2023-07-24
Anche Pichetto Fratin si lascia imporre i dogmi ambientalisti
Gilberto Pichetto Fratin (Ansa)
La propaganda catastrofista influenza pure il ministro, che si adegua alla vulgata: «I negazionisti fan danni, CO2 da ridurre».La sconfortante verità è che, giunti a questo punto, i deliranti progetti censori del negazionismo climatico (come quello suggerito da Angelo Bonelli che poi se l’è mezzo rimangiato) sono perfino superflui. Il condizionamento del pensiero e il martellamento mediatico hanno già ottenuto gli effetti previsti: chiunque oggi parli di clima, soprattutto se ricopre un ruolo istituzionale, è tenuto a limitarsi da solo. Semplicemente non può utilizzare alcune espressioni, non si può permettere un fiato critico e nemmeno una battuta (vedasi il polverone idiota sollevato da una frase di buon senso pronunciata da Andrea Giambruno al tg). Anzi, è di fatto obbligato ad accettare le regole del discorso dominante, a utilizzare le formule preconfezionate che rimbalzano ovunque, a ossequiare il climaticamente corretto. Pure chi evidentemente cova una opinione differente da quella (mediaticamente) maggioritaria prima di esprimerla si deve inerpicare su una montagna di premesse, le quali inevitabilmente snaturano i ragionamenti e depotenziano le critiche. Emblematico a tale proposito il caso del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin. Ieri i quotidiani riportavano nei titoli alcune sue dichiarazioni urticanti. Del tipo: «I negazionisti fanno più danni dei catastrofisti. Il cambiamento climatico c’è, è evidente, è in atto e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti». Già l’utilizzo del termine negazionismo è indice di cedimento alla retorica prevalente, figuriamoci il resto. Eppure Pichetto Fratin - al di là di alcuni clamorosi scivoloni, per esempio in materia di «case green» - non sembra essere poi così prono all’ideologia. Anzi, in una intervista a Repubblica riesce persino a dire cose condivisibili. Spiega, tra le altre cose, che di fronte ad alcuni fenomeni serve una risposta realistica per tentare una mitigazione. «Quello che è successo in Emilia Romagna Veneto è un esempio», dice Fratin. «In 80-85 giorni piove lo stesso quantitativo di acqua che sino a pochi anni fa veniva registrato in 110-120 giorni. Non dobbiamo abituarci ai disastri. Lavoriamo sulle opere di mitigazione e adattamento, dalle aree di esondazioni dei fiumi alla gestione dell’acqua, prevenendo i rischi e rendendo meno gravi gli impatti. Le forti piogge, la grandine, le alluvioni, sono l’altra faccia della medaglia della siccità, su cui il governo è intervenuto nominando un commissario e istituendo una cabina di regia a Palazzo Chigi». Giusto: se le piogge sono abbondanti e i fiumi esondano non si può pensare di «ripristinare la natura», come suggeriscono le lisergiche norme europee: bisogna intervenire per mettere in sicurezza il territorio. E se proprio si è obbligati ad affrontare la transizione ecologica, occorre farlo cercando di non mandare in rovina aziende e famiglie. A quanto pare, tutto ciò a Pichetto non sfugge. Eppure è costretto - poiché i cronisti lo incalzano - a ribadire le banalità precotte del copione green. Deve dire che di fronte ai mutamenti climatici «l’unica risposta è un contributo alla diminuzione delle emissioni di CO2 a livello globale, accelerando la decarbonizzazione». Deve affermare che «tutti devono agire, noi per primi, non esistono giustificazioni». E infine deve scodellare la reprimenda contro i negazionisti, parificandoli ai catastrofisti, sorvolando così su un dettaglio: il catastrofismo esiste ed è dominante; il cosiddetto negazionismo è una caricatura utile a tacitare il dissenso. Ma c’è poco da fare: alla tagliola linguistica non si sfugge. Ne sa qualcosa Francesco Vaia, direttore generale della prevenzione al ministero della Salute. Intervistato da Margherita De Bac per il Corriere della sera, prova in ogni modo a sostenere che sia una colossale scemenza paragonare il caldo al Covid. Ma la giornalista insiste, preme, continua a battere sullo stesso tasto e alla fine Vaia, spossato, crolla. Deve ammettere almeno un po’ che il parallelo con la pandemia regge e che infatti è stato riattivato il numero ministeriale per le emergenze. È esattamente lo stesso meccanismo utilizzato ai tempi del Covid e nei primi mesi di guerra: prima di affermare un concetto, occorre snocciolare mille premesse (premesso che il vaccino funziona, premesso che la Russia ha invaso...). Una volta esaurite le premesse, ci si dimentica del resto, e i concetti fondamentali - quelli utili alla propaganda - sono rinfrescati. Non accade soltanto in Italia: che i metodi di persuasione utilizzati per la «emergenza climatica» lo ha notato sul britannico Daily Telegraph anche Allison Pearson: «È quasi come se le stesse persone che ci hanno spaventato a morte durante la pandemia, terrorizzando le persone per farle obbedire a regole spesso idiote, fossero di nuovo all’opera», ha scritto. Secondo la Pearson, dietro l’allarme sul caso c’è una regia precisa: «Il Behavioural Insights Team (noto anche come Nudge Unit) - nato dal Cabinet Office e ora al servizio di molte grandi aziende, istituzioni globali e governi nazionali - sta collaborando con le emittenti televisive per diffondere messaggi sul cambiamento climatico», spiega. «Un rapporto del Bit in collaborazione con Sky Tv, intitolato Il potere della tv: spingere i telespettatori a decarbonizzare il loro stile di vita, afferma che “il cambiamento comportamentale sul clima può essere guidato dalla tv. [...] Gli esperti sono ormai convinti che dobbiamo modificare il comportamento di milioni di persone per raggiungere i nostri obiettivi collettivi di zero emissioni”». Per nudge si intende la «spinta gentile», il paternalismo dolce, il condizionamento sottile e costante per spingere le persone ad agire «nel modo migliore». Cioè il più conveniente per chi comanda. In Italia non ci sono «nudge unit», ma probabilmente non servono: giornali e tv si prestano volentieri all’indottrinamento. E sono troppo pochi quelli che hanno gli strumenti e il fegato per opporsi.