
L'azienda avvia partnership con le organizzazioni anti bufale per lanciare un servizio che offre i migliori articoli dei quotidiani.Apple dichiara guerra alle fake news. Lo fa sostenendo tre organizzazioni secondo lei «leader negli Stati Uniti e in Europa»: News literacy project e Common sense per gli Usa, mentre per l'Europa il nostro Osservatorio permanente giovani editori. Con loro Cupertino avvierà presto una partnership. «L'alfabetizzazione mediatica è cruciale per mantenere una stampa libera e una democrazia sana e noi siamo felici di lavorare con degli enti in prima linea in questa battaglia. Siamo stati colpiti dall'imponente lavoro svolto da queste tre organizzazioni che permettono ai giovani di essere cittadini migliori, attivi e impegnati», ha dichiarato tutto fiero l'ad di Apple, Tim Cook.Stupisce un po' questo nuovo afflato etico e civico della Mela, specie pensando al suo lassismo in altri ambiti, ad esempio in quello fiscale, dove solitamente si arrende alle ragioni dell'etica e del civismo solo all'ultimo, ossia a colpi d'ingiunzioni. La svolta anti fake di Apple si comprende meglio, però, considerando il nuovo servizio - con annessa applicazione - che verrà presentato il prossimo 25 marzo: Apple news o All you can read. Una specie di «Netflix per le news«, com'è stato definito, che proporrà su abbonamento (per soli 10 dollari al mese) il meglio degli articoli di grandi quotidiani e riviste. Al servizio, per ora disponibile solo in America, hanno già aderito molte testate storiche (da Forbes e Fortune al Time, dal New Yorker al Wall Street Journal), Apple corrisponderà loro una percentuale del canone mensile che oscilla tra il 50% e il 70%. Mentre il Washington Post - di proprietà di Jeff Bezos - si è sfilato dall'affare, perché a breve Apple diverrà con il suo canale di streaming (altra novità ispirata a Netflix) un competitore di Amazon prime video. Il New York Times invece, non solo non ha aderito, ma ha pure dato l'allarme: con Apple news i giornali rischiano di far la fine delle televisioni e del cinema con Netflix, cioè essere cannibalizzati.Quindi - a conti fatti - a Cook e soci non interessa tanto l'attendibilità in sé delle notizie, la guerra alle bufale, quanto che attendibile e a prova di fake venga considerata la loro nuova creatura. Con un salto mortale Apple, ovvero una delle aziende che più ha contribuito con i suoi dispositivi, come altri con le loro piattaforme, alla diffusione mondiale delle fake news, ora ne sfrutta lo spauracchio per acquisire nuovi clienti e insieme uccidere quel giornalismo su carta che, proprio per la sua ponderatezza, è il più immune al virus delle fake. Quelli di Cupertino usano l'aura delle grandi testate giornalistiche per circonfondersi di autorevolezza mediatica e rifarsi una verginità: «Apple news lavora per un giornalismo di qualità basato su fonti attendibili. Vogliamo educare la prossima generazione all'uso d'informazioni verificate entro un panorama mediatico sempre più arduo», ha proclamato Lauren Kern, caporedattore di Apple news. Per loro la battaglia alle fake è come una sorta di cavallo di Troia per vincere le resistenze di quei lettori forti che ritengono ancora (a ragione) l'oleosa carta dei giornali, le vecchie testate con le loro firme, più autorevoli e sicure rispetto a un intermittente sito o una viscida app. Comunque questo nuovo servizio di news sembra inaugurare l'ennesima rivoluzione copernicana nella fruizione dell'informazione; l'edicola di domani sarà per il lettore ciò che oggi, dopo Netflix, è il cinema: un luogo a metà tra lo spettrale e l'archeologico. Eppure, dietro a tale smania innovativa, sempre ritenuta (a torto) anche migliorativa, c'è un rischio oggettivo per la qualità dell'informazione. Quali notizie lascerà passare dalle proprie maglie l'applicazione di Apple e in che modo? Esisterà ancora un pluralismo delle voci, quando quelle voci usciranno tutte da un unico canale? Inoltre, come insegna la storia di Netflix, machiavellico apripista, s'incomincia distribuendo i contenuti di altri per poi - ottenuti i clienti - produrne di propri, a scapito di quelli degli altri. Anche Cupertino potrebbe col tempo decidere di realizzare dei propri contenuti informativi, d'altronde per dei geniali nerd che cosa ci vuole a imbastire una redazione di news? Ma una cosa è fare un giornalino aziendale digitalmente ammiccante, un'altra una testata capace di far le pulci a Stati e multinazionali, sentinella di verità e virtù. Insomma, c'è il rischio di ritrovarsi con un'informazione liofilizzata, fintamente libera, ma realmente tendenziosa, se non inesistente. E la prossima generazione che con prosopopea si vorrebbe «educata all'informazione», finirà invece per esser educata dall'informazione. Più che alla mela di Isaac Newton, Apple sembra ispirarsi ormai a quell'altra meno nota di Charles Fourier: rivelazione e simbolo dell'iniquità umana.
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.