2023-10-02
Antonio Noto: «Perché la Meloni non perde consensi»
Antonio Noto (Imagoeconomica)
Il sondaggista: «Gli italiani si aspettavano di più dal governo, ma lei resta la leader più amata: chi l’ha votata non vede alternative. Il caos sbarchi? Per gli elettori, anche di sinistra, la colpa è dell’Europa».L’interrogativo è di quelli che valgono una vita di studio: chi ha cambiato l’Italia, la politica o l’economia? A risolverlo ci si è messo Antonio Noto, il signore dei sondaggi, ma signore nel senso più letterale perché è affabile, moderato, perché quando entra nelle case degli italiani vuoi da Porta a porta, o dagli speciali elettorali, lo fa senza avere la verità in tasca. Ma l’interrogativo mentre è già partita, lunghissima, la volata delle europee resta. «Ci ho scritto un saggio riassumendo dal ‘93 al ‘23 i miei trent’anni di osservazione della società italiana, Rubettino l’ha editato». Il verdetto? Beh, basta andare in libreria per scoprirlo. Ma ora c’è una domanda più «pressante»: cosa resta dopo un anno di governo di Giorgia Meloni? La luna di miele è finita come sostengono i «giornaloni» e come si augurano le opposizioni? Antonio Noto, sondaggista e sociologo tra i più noti, e il calembour sul cognome è inevitabile, con la voce morbida dei napoletani quando sono seri attacca: «Per un giudizio equilibrato si deve dividere tra consenso alla presidente Giorgia Meloni e giudizio sull’operato del governo. I due dati non sono sempre in relazione e non è detto che un elemento di criticità produca un dissenso politico. È chiaro che gli italiani si aspettavano di più, ma questa delusione non ha sin qui prodotto una severa criticità nei confronti della presidente del Consiglio. Giorgia Meloni resta di gran lunga la leader che gode della maggiore fiducia degli italiani. È ancora sul 43% dei consensi. Quando si è insediata era attorno al 47%, ma scendere di soli 4 punti in un anno peraltro complicato è fisiologico ed è un ottimo risultato». La Meloni piace di più del suo partito, vero?«Alle politiche Fratelli d’Italia raccolse il 26% oggi è tra quel dato e il 28%. C’è una lieve criticità soprattutto se si misura la distanza con i consensi alla Meloni, ma questa criticità non è tale da far rivolgere gli elettori verso un’altra offerta. Anche perché non vedono alternative. L’elettorato di Fratelli d’Italia è composto dal 6-7% che viene da lontano, che aderisce alla destra da sempre. Ma c’è un 20% – quindi due terzi dei voti – che è molto fluido, non si dichiara né di destra né di sinistra, ma aderisce alla proposta della Meloni; è, si potrebbe dire, un patrimonio personale. Ma è anche molto delicato».L’elettorato di centrodestra però non è stato eroso, giusto?«Esatto, il consenso al centrodestra rimane abbastanza stabile. Di solito chi governa non aumenta i consensi, ma in questo caso la quota d’italiani che hanno creduto nella Meloni e nel centrodestra resta salda. È un consenso che va misurato sul lungo periodo».Sono affascinati dalla leader? Il fatto che sia una donna conta?«Diciamoci la verità: il fatto che la Meloni sia una donna è più un dato mediatico che capace di produrre consenso politico: piace ai giornali, ma non sposta granché. Alcuni anni fa il leader era decisivo, oggi conta ancora la leadership, ma si misura anche la forza e la competenza della squadra». Da qui l’idea del rimpasto?«Il rimpasto sarebbe un’arma a doppio taglio. Potrebbe sì promuovere altre competenze o risolvere dei problemi, ma potrebbe essere visto dagli elettori come un segnale di confusione e di debolezza. Sono due cose che gli elettori non gradiscono. Faccio un esempio: a luglio abbiamo misurato come al solito anche i ministri. Daniela Santanchè è precipitata di dieci punti, ma non per un effetto che potremmo dire giustizialista, ma perché la sua vicenda ha generato confusione nell’elettorato».E i ministri che piacciono chi sono?«Va forte Adolfo Urso, ha ottimi giudizi Gennaro Sangiuliano e così Matteo Piantedosi».Ma gli italiani non hanno una percezione d’insicurezza? Non sono preoccupati dall’immigrazione? E ancora non temono per il lavoro? «Gli elettori tendono a premiare chi fa, anzi meglio: chi si prende cura. Tanto Urso quanto Piantedosi e così il ministro della Cultura danno il senso di persone che lavorano sui dossier, che cercano risposte. Urso al caro prezzi, Piantedosi all’immigrazione. Gli elettori percepiscono le difficoltà del momento e tendono a premiare chi fa senza fare proclami. E hanno bisogno di sentirsi protetti»,Il massimo allora dovrebbe essere Giancarlo Giorgetti. O su di lui pesano i conti?«Il ministro dell’Economia ha una posizione ingrata. Tutti si aspettavano di più dalla legge di bilancio. Già lo scorso anno hanno percepito come povera la manovra, quest’anno ancora di più. Gli elettori, specialmente gli italiani che hanno ormai acquisito una dimensione molto individualistica, misurano tutto sul miglioramento della loro qualità di vita. Per ora questa percezione ha creato una delusione, ma non una disaffezione verso questo governo. È però inevitabile che il ministro dell’Economia ne soffra».Gli italiani sono diventati egoisti? È per questo che le idealità della sinistra non tirano?«La sinistra sconta, ma come tutti i partiti, la fine dell’ideologia. Ripeto, oggi l’elettore si motiva e vota misurando la propria condizione. Fondamentalmente l’italiano vota guardando al proprio portafoglio, non ha più riferimenti ideologici. Quelli che hanno uno schieramento di riferimento sono una minoranza».E come stanno gli italiani? Cosa temono?«Le preoccupazioni principali sono l’economia, compreso il lavoro, la sanità, l’immigrazione con connessa la sicurezza, l’incertezza del futuro su cui influisce anche il perdurare della guerra».E che tipo di reazione hanno? «Dalle nostre rilevazioni emerge che di fronte alla paura tutti tendono a tesaurizzare, a mettere via. Magari poco, ma destinano a risparmio le risorse aggiuntive. Sanno che il prossimo sarà un anno di crisi e vivono quasi come una fobia la perdita di capacità di acquisto e di reddito. E hanno ancora addosso l’eredità negativa del Covid».L’epidemia è stata così condizionante?«Lo confermano due dati. Giuseppe Conte gode ancora della popolarità acquisita durante il Covid. Non è un giudizio se ha fatto bene o se ha fatto male, è che ci ha messo la faccia. Come dicevo prima è questo effetto “maternage” che funziona sull’elettore. L’altro dato è che prima dell’epidemia la sanità non compariva mai ai primi posti delle preoccupazioni degli italiani: oggi è dominante, al pari dell’economia intesa come condizione e qualità della vita».È cominciata la lunga corsa verso le europee. Come giudicano l’Ue gli italiani?«Male, molto male. L’Europa ha goduto di ampia stima durante il Covid. Ma ora l’immigrazione pesa moltissimo. Il 70% degli italiani ritiene che tocchi all’Europa risolvere la questione. E questo vale a sinistra come a destra. La stragrande maggioranza è convinta che l’Italia sia stata lasciata sola. L’arrivo di Ursula von der Leyen a Lampedusa non ha cambiato il giudizio perché il giorno dopo non è successo nulla. Gli italiani non sono anti europei. Ma ora leggono anche l’aggravamento della loro situazione economica collegandola all’immobilismo dell’Europa sull’immigrazione».C’è da aspettarsi un rifiuto delle elezioni europee a cui invece i partiti annettono grande importanza?«La partecipazione alle europee ha sempre oscillato tra il dato delle politiche e quello delle amministrative: tra un 64% e un 52%. I partiti in Italia annettono a questo voto grande importanza perché ha avuto impatti decisivi sul piano interno. Si pensi a Matteo Renzi che va al governo perché ha il 43% alle europee e poi alle politiche prende il 18. Lo stesso vale per la Lega che sale al 34 e poi torna indietro. Ma il consenso alle europee è cosa assai diversa da quello alle politiche».A proposito di Lega, come andrà? È giustificata la corsa su Fratelli d’Italia?«Noi la stimiamo sul 10%; non diminuisce il consenso attorno a Matteo Salvini, ma è stabile. Chi pensa agli exploit passati deve fare attenzione. Perché è molto facile acquisire una fiammata di consenso, ma una volta che si perde recuperarlo è assai arduo. Teoricamente ora a Salvini conviene navigare di conserva con Giorgia Meloni».E il Pd guidato da Elly Schlein?«Al suo debutto la Schlein ebbe un trend significativo: superò il 23%. Attrasse anche dai 5 Stelle che infatti scesero al 14% e c’era su di lei molta attesa, ma ora tutto è tornato in equilibrio. Il Pd sta al 19% e Conte al 17, l’effetto Schlein si è attenuato, certo lei ha ancora delle chance, ma molto dipende dalla strategia che metterà in campo».Sul voto influirà però questa posizione nuova della Schlein sulla guerra?«Difficile ora misurarlo. Posso però dire che gli italiani sono stanchi di guerra. Non hanno più il timore, che si affacciò nei primi mesi, che l’Italia possa essere coinvolta direttamente, ma ora imputano alla guerra – a torto o a ragione – una delle maggiori cause del loro impoverimento a cominciare dall’energia e dal caro bollette. Non tifano né per Putin, anche se ne riconoscono le responsabilità e sono a fianco idealmente del popolo ucraino, né per Zelensky; desiderano solo che la guerra finisca domani».Ultime due questioni: Giorgetti imputa al Superbonus lo sfascio dei conti, la Meloni al reddito di cittadinanza lo sfascio del mercato del lavoro. Che ne pensano gli elettori?«Sono due concetti diversi. Sul reddito di cittadinanza la maggioranza degli italiani è sempre stata contraria e ne voleva la fine. Sul Superbonus no. Riguarda la casa e la casa per gli italiani è sacra. Accettano l’idea che dovesse essere rimodulato, di non darlo ai ricchi, ma sono ancora favorevoli».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)