2023-01-16
L’Antimafia permanente fabbrica soprusi
La ricerca della soluzione radicale a un problema contiene il germe del fanatismo. E in politica porta dritti al totalitarismo. Non fa eccezione la lotta alla criminalità organizzata, in nome della quale in Italia spesso si violano i diritti del cittadino.Il vecchio proverbio, il meglio è nemico del bene, riassume il concetto di iper soluzione spiegato nel libro Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico di Paul Watslawick, filosofo austriaco, esperto in comunicazione. Il libro spiega come la ricerca di soluzioni radicali e definitive, trascura sempre la capacità di analizzare il problema da tutte le angolazioni, si concentra su un solo aspetto, e alla fine produce effetti peggiori del male che si voleva curare. La saggezza popolare affianca due altri motti: “Il rimedio è peggiore del danno” e soprattutto “Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”. Vorrei attirare la vostra attenzione sulla parola inferno. L’iper soluzione contiene sempre il germe malefico del fanatismo, e quindi della pretesa della purezza, l’estrema ed erronea ricerca di totalità e intransigenza. La ricerca di totalità, se appartiene a uno Stato, porta inevitabilmente al totalitarismo. Lo scopo della Costituzione è proprio quello di evitare la ricerca di totalità, intransigenza e il fanatismo. La nostra Costituzione è tutt’altro che perfetta, e non è la Costituzione più bella del mondo. Una Repubblica democratica dovrebbe essere fondata sul diritto inalienabile del cittadino alla libertà, sulla proprietà assoluta del proprio corpo (habeas corpus), sulla proprietà dei propri beni, sul diritto al lavoro. sul fatto di poter subire punizioni solo dopo essere stato trovato colpevole con una punizione proporzionata a quanto ha fatto. In uno Stato decente ognuno è innocente fino a prova contraria, prova certa e al di là di ogni ragionevole dubbio. Tra i diritti inalienabili del cittadino ci sono la libertà, la giustizia, l’innocenza fino a propria contraria e la proprietà. Questi sono tutti temi che la nostra Costituzione non garantisce al primo articolo, ma onestamente garantisce nei successivi, quindi anche se non la considero perfetta la considero una buona Costituzione. il codice è sufficienteLa nostra Costituzione è stata scritta dai padri costituenti, tutte persone che avevano molto chiaro in mente cos’è una dittatura, dato che uscivano dalla dittatura nazifascista e avevano di fronte quella sovietica di Stalin. La Costituzione non deve mai essere violata. Il codice penale e civile sono più che sufficienti, ma un desiderio di purezza e di assoluto potrebbe spingere a fare meglio e così lastricare le vie all’inferno di qualcun altro, qualcuno non colpevole, e quindi della democrazia. La prima grande violazione dei diritti elementari del cittadino, la libertà, l’innocenza, il diritto di proprietà, la reputazione, il diritto al lavoro è stata l’Antimafia. Mi spiegava mio padre, mentre camminavamo sul Carso o sulle scogliere di Trieste, che le regole della democrazia devono essere al di sopra di tutto, anche della guerra alla criminalità, qualsiasi criminalità, anche della guerra al terrorismo, perché è grazie all’emergenza che si instaura uno schema dittatoriale e soprattutto è meglio una nazione che ospiti delinquenza e terrorismo a una nazione che ha rinnegato i diritti inalienabili del cittadino. In realtà è una trappola, non c’è nessuna ragione che giustifichi violazione della sacralità dai diritti del cittadino. L’inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene è il libro di Alessandro Barbano, giornalista, saggista e soprattutto uno dei cavalieri che difendono il garantismo, il fatto cioè che il cittadino abbia delle garanzie, e che queste garanzie siano granitiche. Scrive Barbano che «la pena, per chi è stato condannato da innocente, è un’ingiustizia, un assurdo per chi sia stato assolto, o mai processato. Una Giustizia che la infligge, non per errore, ma per legge, è una macchina di dolore umano non giustificato e non giustificabile. Ad azionare quella macchina è un potere arbitrario, radicato nel cuore della democrazia, che ha trasformato l’eccezione nella regola, imponendo in nome dell’emergenza permanente, proclamata come un dogma, un diritto spiccio, che dismette le prove per il sospetto, confisca aziende e beni senza un giudicato, commina squalifiche e interdizioni civili. Come un rimedio peggiore del male che si propone di combattere. (...) Talvolta i cittadini a cui sono stati confiscati beni vengono anche giudicati innocenti, cioè sottoposti a processo penale e assolti dal diritto ordinario, ma nel frattempo il patrimonio e l’impresa sono stati già confiscati dal diritto speciale di prevenzione. Pensate all’assurdo logico che si realizza quando una persona viene allo stesso tempo riconosciuta innocente e colpita da una misura afflittiva come la confisca di una casa o dell’azienda di una vita. Per trent’anni l’assurdo è stato spiegato così: tu non c’entri niente ma Io, Stato, mi prendo la tua proprietà per proteggerti, cioè per impedire che la mafia possa infiltrarsi. Con l’estensione delle misure di prevenzione l’equazione logica diventa: non so se tu sia persona onesta o corrotta, ma Io, Stato, mi prendo la tua proprietà per impedire che possa diventare oggetto di corruttela». I beni confiscati vanno a Libera, associazioni di volontari, termine vezzoso con cui si indicano persone che non hanno mai superato un concorso e che non rendono conto né a superiori né a contribuenti, ma che organizzano congressi e centri di studi e influenzano giornalisti e magistrati. Il libro indaga come di magnifiche intenzioni, sradicare la mafia, sia lastricata la via dell’inferno dei cittadini e della democrazia. Creata come emergenza negli anni delle stragi, l’Antimafia è diventata permanente. L’Antimafia diventa una macchina che stritola anche innocenti, con metodi introdotti dopo l’Unità d’Italia per combattere i briganti, usati dal fascismo per perseguitare i dissidenti, che i padri costituenti avevano escluso, ma che sono stati reintrodotti per l’emergenza mafia, un’emergenza infinita.come contro i briganti Non esiste nessuna prova che per combattere il crimine, anche un orrendo crimine organizzato, uno Stato debba rinunciare ai suoi principi e al rispetto delle libertà elementari. Se questo succede non è perché il crimine è troppo forte, il crimine non è mai troppo forte, ma perché quella democrazia è debole e immatura. Così confische e sequestri colpiscono migliaia di cittadini e imprenditori mai processati, o piuttosto assolti e lo stato di diritto è rovesciato. Abolire lo stato di diritto per combattere anche la più tragica delle criminalità è un inganno, afferma Alessandro Barbano, che in questo libro svela «gli abusi, gli sprechi, i lutti e l’inquinamento civile perpetrati da un apparato burocratico, giudiziario, politico e affaristico cresciuto a dismisura e fuori da ogni controllo di legalità e di merito». Abbiamo la menzogna di una legislazione Antimafia che tutti i paesi del mondo vorrebbero imitare, ma chissà come mai nessuno imita, e l’intimidazione nei confronti di chi si azzarda a criticarla. In Sicilia solo un aspirante suicida può aprire una partita Iva. Molto meglio vivere con reddito di cittadinanza. Per adesso sulla disoccupazione e sulla povertà peggiorate dai sequestri statali la mafia, anzi le mafie, prosperano. In Italia di mafie ce ne sono in teoria quattro, Mafia, Camorra, Sacra corona unita e Ndrangheta. In realtà sono cinque, la quinta è la più atroce e spietata di tutte, la mafia nigeriana, che non è nominata nel libro, che non si occupa di mafia ma di Antimafia, perché la mafia nigeriana non interessa all’Antimafia, che non ha contrastato. L’Italia è la nazione europea dove la mafia nigeriana si è istallata con maggiore potenza, violenza e ferocia, attraverso quattro pilastri che sono droga, prostituzione, mendicità molto organizzata e traffico di organi prelevati da non aspiranti donatori. Il fatto che abbia potuto farlo dimostra che la soppressione dello stato di diritto non serve a contrastare il crimine. Chiediamo al nuovo Guardasigilli di sanare lo stato di diritto e contrastare la mafia nigeriana.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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