2024-01-27
«Caro Pd, la coscienza non vale solo quando il voto è del tutto ininfluente»
Anna Maria Bigon (Imagoeconomica)
La democratica Anna Maria Bigon, epurata per l’astensione sulla legge veneta sul fine vita: «So che buona parte del partito è con me. Se non rafforziamo le cure palliative i poveri resteranno senza alternative al suicidio assistito».«Forse come Pd dovremmo parlare dei 25 voti mancati a Luca Zaia, più che della mia astensione». Difende il suo gesto Anna Maria Bigon, il consigliere regionale del Veneto che non ha condiviso il voto a favore del gruppo dem sul suicidio medicalmente assistito, contribuendo alla bocciatura della proposta di legge di iniziativa popolare appoggiata dal governatore Zaia. Ribadisce che era necessario prendere quella posizione, anche se le è costata l’allontanamento dal direttivo. Il segretario provinciale del Pd veronese, Franco Bonfante, l’ha destituita dall’incarico di vicesegretario perché «non si poteva far finta di nulla». Va bene «la libertà di voto» per motivi di coscienza, ha detto Bonfante, «ma chi la pratica deve essere consapevole delle conseguenze politiche, a maggior ragione se vi erano alternative». Ieri, in un’intervista all’Huffington Post, il segretario dem ha fatto sapere: «Se ho sbagliato su Bigon, mi dimetto. Ma me lo dirà il Pd, non Graziano Delrio».Intanto, si è trattata di una sorta di purga staliniana che Bigon subisce, dopo essere stata accusata dalla segretaria del suo partito, Elly Schlein, di avere procurato una «ferita» al Pd. Avvocato specializzato in diritto di famiglia con studio a Villafranca di Verona, 55 anni, sposata, mamma di Angela, 26 anni e Mattia Edoardo di 20, vive a Povegliano Veronese dove è stata sindaco per dieci anni. Dal 2019 è consigliere regionale del Veneto, mentre la nomina a vicesegretario provinciale del Pd veronese era arrivata un anno fa. Avvocato, l’hanno rimossa perché non in linea con il partito. Quella ferita dovrebbe essere lei.«Prendo atto della decisione, vado avanti con le battaglie che ho sempre fatto. Sono nel Pd non per avere l’incarico di vicesegretario, ma per i principi e valori che lo statuto sancisce e che vorrei fossero riconosciuti. Non voglio parlare dell’amarezza, ma della soddisfazione per la tanta solidarietà che ho ricevuto: credo che buona parte del partito ritenga che abbia fatto bene a votare secondo coscienza». Si è astenuta dal voto per quale motivo?«Il progetto di legge prevedeva di uniformare tempi e procedure tra le varie Ulss, ma non si parlava di accesso alle cure palliative, che vanno potenziate, come afferma la stessa sentenza della Corte costituzionale. Invece è fondamentale, perché solo in questo modo si possono abbassare le richieste di suicidio assistito di persone con dolori inauditi, ma senza disponibilità economica per avere il sostegno totale e che non vogliono gravare sui loro familiari».Come esperto in materia, ha anche sollevato un problema di competenze legislative.«Certo, una legge sul fine vita deve essere nazionale, non regionale, in quanto va a incidere su una materia di competenza statale. C’è anche un parere a riguardo dell’avvocatura dello Stato. Inoltre, deve essere uniformata, altrimenti ci possiamo ritrovare con 20 leggi diverse. Se in Veneto bastano 20 giorni per accedere al suicidio assistito, dovremmo aspettarci arrivi da altre Regioni dove magari i tempi sono più lunghi. Una differenziazione di trattamento sul territorio impensabile». I sostenitori della proposta dell’associazione Coscioni affermano che si trattava di approvare solo delle procedure.«Allora perché una legge? Bastava un altro atto, erano sufficienti delibere sanitarie specifiche. Tutte domande che ho posto».Alla fine ha preferito astenersi.«Quando mi sono accorta che per la maggioranza del mio gruppo la linea era diversa, ho preferito agire in libertà di coscienza».Le rimproverano di non aver scelto di uscire dall’aula.«In quel caso, avrei ridotto il mio comportamento alla dimensione di pura testimonianza. Invece ho ritenuto opportuno esprimere il mio voto. Non è che possiamo avere libertà di pensiero solo quando il voto è ininfluente». La battaglia a favore del suicidio medicalmente assistito è una battaglia ideologica?«Credo che le battaglie debbano essere piene di contenuti. In questo caso, dovevano fare riferimento a cure palliative, alla presa in carico della persona che sente di essere in una situazione insostenibile. Altrimenti, certo si rischia di fare una battaglia ideologica».Lei è cattolica?«Sì. Ma la mia astensione non è stata solo per principio religioso. Le motivazioni sono quelle che ho illustrato sopra».Come fa il Pd a sostenere l’eliminazione dei deboli, dei depressi, dei non più produttivi? In una «prospettiva della selezione artificiale dei più adatti al progresso della società», come dichiarava Alfredo Mantovano, magistrato e vicepresidente del Centro studi Livatino.«Il Partito democratico è a favore delle persone, però bisogna prendere atto della sentenza della Corte costituzionale».Un suicidio, tra l’altro a carico del sistema sanitario nazionale. In un mero calcolo di esigenze di bilancio, costerebbe meno del mantenere in vita la persona.«I Lea, i livelli essenziali di assistenza, sono forniti a tutti i cittadini per garantire condizioni di uniformità su tutto il territorio, anche per questo serviva una legge nazionale».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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