2023-03-06
«Il nuovo Pd? Mi ricorda un po’ il Pci»
Andrea Marcucci (Imagoeconomica)
L’ex capogruppo Andrea Marcucci: «Ai festeggiamenti della Schlein ho visto falce e martello. E ora c’è pure chi parla di purghe. L’ecologismo non può essere una scusa per regredire. Temo che si snobbi il Paese per cercare i like sui social».Andrea Marcucci, ex capogruppo e socio fondatore del Pd, come sta vivendo l’ascesa di Elly Schlein alla segreteria del suo partito? Da imprenditore attento alle esigenze del mondo produttivo, si sente sotto sfratto? «L’esito delle primarie certifica una grande richiesta di novità. Ma io sul fatto che Schlein rappresenti il nuovo ho i miei dubbi. Basti pensare che tra gli sponsor del neo segretario ci sono personaggi come Dario Franceschini, Andrea Orlando, per non parlare di Nicola Zingaretti, che con le sue dimissioni ancora tutte da spiegare ha contribuito alla crisi del partito. Ecco, identificare Elly Schlein con il nuovo assoluto, un po’ mi fa sorridere e un po’ mi fa pensare». Dunque è preoccupato?«Certo che sono preoccupato. Vivo da anni nel Pd, ho convissuto con la segreteria di Bersani, in posizione isolata, poi con Nicola Zingaretti che non mi voleva troppo bene, e poi con Enrico Letta che ha tentato di fare un’operazione di epurazione. Ma nessuno ha mai messo in discussione l’idea fondante del Partito democratico, quella originaria di Walter Veltroni: mettere insieme i riformisti socialisti con i cattolici democratici e i laici liberali». E oggi, si sta consumando una rottura senza precedenti con il passato? «La fisionomia del “nuovo” Pd, a parole, sarebbe sicuramente molto lontana dal partito nato al Lingotto. Quell’attenzione sembra sparita, così come la propensione a rivolgersi a tutto il Paese, a tutte le fasce sociali. Il Pd che conosco aveva voglia di governare, non ha mai perso di vista i problemi del Paese, cercando perennemente le soluzioni. Dalle parole della nuova segretaria, mi sembra che anche quella tensione sia parecchio scemata. Io sono pronto a convivere anche con Schlein, a meno che lei e la sua classe dirigente decidano che non ci vogliono più, o demoliscano i nostri valori di riferimento». A tal proposito: Schlein ha insistito moltissimo sul concetto di “redistribuzione della ricchezza” in ambito economico. «La crescita economica è la madre di tutte le battaglie sull’equità. Senza crescita la povertà si allarga e valgono solo le rendite di posizione che nuocciono soprattutto a chi è più in difficoltà. La “decrescita” è infelice per tutti, non c’è dubbio. Molti concetti rilanciati dalla Schlein non li condivido, ma il punto è un altro: i pilastri ideali del partito sono ancora lì, o saranno abbattuti?». Insomma, ha paura che con il nuovo corso si proceda soltanto a forza di slogan, scollandosi dalla realtà produttiva del Paese?«Non vorrei che la nuova segreteria si sintonizzasse sulla lunghezza d’onda del periodo di Enrico Letta, quando le battaglie si facevano soltanto per ottenere i like sui social e non per farle diventare leggi dello Stato. In pratica, il modello del celeberrimo disegno di legge Zan».L’iper-ambientalismo di Schlein la spaventa?«L’ambientalismo non può essere una scusa per regredire, ma un’opportunità per rendere le aziende più competitive, nella logica dei Verdi tedeschi. Ma se il criterio è penalizzare l’economia bastonando le imprese, allora non ci sto, perché questo significherebbe bloccare il Paese. Anche sulle infrastrutture voglio vedere: io sono a favore dei rigassificatori a Piombino a Ravenna, cosa ne pensa la Schlein? Non si può dire no a tutto».Insomma, si aspetta che il segretario Schlein svesta i panni del radicalismo e subisca, per così dire, una metamorfosi riformista? «Io sono rimasto sorpreso della trasformazione di Giorgia Meloni: resto suo avversario, ma ammetto che non sta governando così male come avrei immaginato, semplicemente perché sta facendo l’opposto di ciò che ha detto in campagna elettorale, in particolare sulle politiche di bilancio e sui rapporti con l’estero. Mi auguro che la Schlein segua la stessa strada». Tutto sta a capire cosa si intende per «sinistra radicale»…«Appunto, cosa vuol dire essere “radicali”: fare una patrimoniale? Alzare le tasse sui redditi alti? Ostacolare le imprese? Spero proprio di no. Se invece il radicalismo consiste nell’iniettare nel partito energie fresche, procedere a un ricambio generazionale, introdurre nuovi stimoli, senza però toccare i capisaldi culturali del partito, soprattutto sulla politica economica, allora ben venga il radicalismo». Beppe Fioroni ha lasciato il partito, che ritiene ormai «geneticamente modificato». E lei?«Non mi piace chi se ne va a prescindere: prima devo capire in quale direzione andremo, perché per me la Schlein è ancora un enigma. Certo, ho visto alcune scene, durante i festeggiamenti per la sua vittoria, che mi hanno ricordato il partito comunista italiano dell’anteguerra». A cosa si riferisce?«Non parlo di “Bella Ciao”, che resta un canto di libertà. Piuttosto, ho visto esultanze condite da falci e martello e immagini di Gramsci. Per carità, se sono soltanto cimeli di una storia comune è un conto; se invece sono valori ai quali ispirarsi, è un altro. Mi farebbe piacere vedere nei circoli del Pd l’immagine di Piero Gobetti, un grande liberale progressista mai entrato nel pantheon dell’oligarchia del Pd. Forse dovremmo incentivare una maggiore pluralità anche nelle figure iconiche cui si ispira il partito». Quindi oggi si aspetta le purghe staliniane?«Alcuni di loro le annunciano. Stiamo a vedere». Quale scelta di Schlein sarebbe incompatibile con la sua permanenza nel partito?«Sicuramente un cambio di rotta nella politica internazionale. Nel momento in cui il Partito democratico decidesse di non appoggiare più la lotta di libertà dell’Ucraina, non potrei accettarlo. Ne risentirebbe anche il quadro delle alleanze europee ed atlantiche, di cui il Pd è stato il perno. Noi stiamo con gli ucraini, senza se e senza ma: vogliamo una pace giusta, ma alle condizioni di Kiev».Si riferisce anche a eventuali ripensamenti sulla cessione di armamenti? «Il sostegno militare è già stato autorizzato dal Parlamento, il governo deve monitorare costantemente la situazione e su questo punto il Pd deve stare dalla parte di Giorgia Meloni, senza tentennamenti. Posizioni “terziste” in questo campo sarebbero deleterie. Senza contare che il Pd ha espresso il ministro della difesa durante il governo Draghi». Il fatto che il primo incontro del nuovo segretario sia stato con Giuseppe Conte, è un segnale importante. Si rinsalderà l’alleanza con il Movimento 5 Stelle? «Se è un primo incontro mi sta bene, l’importante è che non sia l’unico. Guardare ad una sola opposizione sarebbe già un errore. Soprattutto se penso che questo probabile nuovo sodalizio possa cambiare anche solo in parte le nostre posizioni sulla guerra in Ucraina e sulla giustizia. Inoltre, vedo il rischio che i due partiti diventino sovrapponibili, in perenne concorrenza. Piuttosto che instaurare una competizione elettorale con il mondo cinque stelle, mi sembrerebbe più auspicabile un’alleanza strategica con il Terzo Polo». Anche alla luce del partito unico Renzi-Calenda?«Questa è la strada giusta, se vogliamo creare un’area liberal-democratica che conti nel Paese, senza per questo strizzare l’occhio alla destra. Secondo me hanno fatto bene a procedere con un partito unico, e mi auguro che trovino interlocutori nel Pd». Si fatica a immaginare Schlein che prende accordi con Renzi: anzi, il dialogo è fermo a zero. «Non è detto. Tra le doti che riconosco a Schlein c’è un certo pragmatismo politico. Vedremo». In definitiva, il meccanismo delle primarie ha fallito? Avete eletto un segretario che fino a qualche settimana fa non possedeva neanche la tessera del partito. E tutto grazie a un voto «esterno» che contraddice il voto degli iscritti. «Il risultato si accetta, perché le primarie non possono andar bene solo quando vinci. Però ammetto che stavolta il partito democratico è stato fin troppo “democratico”, e magari occorre individuare alcuni correttivi». Il partito si spaccherà?«Io non credo nella scissione: il rischio, piuttosto, è restare colpiti da una disaffezione profonda nel Paese». Finirete sotto il 10%? «No, stare all’opposizione paradossalmente può essere un’occasione per aumentare consensi: altri partiti, con classi dirigenti meno preparate, ci sono riusciti. Il vero rischio è quello di avere un’opposizione politicamente debole, che abbandona il suo mondo di riferimento, e che non riesce ad esprimere un’alternativa di governo. E questa sarebbe una sconfitta non per il Partito democratico, ma per tutto il Paese».
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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