2020-03-11
Ancora pacchi bomba. Ma l’odio rosso non suscita scandalo
Pista anarchica per i 5 ordigni consegnati a Roma. In Rete inviti alla lotta armata. Se non c'entra la destra, nessuno si scompone. «I tanto denigrati pacchi bomba» sono «una pratica antica che, per quanto se ne dica, fa parte della tradizione anarchica». E ancora: «Il terrorismo è una pratica che gli anarchici (come quasi tutti i movimenti rivoluzionari e di popolo) hanno sempre utilizzato. Il terrorismo dal basso verso l'alto ha tutte le giustificazioni del mondo». A dirlo è Alfredo Cospito, anarchico che attualmente si trova rinchiuso nel carcere di Ferrara, condannato per aver gambizzato, a Genova, l'amministratore delegato di Ansaldo nucleare, Roberto Adinolfi. Cospito, nell'aprile di un anno fa, si è preso 20 anni dopo essere stato riconosciuto colpevole di aver promosso o partecipato a una associazione con finalità di terrorismo ed eversione (altri 4 anarchici hanno avuto condanne che vanno dai 17 ai 5 anni di reclusione). Le considerazioni di questo militante della Federazione anarchica informale sono apparse sugli ultimi numeri di Vetriolo, una rivista anarco insurrezionalista i cui contenuti sono facilmente reperibili sul Web. Sugli stessi siti, per intendersi, che ieri esprimevano solidarietà ai detenuti di San Vittore in rivolta e «ai compagni e alle compagne» che, dall'esterno, li supportavano. Su Vetriolo l'invito a compiere azioni violente non è nemmeno mascherato: è ripetuto ed esplicito. E focalizzato in particolare sui «pacchi bomba». Gli antagonisti della Fai, nel corso degli anni, ne hanno fatto ampio uso. Spedirono buste esplosive, nel 2005, all'allora sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, e al questore di Lecce, Giorgio Manari. Nel 2006 toccò al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, e al direttore del quotidiano Torino cronaca, Giuseppe Fossati. Non sorprende, dunque, che i pacchi bomba distribuiti a Roma e dintorni negli ultimi giorni vengano ricondotti proprio alla galassia anarchica. Questo ritengono gli investigatori romani coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Caporale e dal pm Francesco Dall'Olio. Finora di buste contenenti ordigni ne sono state recapitate 5. L'ultima è arrivata a Palombara Sabina, a casa di un uomo di 54 anni che fa il portiere in un residence di lusso in zona Ponte Milvio, nella Capitale. Il quarto pacco era indirizzato all'avvocato Paolo Giachini, ed è stato consegnato nella sua abitazione di via Baldo degli Ubaldi, la stessa in cui il legale anni fa ospitò Erich Priebke. Le precedenti tre buste sono arrivate a tre donne, tutte rimaste ferite. Come ha ricostruito il Messaggero, una lettera era «indirizzata a una ex dipendente amministrativa dell'università di Tor Vergata» ma è stata aperta da una impiegata del centro di smistamento posta di Fiumicino, che si era insospettita. Le altre due destinatarie «erano un'ex professoressa dell'università Cattolica e una dipendente dell'Inail. Avevano ricevuto le buste a casa, una a Fidene e l'altra in zona Balduina». L'obiettivo, pare di capire, era quello di ferire, non di uccidere. Azioni dimostrative a carattere antimilitarista, si suppone, dato che «l'ateneo di Tor Vergata a ottobre ha siglato un accordo con l'Aeronautica Militare, mentre la Cattolica, nel dicembre 2017, aveva stretto un'intesa di cooperazione con una struttura della Nato». La motivazione «politica» dietro il quinto pacco non è chiara, ma la struttura dell'ordigno è sempre la stessa: una busta con mittente fittizio (il più delle volte una persona conosciuta dal destinatario) che contiene una scatoletta di legno dotata di innesco ed esplosivo, costruita probabilmente da qualcuno che sa maneggiare abbastanza bene gli esplosivi. Certo, le indagini sono ancora in corso, e vedremo nei prossimi giorni se ci saranno ulteriori conferme riguardo la pista anarchica. Già oggi, tuttavia, viene da fare una considerazione. Abbiamo visto i pacchi bomba. Abbiamo assistito agli scontri con la polizia a Milano a supporto delle rivolte dei detenuti. Della violenza anarchica e antagonista si occupa pure l'ultima Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza della nostra Intelligence, che segnala i legami fra l'estremismo italiano e quello greco. Eppure, guarda un po', nessuna di queste notizie suscita allarme. Per settimane abbiamo sentito parlare di «emergenza odio». Le ignobili scritte sui muri (svastiche e insulti antisemiti) realizzate da qualche ignoto deficiente hanno ottenuto le prime pagine dei giornali e fatto gridare al ritorno del nazismo. Sono stati suggeriti collegamenti improbabili fra i movimenti sovranisti italiani e le organizzazioni estremiste di mezzo mondo. Sono stati costituiti comitati di esperti e commissioni di indagine. Eppure, guarda un po', per l'«odio rosso» non c'è nemmeno un sopracciglio alzato. Pacchi bomba a parte, ci sono in giro riviste che invitano esplicitamente alla lotta armata. Gli episodi di violenza antagonista certo non mancano (basti ricordare che cosa è accaduto settimane fa a Torino a margine di un convegno negazionista sulle foibe). Ma niente da fare: la minaccia sta sempre a destra. A quanto pare, in questo Paese l'odio è interessante solo quando può essere usato per screditare le forze d'opposizione.
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