seguita dall’Est Europa (25%). Anche l’ecommerce cresce bene, rappresenta circa il 10% del fatturato totale e, su questo canale, il Paese in cui vendiamo di più sono gli Stati Uniti, che hanno raggiunto la quota del 25% del totale delle vendite online. Inoltre abbiamo 18 corner e monomarca a livello mondiale. Ultima apertura a Doha. Oltre 200 i clienti ». Obiettivi futuri?«Tanti, a cominciare da un allargamento verso il settore delle borse».
Jose Mourinho (Getty Images)