2024-10-25
Negli Usa si crea, in Asia si produce, in Europa si norma: così finisce male
Ursula von der Leyen (Ansa). Nel riquadro la copertina del libro di Alessandro Aresu, «Geopolitica dell’Intelligenza artificiale»
In «Geopolitica dell’Intelligenza artificiale» Alessandro Aresu racconta uomini, storie e conseguenze della tecnologia destinata a cambiare il mondo. Con la burocrazia Ue che, per ansia legislativa, ci sta facendo restare indietro.Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo stralci dalle conclusioni di «Geopolitica dell’Intelligenza artificiale» (Feltrinelli, 576 pagine, 24 euro). Nel libro, Aresu racconta protagonisti, idee e sviluppi geopolitici della corsa degli investimenti legati all’Intelligenza artificiale. Nel brano proposto, l’autore - già consigliere di Palazzo Chigi e dell’Agenzia spaziale italiana - traccia un quadro critico per i Paesi Ue, in declino demografico e zavorrati da istituzioni la cui deriva burocratizzante ostacola la creazione di giganti dell’innovazione.Nel 1906 Werner Sombart pone la domanda: «Sarà l’America o l’Europa il paese del futuro?». Si tratta ormai di una domanda priva di senso. Non può essere posta sul serio, altrimenti verrà solo accolta da risate. Diventiamo il paese del futuro con la ristrutturazione delle facciate degli edifici? O abbiamo altri progetti? Dopo il suicidio europeo delle due guerre mondiali, fin dagli anni Sessanta esiste un’importante corrente di pensiero francese, con un «manifesto» scritto da Jean-Jacques Servan-Schreiber nel 1967, La sfida americana, che predica a vario titolo l’idea, mai definita in modo da renderla comprensibile a qualche testardo ingegnere, di «autonomia tecnologica europea». Nel nostro secolo, questo concetto è ormai diventato imbarazzante, per via dell’enorme divario finanziario, militare e tecnologico tra le due sponde dell’Atlantico. È dunque venuto il momento di buttarlo, consegnarlo alla pattumiera della storia.La prossima volta che ci sarà una correzione dei mercati finanziari degli Stati Uniti - che senz’altro arriverà - o il fallimento di qualche banca - che accadrà -, quando leggerete gli articoli sul declino della Silicon Valley e sull’avarizia di Wall Street, meditate sulle dichiarazioni tragicomiche di politici europei come Sarkozy e Steinbrück nel 2008 e 2009, che avevano annunciato la fine del capitalismo americano. Mentre i politici europei pronunciavano quelle dichiarazioni, l’adolescente Palmer Luckey smontava e smanettava, costruendo prototipi di visori per i videogiochi. Durante la pseudolezione dell’Europa, andava in scena la prima Gtc di Nvidia. Al divario quantitativo si unisce il metodo, nell’epoca del capitalismo politico e dell’allargamento della sicurezza nazionale. Gli Stati europei e l’Unione europea hanno sostituito le tre domande kantiane («Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa ho diritto di sperare?») con un’altra domanda: «Che cosa posso regolare?». Solo che si può compiere una decisione politico-amministrativa sulla regolazione senza sapere nulla: il corpo burocratico più importante della Commissione europea, la DG Competition, nel 2019 ha ritenuto che Nvidia non avrebbe avuto potere di mercato nei data center, e l’azienda potrebbe avere da questo mercato ricavi da 87 miliardi di dollari cinque anni dopo.[…] Certo, tutti possiamo concordare che la «città dell’intelligenza artificiale» delle conferenze di Jensen in Cina non è il mondo in cui vogliamo vivere, e quindi su quegli usi della tecnologia debbono esserci controlli. Altrettanto chiaramente, non è l’unica questione da porsi, e non deve diventare un modo per distogliere l’attenzione rispetto a tutto il resto, e cioè la nascita, lo sviluppo e il consolidamento di alcune imprese, di alcune organizzazioni che è importante comprendere. Vivere in parallelo è possibile solo ponendo le domande giuste: altrimenti, l’informazione e l’energia vengono disperse. Una domanda più sensata allora è: «Come posso far arrivare Jensen qui?». In che modo un ragazzo o una ragazza del Kentucky, nel senso di Jensen, può decidere di arrivare e restare in Europa, lavorare in pizzeria, in gelateria, ma in parallelo creare qualcosa? Perché queste persone non sono venute e non vengono in Europa? Quando Jensen parla agli studenti di Taiwan, dice: «In quarant’anni, abbiamo creato il personal computer, Internet, il mobile, il cloud, e ora l’era dell’intelligenza artificiale. E voi, cosa creerete?». Dove si può creare e innovare? Negli Stati Uniti. Dove si può costruire e scalare? In Asia.Il discorso pubblico europeo privilegia la lamentela attorno al mantenimento di un proprio ruolo nel mondo alla conoscenza di paesi la cui crescita è protagonista in questo secolo e in questa fase storica, perché semplicemente ospitano più persone istruite e più capacità produttiva oppure perché sono in diverso modo «connettori» o «frontiere» nel conflitto tra Stati Uniti e Cina. Questa conoscenza non è più opzionale. È necessaria. La domanda «Cosa possiamo fare?» è dunque inutile, provinciale e patetica, se si ignora ciò che accade non solo in Giappone, Corea del Sud, Taiwan, India, ma anche in luoghi come Singapore, Malesia, Vietnam. Facciamo qualche breve esempio conclusivo.In una distribuzione geografica delle vendite di Nvidia di fine 2023, sono indicate cinque aree, nell’ordine: Stati Uniti, Taiwan, Cina (compresa Hong Kong), Singapore, il resto del mondo. Singapore, che in quei nove mesi di vendite vale da solo circa il doppio del resto del mondo, è il principale centro asiatico della connettività. Nelle classifiche dei data center si colloca subito dopo i principali hub degli Stati Uniti. Lo stato di Penang, nella Malesia nord-occidentale, ha attirato circa 13 miliardi di dollari di investimenti esteri nel 2023, più di quanto ricevuto dal 2013 al 202028. L’accelerazione determinata dalla guerra tecnologica tra Pechino e Washington, che rende la Malesia un vincitore con proporzioni impreviste, non viene certo dal nulla. Da più di cinquant’anni è un hub di assemblaggio e test per semiconduttori. Nel 1975, un terribile incendio ha colpito la fabbrica di Intel a Penang: la sua ricostruzione a tempo di record, e la capacità di mantenere gli obiettivi di produzione, sono stati celebrati di persona da sua maestà Gordon Moore nel 1978, dieci anni dopo la fondazione di Intel, con un’iconica foto in mezzo agli operai. Quarant’anni dopo, nel 2018, i circa diecimila dipendenti malesi, di cui il 95% ingegneri, hanno festeggiato il cinquantennale dalla fondazione di Intel. E oltre a quello che si vede, conta l’invisibile corsa all’oro digitale che attraversa la Malesia, nella zona grigia tra imprenditorialità e criminalità che caratterizza questa frontiera della guerra tecnologica.Rechiamoci brevemente in Vietnam. A dicembre 2023, nel giro di pochi giorni, Sam Altman, nella sua prima apparizione ufficiale dopo il ritorno al timone di OpenAi, interviene alla principale conferenza di Ho Chi Minh City sull’intelligenza artificiale, mentre Jensen a Hanoi appende il giubbotto in pelle per godersi il cibo di strada vietnamita col suo staff, prima di discutere gli investimenti in un paese dove decine di migliaia di studenti tornano dall’estero per cogliere ancora di più le opportunità della diversificazione dalla Cina, e trasformare la crescita manifatturiera in un’ondata tecnologica vietnamita. Fuori dagli incontri istituzionali e dalle conferenze, un enorme caos creativo, in cui spuntano «mulini satanici» vietnamiti, americani, giapponesi, cinesi e dalla proprietà ambigua. Perché un imprenditore sano di mente dovrebbe scommettere, oggi, sulla Germania e non sul Vietnam?[…] Ingranaggi ribelli di vario tipo si sono intrufolati nel «nuovo modo di produzione asiatico»: non è una strada a senso unico. E tuttavia, dagli anni Novanta a oggi, nessuna previsione sulla sindacalizzazione della manifattura asiatica - i cui lavoratori vogliono migliorare la propria condizione, come tutti - è stata in grado di valutare la capacità del sistema regionale dell’Asia orientale di rinnovarsi e di approfondire la propria integrazione. È una forza concentrica sempre più ampia, dove lo sviluppo si diffonde tra miliardi di persone che non hanno intenzione di fermarsi. La scommessa cinese riguarda anche la tenuta di questa capacità produttiva e della sua struttura regionale. La Cina sa che i suoi avversari continueranno a colpire l’interdipendenza: come il maestro Peter Thiel, secondo cui a legare Pechino e l’Occidente ci sono «cento gasdotti Nord Stream che esploderanno tutti insieme il giorno dell’invasione di Taiwan». Ma, nella visione di Pechino, oltre la battuta e le schermaglie, non ci sarà la sostanza. Nel corso di questo chiacchiericcio, nella prospettiva cinese accadranno tre cose concrete: in primo luogo, l’intelligenza artificiale intesa come supporto per i processi delle fabbriche e come riduzione dei difetti di produzione continuerà ad ampliare la forza della «superpotenza manifatturiera» di Pechino; in secondo luogo, la presa dei campioni cinesi elettronici e industriali nei mercati fuori dall’Occidente, pur con una limitata disponibilità finanziaria, garantirà la diffusione dei prodotti, compresi quelli con cui sarà diffusa l’intelligenza artificiale (come gli smartphone); in terzo luogo, gli europei non potranno abbandonare la sirena del mercato cinese e non si schiereranno mai fino in fondo con gli Stati Uniti, mentre l’azione delle imprese statunitensi sarà comunque distante dalla retorica bipartisan di Washington.[…] Alle cattedrali della nostra civiltà abbiamo sostituito l’invidia per una competizione che non conosciamo, visto che rinunciamo a viverla, mentre si è materializzata Nvidia. «What I cannot build, I cannot understand». Ci lamentiamo della velocità degli altri, senza avere alcuna possibilità di rallentarli. Senz’altro esiste una vera dialettica politica, che riguarda il rapporto tra le grandi aziende tecnologiche americane e le autorità regolatorie degli Stati Uniti, nell’eterno dibattito tra Arrow e Schumpeter, al quale spesso si richiama Lina Khan. L’Europa rimane un mercato di un qualche rilievo, ma si trova ormai in una spirale che ridurrà questa importanza relativa: unita al declino demografico, la debolezza sulla tecnologia mina la crescita e riduce la quota di mercato europea; di conseguenza, la tesi della «potenza della regolazione» accelera inevitabilmente e costantemente il proprio declino, la propria impotenza.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)