2021-04-24
Giancarlo Aneri: «Troppo panico dai virologi da tv. Per fortuna ora il mondo riparte»
Giancarlo Aneri (M.Sestini/Mondadori Portfolio/Getty Images)
Il patron del gruppo specializzato in vini e caffè: «Davanti alle telecamere gli esperti hanno fatto danni, oltre alla crisi economica si è diffusa quella psicologica. Finalmente il telefono ha ripreso a squillare».«Sta ripartendo il mondo, lo vedo dai container». Giancarlo Aneri ha sempre uno sguardo originale e sensori speciali per cogliere il vento che cambia. Ha completato il primo del 2021, destinazione New York. «La settimana scorsa sono arrivati ordini che mancavano da sette mesi, buon segno». Il suo container è pieno di vini e caffè, core business delle due aziende di famiglia che il patriarca (73 anni) guida col pilota automatico da Legnago (Verona). Nella sua vita ha fatto degustare Amarone a Ronald Reagan, Barack Obama e Donald Trump, ha messo insieme Indro Montanelli, Giorgio Bocca ed Enzo Biagi per fondare il premio «èGiornalismo», ha frequentato Enzo Ferrari. Esperienza e spalle larghe, perfetto per spiegare un Paese che ha voglia di rinascita, oltre gli anatemi dei virologi e le promesse dei politici.Giancarlo Aneri, come si esce dalla depressione sanitaria?«Sono positivo, ho buone sensazioni. Forse perché sono nato ottimista e non ho mai avuto paura del futuro. A me ciò che sta dietro l'orizzonte affascina e nonostante la grande paura ho più voglia di fare oggi che due anni fa. Sarebbe bello se dopo la rinascita ci fosse un nuovo rinascimento».Per ora il commercio è in ginocchio e le persone hanno ancora paura.«La paura del futuro è il vero freno, anche più del virus. La più grande emergenza del dopoguerra è entrata nella testa della gente. Ho visto moltiplicarsi le crisi depressive di amici e clienti. Mi sono ritrovato a sollevare il morale di persone che hanno perso ciò che avevano costruito negli ultimi 20 anni».A che categorie si riferisce?«Ristoranti, enoteche, bar: ce ne sono 500, 600.000 che non riapriranno più. Qui il disorientamento ha attecchito più del Covid. Ed è scontato che chi ha un'attività propria sia stato penalizzato del 30% in più rispetto al funzionario a stipendio fisso. Nelle numerose telefonate motivazionali, ho colto i limiti della comunicazione fatta nei mesi scorsi».Approfondiamo l'argomento.«Se devo dare un voto ai virologi televisivi, è negativo. Perché non sono riusciti a comunicare nel modo giusto, a controllare la terminologia, a evitare l'onda di panico. Al mondo ci sono persone psicologicamente più fragili e altre meno attrezzate a cogliere le sfumature di un ragionamento». L'ideatore del premio «èGiornalismo» come giudica i media?«All'inizio l'informazione televisiva ha forzato la mano, trasmettendo negatività con il martellamento quotidiano sui morti. La stampa scritta si è comportata meglio. Leggo sei giornali e mi ritengo fortunato: approfondisco, confronto. Invece su tv e social passa il messaggio immediato, il titolo e non il contenuto». Avete avuto contraccolpi economici anche voi?«Siamo un'azienda famigliare, la cassa è sempre stata sana. Il bilancio 2019 era stato il più bello degli ultimi 27 anni, quello del 2020 il più brutto. Abbiamo portato a casa un pareggio ma lo considero un dato superpositivo, più interessante dell'utile dell'anno prima».Ha fatto il vaccino? «Entro l'otto maggio sono vaccinato. Nessuna remora, se mi avessero convocato di notte ci sarei andato ugualmente. Quando ho il patentino, o ciò che serve, prendo il primo aereo che va lontano. America o Giappone. Voglio tornare a vivere. Per me vivere è sempre stato anche viaggiare; al lunedì decidevo di andare a Parigi e al mercoledì ero in Place Vendôme».Un anno in smartworking le ha insegnato qualcosa? «Si, che non funziona. Nelle riunioni in presenza, in mezz'ora sono sempre entrato in sintonia con collaboratori, clienti, mondo, perché nel nostro lavoro il rapporto con le persone è decisivo. Nelle riunioni su Zoom, invece, si sviluppa una parte tecnica alla quale manca l'anima».Ammetterà che è più comodo.«Ma no, è solo più impersonale. Gli affari più belli li ho fatti a tavola con un bicchiere di vino o dopo un caffè. Sa perché? Le persone si rilassano e viene fuori spontaneamente ciò che si ha da dire».Al di là del container e del fiuto, quali sono i segnali di ripartenza? «Il ristorante Stresa di Parigi, l'italiano più importante di Francia con clienti da Bernard Arnault a Emmanuel Macron, mi ha ordinato 100 casse di prosecco. Il proprietario Tony mi ha detto: “Devono farci lavorare sennò crolla il mondo. E noi lavoreremo il doppio". Dal San Carlo restaurant di Londra, un brand con 26 locali, è arrivata un'importante commessa di caffè. Certo, si contano anche i feriti».In che senso?«A New York avevamo 160 clienti per caffè, quindi bar, e adesso ne abbiamo un centinaio. Gli altri hanno chiuso. È l'indicatore più attendibile».Il Covid vi ha costretto a cambiare strategie?«Un anno fa dovevamo lanciare Anerissimo, il nostro amaro. Ho bloccato tutto e ho rimandato, si parte adesso. Un pranzo scandito da un buon vino si conclude con un buon caffè e un goccio di amaro. Noi abbiamo vino e caffè, mancava l'amaro. Così abbiamo inventato un prodotto accattivante (29 gradi) che unisce grappa e caffè. Una forza doppia».È vero che nel dopo pandemia ci sarà un ritorno alla tradizione e alle identità?«Nel nostro settore gli esperti davano per finita la trattoria, stritolata fra i grandi gruppi della ristorazione e gli chef stellati con piatti artistici. Sa chi sta reagendo meglio? La trattoria famigliare di una volta. È come il mio giornale di carta, tiene duro».Che cosa ha comunicato ai suoi quattro nipotini (Lucrezia, Ludovica, Giorgia e Leone) per spiegare la pandemia? «Ho detto che era una malattia più grave dell'influenza che regolarmente mi passano loro d'inverno. In famiglia abbiamo dato regole di comportamento, abbiamo dispensato serenità. E abbiamo cercato di non stravolgere le nostre vite».Non si poteva derogare molto.«Sono un maratoneta, senza le mie corse non riesco a stare. Ho rischiato l'arresto più volte perché mi allontanavo oltre i 200 metri da casa. Però ero solo; la gente ti conosce e ti sopporta bonariamente».Quando il presidente Sergio Mattarella ha chiamato Mario Draghi, lei ha comprato una pagina del Corriere della Sera per ringraziarlo. «È stato il momento in cui ho capito che ne saremmo usciti. È stata la svolta e si percepisce. Non che Giuseppe Conte non fosse credibile, però Draghi è un fuoriclasse, non agisce da politico ma da uomo di Stato. I grandi del mondo sanno chi è, e soprattutto sanno che fa ciò che dice. Questo significa che anche le disgrazie più grandi lasciano qualcosa di positivo».Quindi è pronto per il check-in?«Sempre. Ripartire significa tornare giovani. La nostra generazione ha costruito qualcosa girando il mondo con la valigetta del campionario per far conoscere prodotti di qualità. Altro che Zoom».
Eugenia Roccella (Getty Images)
Carlotta Vagnoli (Getty Images)