2024-03-23
Altre prove di euroleninismo. Per comprare le armi l’Ue vuole aggirare i Trattati
Il «Ft»: task force legale di Bruxelles punta ad autorizzare le spese per la Difesa Il tipico «metodo Juncker» per dribblare la democrazia e rendere inevitabili le scelte.Sferzata dai bagliori della mattanza ucraina, la fine di legislatura europea si contorce tra strappi, frenate e avvelenamento dei pozzi. A uscirne più colpita è la sua guida: Ursula von der Leyen fonde due ruoli in pieno conflitto d’interessi. Da un lato la presidente uscente di una Commissione che cerca di piantare bandierine (direttiva sui lavoratori gestiti con piattaforme, sulle case green) figlie di una maggioranza i cui tiranti ideologici appaiono fustigati dalla realtà; dall’altro, la candidata presidente del Ppe che, comunque vada, dovrà cambiare linea e forse alleati. Tenere insieme tutto non è un bello spettacolo, ma è a suo modo utile e rivelatore.Ieri il Financial Times ha pubblicato un retroscena piuttosto clamoroso, secondo il quale una task force di legali della Commissione stessa starebbe lavorando a un pertugio per aggirare i Trattati dell’Ue nella parte (articolo 41, comma 2) che proibisce «spese derivanti da operazioni che hanno implicazioni nel settore militare o della Difesa», e dunque l’acquisto di armi. L’articolo, basato su fonti riservate ma direttamente implicate nell’operazione, ha un contenuto dirompente. I Trattati sono già stati in effetti «forzati» laddove l’Epf (Fondo europeo per la pace, sic) è stato utilizzato per finanziare il trasporto di materiale bellico a partire dal 2022. Ma se davvero la Commissione, a meno di 80 giorni dal voto, effettuasse un aggiramento così clamoroso della sua legge costitutiva, creerebbe un precedente esplosivo e a prescindere dal merito della questione (ovvero il sostegno all’Ucraina, sulle cui modalità finanziarie e militari i dubbi e le spaccature sono enormi).Sarebbe però anche in linea con un tratto tipico delle istituzioni comunitarie: l’occultamento del principio politico e della sede della responsabilità e una disarmante spregiudicatezza nel superamento anche solo delle parvenze di democrazia. È il famoso «metodo Juncker», reso celebre da una intervista allo Spiegel in cui il predecessore lussemburghese di Ursula von der Leyen nel 1999 spiegava: «Decidiamo qualcosa, poi lo pubblichiamo e aspettiamo un po’ di tempo per vedere cosa succede. Se non ci saranno grandi proteste e rivolte, perché la maggior parte delle persone non capisce nemmeno cosa è stato deciso, allora continueremo - passo dopo passo finché non si potrà più tornare indietro».È una prassi che ha il grande pregio - dal punto di vista del potere che può permettersi di applicarla - di giustificare anche cambi di linea repentini, o interpretazioni affatto difformi: basti pensare alla grottesca politica degli aiuti di Stato e a quella delle procedure d’infrazione, applicate con ferocia «inevitabile» in molti casi, e trascurate senza neppure doverlo motivarle in altre (diciamo Italia e Germania, per esempio). E il debito pubblico? In un plissé passa da fardello per le giovani generazioni da evitare come la peste (a livello nazionale) a grande opportunità di crescita e volano di sviluppo sotto forma di bond comuni per la Difesa. Certo, se il metodo Juncker permettesse tout court di fare un boccone dei Trattati (gli stessi in ossequio ai quali si soverchiano spesso le Costituzioni nazionali) il salto di qualità sarebbe carpiato. Ma anche qui lo stupore sarebbe fuori luogo: l’Unione europea funziona esattamente così, e da sempre. Uno dei suoi «numi tutelari», l’Altiero Spinelli celebrato internazionalmente da capi di Stato e di governo, è forse l’esempio più chiaro di un leninismo pratico quasi rivendicato in nome di un ideale «giusto», cui piegare tutto. «Ho capito», annota nel primo dei tre volumi del suo Diario europeo editi dal Mulino, «che sarei bravissimo a comandare ma non riesco a trovare il modo di arrivare alla posizione di comando che mi occorre». Lo stesso concetto si sarebbe «evoluto» sul piano politico nel Manifesto di Ventotene, altro testo sbandierato come fondativo in cui si legge: «I democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni. Pensano che loro dovere sia di formare quel consenso», mentre «[...] La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria».Il Diario spinelliano è noto soprattutto per la frase oggi lugubremente attuale sulla Russia: «Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione sovietica, da saper fare al momento buono in cui il regime poliziesco sarà marcio, ma pur sempre da fare». È significativo che nella sua prefazione due colossi della cultura italiana come Nicola Matteucci ed Ezio Raimondi abbiano ravvisato nell’«etimo interno dello Spinelli politico» una «saggezza [...] volta a un unico tirannico scopo». E se lo scopo è «tirannico», i Trattati si possono ben piegare. Del resto, lo stesso Spinelli annotava mentre viaggiava in treno: «È questa reale ed inesistente Europa che voglio veder nascere, e che voglio mi consideri un giorno uno dei suoi padri. Ed insieme ho una profonda indifferenza per la sorte di queste terre e di questi uomini».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.