2019-02-09
Alziamo i muri in difesa della nostra identità
Chi ci dice di abbatterli vuole distruggere le radici, la storia e la religione che ci appartengono. La generazione Bataclan colora i marciapiedi e si impegna a estinguersi. Senza padri e senza figli resterà un'umanità intercambiabile, in balia della cannabis.Costruite ponti e non muri, ci dicono, perché il muro che protegge la nostra casa, coloro che amiamo, quello che amiamo, noi in quanto cattivi, non ce lo meritiamo. Al muro non abbiamo diritto perché il muro è identità, e ci dicono i buoni che l'identità è malvagia. L'identità è per un popolo come la pelle per un individuo. Vogliono un popolo di scorticati a disposizione di chi voglia inghiottirli.Il primo passo per distruggere la libertà di un popolo è distruggerne i confini e per arrivarci occorre distruggerne l'identità. Per abbattere un albero, tagliare le radici. Occorre modificare la lingua di quel popolo. La lingua appartiene a noi, ci è stata lasciata dai nostri padri. Minuscoli anatroccoli del pensiero ci spiegano quale parola non può essere usata e con quale demente neologismo dobbiamo usarla, pena l'accusa di essere malvagi e poco inclusivi, pena l'esclusione dalla vita civile. In Canada ci sono multe micidiali per chi si rifiuta di mentire, per chi parla come di un maschio di qualcuno che è maschio ma non gli piace. Per distruggere un popolo occorre ridicolizzare la religione di quel popolo, con uno stillicidio continuo di minuscoli gnomi, sedicenti intellettuali, cantanti, presentatori, attori, registi, fotografi, pubblicitari, artisti postmoderni, giornalisti, scrittori, eccetera con uno stillicidio continuo di odio e sarcasmo. Quella religione deve essere annacquata, banalizzata, negata nei suoi dogmi dalle sue stesse gerarchie, sempre più impegnate a inseguire il mondo, e sempre più disposta a un'entusiastica resa.La storia di quella religione e la storia di quel popolo viene ridotta ai suoi episodi peggiori, ovviamente enfatizzati e i fiumi di gloria vengono cancellati. Questa Europa ogni istante più ridicola nega il cristianesimo e si apre all'islam più radicale, di cui cela la realtà. La generazione Bataclan colora i marciapiedi con i gessetti e canta Imagine. Si impegna a estinguersi, a non mettere al mondo figli. Meglio un cane, anzi due. Per evitare la tentazione la sessualità è negata e sostituita da un insulso erotismo, meglio se anale. L'umanità è passata dal dogma dell'infallibilità del Papa al dogma dell'infallibilità dell'Apa, Associazione psichiatri americani, che produce le sue opinioni per votazione, un sistema squisitamente scientifico, e che ci spiega che un uomo che sia fiero di essere un uomo, desideri amare una donna e generare i suoi figli con lei, va considerato un malato psichiatrico. La nostra storia è infangata, ridotta al suo peggio, perché la generazione fiocco di neve, l'ultima, possa credere che è meglio vergognarsi della propria storia. Siamo la cultura che ha prodotto arte e scienza come nessun'altra, ma non si può dire. Per abbattere un albero occorre sradicarlo. Dopo aver abbattuto la sua religione e infangato la sua storia, occorre renderlo senza famiglia come un orfanello. Senza padri e senza figli. Mettere al mondo un figlio per una donna è sempre più dannatamente difficile. Ora l'ultimo dono: resta sul posto di lavoro fino al parto, per avere qualche settimana di più per stare con lui. Poi quando lui ha pochi mesi torna a lavorare sotto un padrone e il bambino consegnalo a delle estranee in un asilo nido. Ringraziamo sindacati e movimenti femministi per queste conquiste. Fare un figlio è difficile e poco inclusivo : meglio un gatto, anzi due. Un uomo politico francese ci assicura che è nostro dovere limitarci al gatto, così che ogni africano trovi lo spazio sufficiente. Per distruggere un popolo occorre recidere il legame con la terra. La terra non deve più essere coltivata: le quote latte hanno ammazzato le nostre vacche, buttiamo le arance perché quelle straniere costano meno, il 60% dei nostri pelati è made in Cina, gli agricoltori si suicidano. La terra non deve essere più amata. Ora il legame deve essere spezzato. Erasmus come unico bene, scambi culturali, il mito del migrante come elemento sempre positivo, mentre chi resta a combattere per la propria terra e a farla fiorire non raccoglie simpatie, servono a creare l'apolide, lo sradicato, il fiocchetto di neve che non combatterà mai per nulla.L'annientamento dell'identità territoriale, dell'identità storica e dell'identità religiosa, dell'identità familiare, dell'identità sessuale, sono venduti come apertura al mondo; in realtà servono a creare un'umanità intercambiabile, incapace di combattere, manipolabile, un mondo di consumatori che riempiranno con lo smartphone e la cannabis legale la lunga fila di giorni che li separa dalla tomba. I maschi devono essere senza testosterone, perché non devono difendere il territorio. Quanto un popolo è in ginocchio lo si deduce dal tasso di natalità basso e dal tasso di suicidio alto. Ritorniamo alla terra. Noi siamo noi, noi siamo la nostra storia, noi siamo la nostra fede. Noi siamo noi, e questo non vuol dire che siamo migliori degli altri, esattamente come amare la propria famiglia ed esserne fieri non vuol dire voler schiacciare gli altri, ma noi siamo noi. Ogni popolo ha diritto alla sua storia, alla sua religione e alla sua terra. Questo vale anche per noi. Alla prossima catastrofe non aspetteremo più il suono delle campane. Le campane avvertivano quando i saraceni arrivavano, quando il nemico era dentro le porte, quando l'incendio era scoppiato. Ora le campane sono state imbavagliare. Siamo soli. A meno che non riconquistiamo le campane. Si ricomincia dalle campane.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)