2018-10-08
Angela si unisce ai tromboni di Bruxelles
Il giornalista Piero Angela è l'ultimo dei moralizzatori: dopo una vita dentro la Rai, che di certo ha contribuito al debito italiano, si scandalizza per le spese della manovra e si accoda al coro degli euroburocrati. Ma sono proprio loro quelli che hanno affossato il continente.In questi giorni c'è la fila di quelli che ti spiegano che non si può fare a meno dell'Europa e che ci si deve inchinare allo spread. A darci lezione ci si è messo perfino Piero Angela, che dall'alto dei suoi quasi 90 anni (buon per lui) ha voluto farci sapere quanto sia «grave che lo Stato crei questo debito pubblico che ci porta via decine di miliardi di interessi». Grazie, Piero. Ma tu dov'eri negli ultimi trenta-quarant'anni, quando questo debito pubblico cresceva? Oggi, certo, si pagano molti interessi, nonostante i tassi siano al minimo, ma perché negli anni passati si spendeva e si spandeva. Baby pensionati, aziende pubbliche che elargivano assunzioni clientelari, regali di Stato, vitalizi per ogni parlamentare. Così si è creato un debito pubblico che è tra i più alti del mondo, e per di più si auto alimenta grazie appunto agli interessi. Tuttavia, mentre cresceva un mostro che divora il futuro dei giovani e i risparmi degli italiani, non risulta che in Rai, cioè nel servizio pubblico per cui pure Angela lavorava, ci sia mai stata una severa presa di coscienza. Non dico che qualcuno abbia criticato la politica del governo - no, in una tv al servizio della politica questo non si poteva pretendere - ma che almeno si sia appellato a chi lavorava nella tv di Stato affinché si spendesse di meno. Al contrario, ci sembra che la Rai sia cresciuta di pari passo con il debito pubblico, gonfiando i bilanci e gli organici, senza che qualcuno, neanche il decano dei giornalisti scientifici, fiatasse.Ora che il vento è cambiato e i soldi sono finiti, all'improvviso si scoprono tutti europeisti e rigoristi. Già, non si può andare contro Bruxelles e si deve rispettare lo spread, altrimenti ci si mette fuori dall'Europa, quasi che rispondere per le rime a un tipo ad alta gradazione come Jean Claude Juncker sia paragonabile a una bestemmia. Allora sarà bene chiarire. Nessuno ha intenzione di uscire dall'Europa perché credo che tutti, ormai, si considerino cittadini del vecchio continente. Viaggiare da Milano a Parigi senza problemi, evitando di esibire il passaporto o ottenere visti d'ingresso e potendo spendere i soldi che si hanno in tasca senza l'obbligo di cambiarli alla frontiera è una libertà alla quale credo nessuno abbia intenzione di rinunciare. I giovani sono cresciuti con la generazione Erasmus, dunque abituati a viaggiare senza confini, mentre i più anziani hanno scoperto il bello di una patria più grande. Ma essere favorevoli all'Europa unita non significa essere favorevoli a questa Europa, cioè ai burocrati della Ue. Credo che né Salvini né Di Maio vogliano tornare indietro e ripristinare le dogane. E anche l'idea di un ripristino della lira credo sia faccenda da escludere. Ciò nonostante, si può essere europeisti senza dover per forza abbracciare il credo dei vari Juncker, Moscovici, Dombrovskis eccetera. Cioè: si può dire che la generazione di funzionari che ha governato l'Europa negli ultimi venti-trent'anni ha fallito? Questi signori hanno preso in mano le economie e le democrazie occidentali più avanzate, e dopo un quarto di secolo delle loro cure ci consegnano un continente a pezzi sia economicamente sia politicamente. Se si esclude la Germania, la maggior parte dei Paesi sta peggio di prima, e questo non ha nulla a che fare con la voglia di essere e di sentirsi europei: è solo la conseguenza delle scelte sbagliate di chi ha governato la Ue. Noi non siamo contro l'Europa. Siamo contro Juncker, Moscovici, Dombrovskis e compagnia bella. Del resto, quasi tutti questi signori sono sconfitti in casa propria, dunque perché dovrebbero essere vincenti fuori? Come abbiamo spiegato nei giorni scorsi, l'Italia è nel mirino della Ue perché intende raggiungere nel 2019 un deficit del 2,4 per cento invece dell'1,9 che Bruxelles sarebbe pronta a concederci. In totale sarebbero 8,5 miliardi di spesa in più, a fronte di un Pil che supera i 1.700 miliardi. «Così si fanno miliardi di debiti», dice Piero Angela. Così si aggiungono 8,5 miliardi ai 2.300 miliardi di debiti che già abbiamo già fatto, precisiamo noi. Una montagna di soldi, 407 dei quali sono stati accumulati negli ultimi sette anni, da quando cioè Bruxelles ci ha imposto la politica del rigore, minacciando sanzioni. Il famoso collega ha ragione. Non si può continuare così: bisogna darci un taglio. Tuttavia ci permettiamo di segnalargli che da quando è iniziata la crisi, l'Europa, o meglio Juncker e compagni, ci hanno fatto spendere 58 miliardi di euro per salvare la Grecia, l'Irlanda, la Spagna e il Portogallo, cioè Paesi sull'orlo del crack, a cui le banche tedesche e francesi avevano prestato molti soldi. Il nostro denaro, generato ogni anno dalle tasse dei contribuenti, è servito a evitare il fallimento dei nostri partner europei, ma soprattutto del sistema bancario di Germania e Francia. Senza i soldi della Ue alcuni istituti sarebbero infatti saltati come tappi di champagne. Ma come sarebbe oggi la situazione in Europa se non fossero stati versati quei fondi? Beh, noi avremmo meno debiti e più soldi per tagliare le tasse, mentre la Germania e la Francia avrebbero qualche problema in più. Hanno ragione quelli che dicono che non si può essere contro l'Europa. E però non si può neppure essere fessi.