2020-03-24
Arbasino, il gran genio di Voghera sfuggito a tutti gli incasellamenti
Arbasino (Leonardo Cendamo, Getty Images)
Se ne va a 90 anni, elegante e defilato com'era vissuto, uno dei più importanti scrittori italiani di sempre. Ha raccontato il mondo con le note a margine, senza mai cedere alla retorica. Compresa quella Lgbt.Che classe perfino nell'addio. Alberto Arbasino a 90 anni (compiuti il 22 gennaio) si è defilato in mezzo ai tanti che ci stanno lasciando in questi giorni maledetti. Quasi in disparte, come da tempo viveva. Fuori dal nostro mondo e dentro un altro fatto di mostre, serate a teatro, romanzi sempre meno: «Meglio i libri di memorie», confidò al Venerdì di Repubblica, e ha mantenuto la promessa di non pubblicare le sue. Dallo splendente universo parallelo inviava a volte dispacci, cronache scoppiettanti e cesellate a vari quotidiani, che ovviamente ringraziavano per il privilegio. E a chi gli usava una gentilezza o lo citava in un articolo, Arbasino spediva letterine scarne, da conservare come gioielli: dopo tutto, erano i manoscritti di uno dei più grandi di sempre. Sul suo splendore di narratore, infatti, c'è poco da aggiungere a ciò che la Storia ha già decretato. Per chiarire a tutti la sua importanza basta un semplice ragionamento: quanti conoscono e utilizzano l'espressione «la casalinga di Voghera»? L'ha coniata lui (che a Voghera c'era nato e ivi vantava delle zie) negli anni Sessanta. Ecco svelato quanto quest'uomo abbia influito sulla formazione del nostro immaginario e addirittura sulla nostra lingua. E pensare che, in fondo, non è mai stato un romanziere, piuttosto l'alfiere della post letteratura: i suoi libri fondamentali - tra cui il tre volte riscritto Fratelli d'Italia - sono una meravigliosa collezione di note a margine. Ne era convinto: la letteratura è finita. «E dopo la fine, che si fa?», gli chiesero Marco Cicala e Piero Melati. E lui, immortale: «Non ne ho idea. E non me ne importa niente». Dunque è del tutto superfluo star qui a insistere con la celebrazione della sua carriera: il rapporto da amico e allievo con l'amato Carlo Emilio Gadda (Arbasino definì sé stesso, Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori «nipotini dell'Ingegnere»); la collaborazione con Il Mondo su cui uscì a puntate La bella di Lodi, poi un film girato con Missiroli; i reportage di respiro internazionale; la frequentazione del Gruppo 63 (era di gran lunga il migliore); l'esperienza televisiva di Match; la presenza in Parlamento (1983-1987) con il Partito repubblicano; i sorprendenti Rap... Tutto già noto e, soprattutto, impossibile da sintetizzare. Arbasino bisogna amarlo, compulsarlo, studiarlo: non si può spiegare, così come non si può tradurre, con tutte quelle virgolette, quei corsivi, quelle righe così dense... Sulla questione, come sempre, la parola definitiva l'ha detta lui. All'intervistatore che gli chiedeva: «Cosa direbbe a un giovane che non conosce la sua opera?», replicò placido: «Gli direi di comprare il Meridiano della Mondadori con i miei lavori». Semplice, implacabile. Non resta che avvicinare l'opera, dunque, perché Arbasino è tutto lì, a differenza di tanti altri predicatori che hanno fatto la propria grandezza fuori da libri debolucci. Ecco, forse quel che oggi possiamo apprendere da Arbasino riguarda proprio il suo star di lato - lui, così mondano! - mentre tutti sgomitano per un angoletto di palco. Poche interviste, poca morale, nemmeno troppa politica, in fondo. Prendiamo la faccenda dei tre «nipotini» di Gadda. Pasolini il consumismo l'ha combattuto fino all'ossessione; Testori l'ha somatizzato, cercando di rigettarlo con apocalittico dolore. Arbasino (vedi La vita bassa) l'ha sconfitto descrivendolo, da elitario privo di spocchia. Poi c'è un aspetto secondario, ma estremamente interessante, e di potente attualità. Arbasino, come tutti sanno, era omosessuale. Ma mai gli sarebbe venuto in mente di usare la sessualità per definirsi. Memorabile il brano di Fratelli d'Italia in cui scrive: «Mah, per la noia della fica basta già Moravia. E la letteratura del culo è solo settoriale, come i libri sulle barche, sul Molise, sui funghi». Fantastica lezione a tutti i profeti Lgbt per cui l'orientamento sessuale dà forma all'identità, va esibito e trasformato in questione politica. Arbasino, dicevamo, era omosessuale, e non amava troppo il termine gay («Non è che siano particolarmente “allegri", considerando “gay" come suo sinonimo»). Non si è nascosto, non l'ha celato nemmeno nei libri. Ma detestava esibizioni e ridicole caratterizzazioni da burocrati dell'eroticamente corretto. Come scrisse in Ritratti e immagini: «Quando invece si scatenò la liberazione sessuale, ciascuno si classificò in una categoria specializzata, con idiomi e guardaroba e feticci di precetto, dettati dai media». Nel 1996, per queste sue idee sui «diritti arcobaleno», si attirò l'odio degli attivisti. Su Repubblica pubblicò un robusto articolo sul matrimonio gay, spiegando che «una visibilità ottenuta appiccicandosi etichette e sfoggiando distintivi [...] conduce per lo più a una ghettizzazione di tipo settoriale». Fu spietato pure con i gay pride: «E l'orgoglio gay sembra un concetto sempre più immaginario», scrisse. «Già. Se non riscuote gran considerazione, fra la gente, l'orgoglio di chi si vanta nativo di Voghera piuttosto che di Ferrara, e appartenente a questa o quella “classe di ferro", portatore di “Dott." o “Rag." sul biglietto da visita, tifoso della Roma o dell'Inter, socio dei Canottieri o abbonato alla Filarmonica, sarà più distinto l'orgoglio del sedere, anche se lo si pratica una tantum, mentre si è funzionari o trentenni o studenti o diabetici full time?». Arbasino era favorevole alle unioni gay, ma non all'adozione: «Piuttosto diversa si presenta la questione delle adozioni, e non solo perché coinvolgono una creatura impotente a decidere circa una scelta non pacifica», argomentò. «Già le rivolte edipiche, infatti, sono frequenti nelle famiglie con un babbo solo. Ove ce ne siano due, potrebbe raddoppiarsi anche l'Edipo? E si conosce la cattiveria dei bambini: conservatori e conformisti, già normalmente si deridono, fra compagnucci e amichetti, a causa dell'automobile di papà o della pelliccia di mammà. Figuriamoci dove le famiglie sono insolite». Dopo quelle sue uscite, alcune librerie arcobaleno decisero di togliere i suoi tomi dagli scaffali. Si infastidivano, i militanti, perché con tre righe Arbasino demoliva interi edifici di retorica, gli stessi che oggi ci sovrastano. In fondo, a lui di minoranze ne interessava soltanto una: quella minuscola e irripetibile composta da Alberto Arbasino. Come uomo, era geniale e perbene. Per tutto il resto, si rimanda al Meridiano.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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