2024-11-09
Gli analisti si riposizionano: «Per ottenere la pace Trump è migliore di Biden»
Domenico Quirico sulla «Stampa» rompe un tabù che prima del voto sembrava inscalfibile: «Dai dem un incendio mentale, il tycoon può portare al nuovo patto di Westfalia».La Grande Frenata. Dopo tre giorni in cui Donald Trump è stato dipinto come l’uomo nero riemerso dalle paludi della Florida (La Repubblica), il dittatore light che avvelenerà il mondo (La Stampa), il cancro americano votato da bifolchi (tutti gli altri, compreso il comitato centrale de La7), ecco che con stridore di ganasce qualcuno comincia a ragionare. E ad accennare timidamente che il tycoon dai capelli arancioni potrebbe perfino risolvere qualche problema globale.L’immediata apertura di Vladimir Putin («Sono pronto a parlare con un uomo coraggioso») ha avuto l’effetto di uno sparo in un accampamento semiaddormentato all’alba. Mentre molti editorialisti di sinistra continuano a dormire sui luoghi comuni da bar social, gli osservatori più avveduti hanno cambiato linea e riescono a guardare un centimetro oltre il loro naso. L’esempio più concreto è rappresentato da Domenico Quirico, principe degli inviati di guerra, che sulla Stampa scrive: «Trump potrebbe riuscire in una pace di Westfalia e costruire un equilibrio duraturo, mentre l’Europa assiste come spettatrice». E spiega: «Intendo un vertice che non somigli a Yalta, che fu un incontro fra vincitori per spartirsi le sfere di dominio, semmai al classico insuperato di diplomazia fra potenze, Wesfalia, che ricucì il mondo fatto a pezzi dalla feroce Guerra dei 30 anni». L’effetto è straniante perché, mentre nelle pagine precedenti dello stesso giornale si fa a gara ad elencare le colpe, le condanne e pure gli afrori ascellari di The Donald, il decano dei reporter continua così: «Trump potrebbe offrire la possibilità di quel summit internazionale dei Grandi che è l’unico modo per porre fine ai conflitti in corso, in particolare in Ucraina, e la costruzione di un equilibrio che regga per un certo numero di anni». I grandi sarebbero quattro: lui, Putin, Xi Jinping e Modi.Non si sa se è una presa di coscienza o la reazione all’allarmismo turbo-progressista che gronda da altri commenti, ma la posizione si nota. Anche perché Quirico non ha finito. «Il ritorno di Trump alla Casa Bianca significa che verrà meno tutta una retorica a cui i democratici americani sono legati a doppio filo e in cui agiscono come cavalieri sfolgoranti in lotta con i draghi scelti di volta in volta da loro: le evocazioni offensive, lo spirito di Monaco, il nuovo Hitler che vuole conquistare l’Europa, crimini contro l’umanità, popoli assassinati. Un incendio mentale che in questi due anni e mezzo ha intossicato qualsiasi riflessione». Benvenuto, maestro. Sberle e ancora sberle al conformismo mediatico; sembra la stroncatura di un qualsivoglia intervento di Alan Friedman, Antonio Caprarica o Tomaso Montanari in un talk show del pomeriggio. Queste conversioni a U non possono che far bene al dibattito, fin qui dominato da vaticinii da sottoscala del pensiero. Chi analizza i fatti senza farsi corrompere dal politically correct ricorda le partite a scacchi vinte da Trump nel primo mandato. E non dimentica gli accordi di Abramo, l’intesa (tutta basata sugli interessi, ci sta) con Putin, il confinamento dell’Iran dentro il perimetro delle sanzioni, la protezione di Israele per evitare le aggressioni di Hamas. Tutto distrutto da Joe Biden e dalla sua sgangherata, guerrafondaia, imbarazzante amministrazione liberal. È curioso che oggi lo scoprano a scoppio ritardato anche campioni della geopolitica televisiva come Lucio Caracciolo e Dario Fabbri, pure loro imprigionati per mesi dentro la narrazione del pensiero unico della sacerdotessa Lilli Gruber, che definiva The Donald un prodotto di Satana e Kamala Harris un dono divino. Il mondo che conta (non solo i meravigliosi bifolchi del Montana) la pensa diversamente, con l’aggravante di non averle chiesto il permesso. Né a lei, e neppure a Ursula Von der Leyen, comparsa da terza fila al gran ballo della Storia.Tutto ciò crea disorientamento non solo fra i lettori progressisti, avvezzi alle intemerate di Gad Lerner e alla melassa curiale di Fabio Fazio, ma anche fra quelli liberali che per due anni su altri quotidiani conservatori hanno letto editoriali nei quali un’unica opzione sembrava possibile in Ucraina: vincere senza condizioni. Il mood fantasmagorico era questo: «Bisogna cavalcare con gli ussari lanciati nella pianura sarmatica per conquistare Mosca». Li abbiamo visti tutti dipingere affreschi fuori dal tempo e struggersi davanti alla fotografia di Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi sul treno della Forza. Era una rappresentazione da operetta, ma siamo stati in pochi a coglierne la debolezza strategica. «L’Europa? Da un giorno all’altro ci siamo scoperti nudi, mentre correvamo verso felicità obbligatorie», commenta Quirico. Bambini, children. Buoni per addormentarci sull’amaca di Michele Serra. Incapaci di immaginare una pace fra uomini. Doveva tornare il Matto dal capello arancione per farcelo scoprire.
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Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
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