2022-01-17
        Amano la scienza solo se allineata
    
 
        Luc Montaigner (Roberto Serra - Iguana Press/Getty Images)
    
Contro Luc Montaigner, che è un premio Nobel, tante accuse politiche: l’impressione è che chi invoca l’autorevolezza dei ricercatori voglia difendere i virologi di regime.In un bel libro appena pubblicato da Einaudi, La macchina della conoscenza, il filosofo Michael Strevens spiega (sintetizziamo un po’) che i bravi scienziati «devono spogliarsi di tutte le conoscenze precedenti - come convinzioni teologiche, metafisiche o politiche - per poi indirizzare tutte le loro energie nell’osservazione e nella sperimentazione». Dobbiamo guardare con rispetto, quindi, agli esperti che oggi preferiscono non essere eccessivamente precipitosi. A quelli che diffidano delle teorie troppo semplici o troppo nette, che preferiscono infilare il naso prima di credere. Apprezziamo insomma che qualcuno si faccia scrupoli e indaghi su «Omicron 2», la nuova «sotto variante» spuntata da qualche settimana, e su cui si è già iniziato a tambureggiare, a suggerire che potrebbe essere più pericolosa di Omicron, proprio ora che pensavamo di essercela cavata. Apprezziamo pure che altri, ad esempio Antonella Viola, vengano a dirci che con i test sierologici si deve essere prudenti perché possono fornire «false sicurezze» riguardo l’avvenuta guarigione. Dubitare, indagare, approfondire: così si fa. Però, appunto, un lieve dubbio sorge anche a noi. Abbiamo il sospetto che la cautela e lo scetticismo vengano esercitati in una direzione soltanto. Perché, per dire, i test vengono messi in discussione sempre e solo quando si pensa di utilizzarli per garantire maggiore libertà di movimento alla popolazione? Per quale motivo l’attenzione alle mutazioni del virus contempla sempre e solo lo scenario peggiore? Viene da pensare che certe accortezze valgano quando si tratta di sostenere una linea politica determinata a priori, e che non si può mettere mai in questione, a meno che non si sia autorizzati dai governanti. Ci viene costantemente ripetuto di avere fiducia nella scienza, ma a ben vedere ciò che ci viene chiesto (e spesso imposto) è di avere fiducia nella politica. La gran parte degli attuali problemi nasce proprio da qui, dalla commistione perversa di scienza e politica che ha favorito l’affermazione di una casta di esperti impossibili da contestare. Le loro affermazioni non possono essere messe in dubbio, nei loro confronti non si può esercitare scetticismo. E perché mai? Perché sono gli studiosi più affermati, più stimati, più prestigiosi? No. Forse allora sono quelli che hanno elaborato le soluzioni più efficaci? Nemmeno. Essi sono, semplicemente, quelli che si muovono all’interno del giusto recinto, i cui paletti li ha fissati la politica. Un piccolo esempio, per fare a capirsi. Sabato, a Milano, Gianluigi Paragone ha intervistato in una pizza Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008. Subito tutti i media si sono scatenati. Sul Corriere della Sera, Stefano Montefiori ha bollato come «antiscientifiche» le idee espresse dallo studioso francese. Insomma, egli sarebbe impresentabile. Motivo? Tra le altre cose, ha firmato un articolo con «Jed Rubenfeld, altra celebrità caduta in disgrazia: accusato di aggressioni sessuali sulle studentesse e da due anni è sospeso da Yale». Montagnier sarebbe dunque simile a tipacci come «William Shockley, scopritore del transistor e poi fautore dell’eugenetica; James Watson, co-scopritore del Dna e poi sostenitore della superiorità biologica dei bianchi sui neri». Impresentabili, certo: ma per ragioni evidentemente politiche. Poiché Montagnier è considerato «no vax», il suo parere non conta, va rifiutato in toto. Il metodo da applicare lo ha spiegato bene Goffredo Buccini, sempre sul Corriere. Invocando un «atteggiamento responsabile e condiviso», Buccini ha nei fatti suggerito che ai perfidi no vax venga levato il microfono. Sono brutti, cattivi e sovversivi: li si oscuri per il bene della nazione. Essi non possono pretendere «par condicio con la scienza». Nel calderone no vax ovviamente finisce l’attivista esagitato ma pure il celebre filosofo e ovviamente il luminare «in disgrazia». E se questi reietti, magari una volta su cento, dicessero una cosa giusta? Non importa: non vanno ascoltati a prescindere. La scusa ufficiale, nel caso di Montagnier, è che sarebbe stato «espulso dalla comunità scientifica». Ohibò, credevamo che la scienza non fosse un partito di cui avete la tessera: Urss esclusa, credevamo che tutti avessero diritto di esprimersi e, eventualmente, di essere smentiti dai fatti. Apprendiamo che non è così: alcuni possono essere smentiti mille volte ma continuare a parlare, altri no. Montagnier sostiene teorie strampalate? Oh, può darsi, eccome. Ma i Pregliasco, i Bassetti, i Burioni? Non era strampalato affermare che le mascherine non servivano o che una dose di vaccino ci avrebbe protetto per sempre? È più «scientifico» dire, come ha fatto Montagnier, che il vaccino danneggia i bambini o che fare la puntura agli infanti non presenta alcun rischio? Di chi fidarsi? Se dovessimo guardare ai titoli, dovremmo credere al Nobel. Se dovessimo guardare solo ai risultati, non dovremmo ascoltare mai più le virostar o i membri del Cts come Brusaferro e Locatelli (che ieri sullo stesso tema dicevano cose diverse su giornali diversi). Dovremmo allora giudicare in base all’età, ritenendo il francese un vecchio rincoglionito, come ha suggerito qualcuno? Beh, Silvio Garattini è più vecchio di lui eppure... Risulta chiaro, quindi, come il criterio con cui ci viene richiesto di giudicare gli scienziati sia politico. Purtroppo, le due cose non sono compatibili: nel momento in cui la scienza permette che sia la politica a stabilire il perimetro della ricerca, essa ne esce svalutata. In compenso le decisioni politiche non acquisiscono più valore, anzi, rivelano tutto il loro pressappochismo e la loro inadeguatezza. E al popolo, nel caos, non resta che votarsi al primo santo di passaggio.
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