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2024-02-01
Gli anarchici di Cospito tifano Salis
Ilaria Salis (Ansa)
Le brigate Cospito tifano per Ilaria Salis, la movimentista anarchica italiana arrestata in Ungheria dopo un’aggressione a due militanti di estrema destra durante la commemorazione del Giorno dell’onore, procurando alle vittime ferite valutate come guaribili in sette giorni. Salis è accusata di aver messo in «pericolo» la «vita» di una delle vittime tramite una «tentata lesione personale». Il reato sarebbe stato «commesso» nell’ambito di un’azione di «una organizzazione criminale» che in Germania, dove uno dei coimputati di Ilaria, Tobias Edelhoff, arrestato a Budapest con lei (che si portava dietro un manganello retrattile) su un taxi l’11 febbraio scorso, è indagato, è stata ribattezzata la Hammerbande, cioè la «banda del martello».
In Italia, come pubblicizzano i siti Web d’area anarchica, è subito nato un comitato pro Ilaria che ha già all’attivo diversi sit-in. Il 13 gennaio, per esempio, i gruppi anarchici hanno manifestato a Milano e su Radio onda rossa, oltre a «esprimere solidarietà e vicinanza ai prigionieri di Budapest», a Gabriele (per il quale l’Ungheria chiede l'estradizione) e «ai compagni che sono ricercati (per 14 indagati è stato emesso un mandato d’arresto europeo, ndr)». E sempre su Radio onda rossa i compagni e le compagne di Milano fanno sapere di aver scelto «di non delegare la lotta contro fascisti e nazisti a quegli apparati istituzionali democratici che non fanno altro che difenderli e legittimarli. Siamo convinti che i fascisti vadano combattuti in maniera diretta». Ovvero con azioni come quelle di Budapest. Su Autistici.org, invece, viene spiegato che «non esiste nessuno “scontro tra gang” o “agguato a cittadini innocenti”, ma soltanto la messa in pratica di quell’antifascismo militante. Una necessità che va esercitata nei luoghi dove i camerati si riuniscono così come nei luoghi dove viviamo, che ogni giorno attraversiamo e che devono quindi rimanere liberi dalla presenza fascista e nazista». Ed è per questo motivo probabilmente che i giornali ungheresi hanno ribattezzato Salis la «cacciatrice di nazisti». Mentre Rivoluzione anarchica, altro blog di area, augura «lunga vita ai latitanti», cioè ai 14 indagati ricercati, e riporta una puntuale cronologia degli avvenimenti di Budapest.
Coincidenza: Radio onda rossa conserva negli archivi una decina di post in chiave difensiva per l’arruffapopoli Alfredo Cospito, Rivoluzione anarchica è schierato apertamente con il cattivo maestro finito al 41 bis e Autistici.org ha addirittura ospitato uno degli scritti del profeta della rivoluzione nel quale sosteneva: «Il mio ottimismo rimane granitico perché l’evoluzione del movimento anarchico sta andando nella direzione giusta, quella ci ha indicato con l’esempio Mikhail Zhlobitsky col suo gesto vendicatore (si fece saltare in aria ferendo tre agenti, ndr)». Anche sulla base degli scritti che Cospito affidava ai blog anarchici è stata motivata la richiesta di carcere duro. Il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, per esempio, osservava che «Cospito» aveva «già ricevuto diverse condanne per il reato di istigazione a delinquere in relazione ai suoi scritti, ma con ogni evidenza senza alcuna efficacia deterrente». E ora il panorama anarchico italiano si scalda per la banda del martello, che ha colpito in Germania e anche in Ungheria. Salis, che respinge le accuse, ha rifiutato il patteggiamento a 11 anni che gli era stato proposto (e ora rischia fino a 24 anni), si porta dietro una condanna a otto mesi che le hanno inflitto a Milano nel 2022 per «resistenza aggravata» per aver urlato contro i poliziotti «mangiate» mentre gli avrebbe lanciato contro dell'immondizia. E in passato era stata intercettata con Roberto Cropo, l’anarchico estradato dalla Francia nel 2020 e finito nell’operazione Bialystok, che sgominò un gruppo anarcoinsurrezionalista legato alla Fai, la Federazione anarchica informale. Tra gli imputati di Budapest è quella che si è attirata le contestazioni più pesanti: oltre all’associazione a delinquere è accusata di due pestaggi. Edelhoff, il suo coimputato, invece, è accusato solo di associazione a delinquere e, a sorpresa, ha accettato di patteggiare a tre anni. In Germania invece è considerato uno dei leader della banda del martello, insieme a Lina Engel (condannata a cinque anni per le aggressioni ai nazi in Germania) e Johann Guntermann (indicato dai giornali tedeschi come il «padre spirituale della banda», che ha fatto perdere le sue tracce dal 2020). Con Salis ed Edelhoff a Budapest c’era anche una terza persona: Anna Christina Mehwald, ma anche la sua è considerata una posizione secondaria. «Secondo l’accusa», scrive il quotidiano ungherese Presti, «identificandosi con l’obiettivo ideologico dell’organizzazione» Hammerbande, i tre «si sarebbero recati in Ungheria per partecipare agli attacchi» contro i nazi di Budapest.
Matteo Salvini attacca: «Se in Ungheria fosse dimostrata colpevole, ovviamente sarebbe incompatibile con l’insegnamento in una scuola elementare». Dall’opposizione si sono subito infervorati. Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, ha bollato le parole di Salvini come «bullismo di Stato», mentre il segretario del Pd, Elly Schlein, ha affermato che «se Salvini può fare il ministro, Salis può fare la maestra».
La strategia del governo corre per ora sul binario della diplomazia e c’è stata una telefonata di Giorgia Meloni a Viktor Orbán. Un trasferimento della Salis agli arresti domiciliari sarebbe il primo passo per farle lasciare l’Ungheria. Ora però per i giudici ungheresi «sussiste il pericolo di fuga». E in serata, anche il portavoce di Orbán, Zoltan Kovacs, ha chiarito: «I reati in questione sono gravi, sia in Ungheria che a livello internazionale. Le misure adottate nel procedimento sono previste dalla legge e adeguate alla gravità dell’accusa del reato commesso».
Dai tedeschi con Turetta alle carceri americane. Sulle manette così fan tutti
Le manette ai polsi e i ceppi alle caviglie mostrati da Ilaria Salis durante l’udienza del processo a Budapest, in Ungheria, sono una prassi. I quotidiani ungheresi sono zeppi di foto che ritraggono detenuti ammanettati tra agenti di polizia ai quali viene oscurato il volto. Quello dei detenuti, invece, è sempre ben visibile. Era una prassi anche in Italia fino a quando i giornalisti non si sono dotati di una carta deontologica che impedisce di riprendere o fotografare persone ammanettate. I lettori, quindi, non sono più abituati a vedere chi viene tradotto dal carcere con misure di sicurezza che, in realtà, anche le forze dell’ordine e la polizia penitenziaria italiana impiegano quando trasferiscono detenuti per i quali è richiesta maggiore attenzione. E Salis in Ungheria è accusata, oltre che di tentate lesioni che avrebbero potuto mettere in pericolo di vita la vittima, anche di far parte di un’associazione a delinquere. Reati per i quali è detenuta in un carcere di massima sicurezza. Durante i suoi trasferimenti, quindi, le forze di polizia usano sistemi per impedirne la fuga. Proprio come è accaduto in Germania con Filippo Turetta, accusato di aver ucciso in Italia la sua fidanzata e trasferito dal carcere in aeroporto ammanettato. Lo stesso avviene negli Usa, dove i siti Web dei giornali pubblicano a go go video di ammanettati. E in Inghilterra: in molti ricorderanno le foto dell’estradizione temporanea del serial killer italiano Danilo Restivo in manette scortato dai poliziotti in aeroporto. Salis in udienza, al contrario del suo coimputato, come svelato ieri dalla Verità, ha accettato di essere ripresa dalle telecamere dei giornalisti presenti al processo. E probabilmente lo ha fatto proprio per attirare maggiore attenzione in Italia. Inoltre, in una lettera che aveva mandato ai suoi avvocati italiani dopo l’arresto, sosteneva di essere stata «costretta a indossare» - in occasione dell’interrogatorio, avvenuto «senza avvocato» - vestiti «sporchi, malconci e puzzolenti». In tribunale, invece, l’altro giorno, hanno sottolineato i cronisti ungheresi, indossava un bel maglione di lana intrecciato ai ferri e dispensava sorrisi. Ieri l’amministrazione penitenziaria ungherese, per rassicurare sulla condizione dei detenuti, ha scritto alla Corte d’appello di Milano per Gabriele Marchesi, coindagato di Salis, che è ai domiciliari in Italia: «Se la persona viene consegnata e presa in carico, il suo collocamento si svolgerà in condizioni coerenti con quanto previsto dalla Convezione europea sui diritti dell’uomo, dalla raccomandazione delle Nazioni Unite sulle linee guida minime per il trattamento umano delle persone arrestate, nonché dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa sulle regole penitenziarie europee». Salis, poi, nella stessa lettera aveva fatto sapere di essere stata costretta a «guardare il muro durante le soste nei corridoi» e aveva denunciato la presenza di «scarafaggi, topi e cimici nelle celle e nei corridoi». Dall’Ungheria, però, ora sostengono che «al detenuto vengono costantemente garantite le condizioni previste dalla normativa europea e nazionale in materia», sia «in termini di spazio abitativo» che di «servizi igienici, accesso all’aria fresca e altri requisiti». E infine, «per quanto riguarda la collocazione del detenuto, ai rappresentanti consolari e diplomatici del rispettivo Stato in Ungheria viene data la possibilità di entrare nel relativo istituto penitenziario e ispezionare le condizioni di detenzione, nonché il personale del Consolato può visitare il detenuto».F
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Gli antagonisti inneggiano alla compagna della «banda del martello», gruppo criminale antifascista. Salvini attacca: «Non può fare la maestra». Ma Schlein la copre. Il governo ungherese: «Reati gravi, misure giuste».Altro che persecuzione: a Budapest la foto in catene è una scelta dell’imputato. E Roma ha avuto rassicurazioni sul trattamento. Lo speciale contiene due articoli.Le brigate Cospito tifano per Ilaria Salis, la movimentista anarchica italiana arrestata in Ungheria dopo un’aggressione a due militanti di estrema destra durante la commemorazione del Giorno dell’onore, procurando alle vittime ferite valutate come guaribili in sette giorni. Salis è accusata di aver messo in «pericolo» la «vita» di una delle vittime tramite una «tentata lesione personale». Il reato sarebbe stato «commesso» nell’ambito di un’azione di «una organizzazione criminale» che in Germania, dove uno dei coimputati di Ilaria, Tobias Edelhoff, arrestato a Budapest con lei (che si portava dietro un manganello retrattile) su un taxi l’11 febbraio scorso, è indagato, è stata ribattezzata la Hammerbande, cioè la «banda del martello». In Italia, come pubblicizzano i siti Web d’area anarchica, è subito nato un comitato pro Ilaria che ha già all’attivo diversi sit-in. Il 13 gennaio, per esempio, i gruppi anarchici hanno manifestato a Milano e su Radio onda rossa, oltre a «esprimere solidarietà e vicinanza ai prigionieri di Budapest», a Gabriele (per il quale l’Ungheria chiede l'estradizione) e «ai compagni che sono ricercati (per 14 indagati è stato emesso un mandato d’arresto europeo, ndr)». E sempre su Radio onda rossa i compagni e le compagne di Milano fanno sapere di aver scelto «di non delegare la lotta contro fascisti e nazisti a quegli apparati istituzionali democratici che non fanno altro che difenderli e legittimarli. Siamo convinti che i fascisti vadano combattuti in maniera diretta». Ovvero con azioni come quelle di Budapest. Su Autistici.org, invece, viene spiegato che «non esiste nessuno “scontro tra gang” o “agguato a cittadini innocenti”, ma soltanto la messa in pratica di quell’antifascismo militante. Una necessità che va esercitata nei luoghi dove i camerati si riuniscono così come nei luoghi dove viviamo, che ogni giorno attraversiamo e che devono quindi rimanere liberi dalla presenza fascista e nazista». Ed è per questo motivo probabilmente che i giornali ungheresi hanno ribattezzato Salis la «cacciatrice di nazisti». Mentre Rivoluzione anarchica, altro blog di area, augura «lunga vita ai latitanti», cioè ai 14 indagati ricercati, e riporta una puntuale cronologia degli avvenimenti di Budapest. Coincidenza: Radio onda rossa conserva negli archivi una decina di post in chiave difensiva per l’arruffapopoli Alfredo Cospito, Rivoluzione anarchica è schierato apertamente con il cattivo maestro finito al 41 bis e Autistici.org ha addirittura ospitato uno degli scritti del profeta della rivoluzione nel quale sosteneva: «Il mio ottimismo rimane granitico perché l’evoluzione del movimento anarchico sta andando nella direzione giusta, quella ci ha indicato con l’esempio Mikhail Zhlobitsky col suo gesto vendicatore (si fece saltare in aria ferendo tre agenti, ndr)». Anche sulla base degli scritti che Cospito affidava ai blog anarchici è stata motivata la richiesta di carcere duro. Il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, per esempio, osservava che «Cospito» aveva «già ricevuto diverse condanne per il reato di istigazione a delinquere in relazione ai suoi scritti, ma con ogni evidenza senza alcuna efficacia deterrente». E ora il panorama anarchico italiano si scalda per la banda del martello, che ha colpito in Germania e anche in Ungheria. Salis, che respinge le accuse, ha rifiutato il patteggiamento a 11 anni che gli era stato proposto (e ora rischia fino a 24 anni), si porta dietro una condanna a otto mesi che le hanno inflitto a Milano nel 2022 per «resistenza aggravata» per aver urlato contro i poliziotti «mangiate» mentre gli avrebbe lanciato contro dell'immondizia. E in passato era stata intercettata con Roberto Cropo, l’anarchico estradato dalla Francia nel 2020 e finito nell’operazione Bialystok, che sgominò un gruppo anarcoinsurrezionalista legato alla Fai, la Federazione anarchica informale. Tra gli imputati di Budapest è quella che si è attirata le contestazioni più pesanti: oltre all’associazione a delinquere è accusata di due pestaggi. Edelhoff, il suo coimputato, invece, è accusato solo di associazione a delinquere e, a sorpresa, ha accettato di patteggiare a tre anni. In Germania invece è considerato uno dei leader della banda del martello, insieme a Lina Engel (condannata a cinque anni per le aggressioni ai nazi in Germania) e Johann Guntermann (indicato dai giornali tedeschi come il «padre spirituale della banda», che ha fatto perdere le sue tracce dal 2020). Con Salis ed Edelhoff a Budapest c’era anche una terza persona: Anna Christina Mehwald, ma anche la sua è considerata una posizione secondaria. «Secondo l’accusa», scrive il quotidiano ungherese Presti, «identificandosi con l’obiettivo ideologico dell’organizzazione» Hammerbande, i tre «si sarebbero recati in Ungheria per partecipare agli attacchi» contro i nazi di Budapest. Matteo Salvini attacca: «Se in Ungheria fosse dimostrata colpevole, ovviamente sarebbe incompatibile con l’insegnamento in una scuola elementare». Dall’opposizione si sono subito infervorati. Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, ha bollato le parole di Salvini come «bullismo di Stato», mentre il segretario del Pd, Elly Schlein, ha affermato che «se Salvini può fare il ministro, Salis può fare la maestra». La strategia del governo corre per ora sul binario della diplomazia e c’è stata una telefonata di Giorgia Meloni a Viktor Orbán. Un trasferimento della Salis agli arresti domiciliari sarebbe il primo passo per farle lasciare l’Ungheria. Ora però per i giudici ungheresi «sussiste il pericolo di fuga». E in serata, anche il portavoce di Orbán, Zoltan Kovacs, ha chiarito: «I reati in questione sono gravi, sia in Ungheria che a livello internazionale. Le misure adottate nel procedimento sono previste dalla legge e adeguate alla gravità dell’accusa del reato commesso».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/anarchici-di-cospito-tifano-salis-2667138404.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dai-tedeschi-con-turetta-alle-carceri-americane-sulle-manette-cosi-fan-tutti" data-post-id="2667138404" data-published-at="1706741501" data-use-pagination="False"> Dai tedeschi con Turetta alle carceri americane. Sulle manette così fan tutti Le manette ai polsi e i ceppi alle caviglie mostrati da Ilaria Salis durante l’udienza del processo a Budapest, in Ungheria, sono una prassi. I quotidiani ungheresi sono zeppi di foto che ritraggono detenuti ammanettati tra agenti di polizia ai quali viene oscurato il volto. Quello dei detenuti, invece, è sempre ben visibile. Era una prassi anche in Italia fino a quando i giornalisti non si sono dotati di una carta deontologica che impedisce di riprendere o fotografare persone ammanettate. I lettori, quindi, non sono più abituati a vedere chi viene tradotto dal carcere con misure di sicurezza che, in realtà, anche le forze dell’ordine e la polizia penitenziaria italiana impiegano quando trasferiscono detenuti per i quali è richiesta maggiore attenzione. E Salis in Ungheria è accusata, oltre che di tentate lesioni che avrebbero potuto mettere in pericolo di vita la vittima, anche di far parte di un’associazione a delinquere. Reati per i quali è detenuta in un carcere di massima sicurezza. Durante i suoi trasferimenti, quindi, le forze di polizia usano sistemi per impedirne la fuga. Proprio come è accaduto in Germania con Filippo Turetta, accusato di aver ucciso in Italia la sua fidanzata e trasferito dal carcere in aeroporto ammanettato. Lo stesso avviene negli Usa, dove i siti Web dei giornali pubblicano a go go video di ammanettati. E in Inghilterra: in molti ricorderanno le foto dell’estradizione temporanea del serial killer italiano Danilo Restivo in manette scortato dai poliziotti in aeroporto. Salis in udienza, al contrario del suo coimputato, come svelato ieri dalla Verità, ha accettato di essere ripresa dalle telecamere dei giornalisti presenti al processo. E probabilmente lo ha fatto proprio per attirare maggiore attenzione in Italia. Inoltre, in una lettera che aveva mandato ai suoi avvocati italiani dopo l’arresto, sosteneva di essere stata «costretta a indossare» - in occasione dell’interrogatorio, avvenuto «senza avvocato» - vestiti «sporchi, malconci e puzzolenti». In tribunale, invece, l’altro giorno, hanno sottolineato i cronisti ungheresi, indossava un bel maglione di lana intrecciato ai ferri e dispensava sorrisi. Ieri l’amministrazione penitenziaria ungherese, per rassicurare sulla condizione dei detenuti, ha scritto alla Corte d’appello di Milano per Gabriele Marchesi, coindagato di Salis, che è ai domiciliari in Italia: «Se la persona viene consegnata e presa in carico, il suo collocamento si svolgerà in condizioni coerenti con quanto previsto dalla Convezione europea sui diritti dell’uomo, dalla raccomandazione delle Nazioni Unite sulle linee guida minime per il trattamento umano delle persone arrestate, nonché dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa sulle regole penitenziarie europee». Salis, poi, nella stessa lettera aveva fatto sapere di essere stata costretta a «guardare il muro durante le soste nei corridoi» e aveva denunciato la presenza di «scarafaggi, topi e cimici nelle celle e nei corridoi». Dall’Ungheria, però, ora sostengono che «al detenuto vengono costantemente garantite le condizioni previste dalla normativa europea e nazionale in materia», sia «in termini di spazio abitativo» che di «servizi igienici, accesso all’aria fresca e altri requisiti». E infine, «per quanto riguarda la collocazione del detenuto, ai rappresentanti consolari e diplomatici del rispettivo Stato in Ungheria viene data la possibilità di entrare nel relativo istituto penitenziario e ispezionare le condizioni di detenzione, nonché il personale del Consolato può visitare il detenuto».F
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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