2023-01-26
Nikolajewka, 26 gennaio 1943. Il «giorno più lungo» degli Alpini
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L'ultima decisiva battaglia fu combattuta 80 anni fa dagli Alpini della Tridentina. Grazie al loro sacrificio, i superstiti del fronte russo riuscirono a uscire dalla tenaglia sovietica.Quando si combatté la battaglia di Nikolajewka il 26 gennaio 1943, il fiume Don era già alle spalle. I sovietici avevano già sfondato il fronte difensivo dell’Asse annientando il contingente ungherese e iniziando la manovra a tenaglia che avrebbe significato per gli Alpini dell’Armir (Armata Italiana in Russia) la morte o la deportazione nei lager di Stalin (che nel 90% dei casi avrebbe coinciso con la prima). Il ripiegamento dell’inverno 1943 avvenne nelle peggiori condizioni possibili. Oltre alla estrema rigidità del clima (con temperature medie di -35 sotto zero e frequenti bufere) la ritirata aveva distrutto l’impianto logistico italiano sia nel vettovagliamento che nelle strutture sanitarie rimaste sul Don. I mezzi meccanizzati erano quasi tutti inutilizzabili. i muli arrancavano sotto pesi insopportabili carichi di salmerie o agganciati alle slitte colme di feriti e congelati. Pochi giorni dopo l’inizio del ripiegamento verso Ovest, alcuni reparti alpini semplicemente non esistevano più. Era il caso delle divisioni Julia e Cuneense, praticamente annientate dalla furia dell’Armata rossa. Basti pensare che del Battaglione alpini sciatori «Monte Cervino» sopravvissero soltanto in sei. Nei 200 chilometri di calvario, percorsi a piedi nella tormenta, altre centinaia di militari italiani lasciarono la vita sulla steppa gelata. Il cibo era terminato e nelle poche isbe dei contadini la situazione non era migliore. Il 24 gennaio ciò che restava della lunga colonna di soldati giunse alle porte di Nikitowka, un centro rurale a pochi chilometri da Nikolajewka (oggi parte della città di Livenka, Oblast di Belgorod). Ad ogni costo era necessario espugnare quest’ultima per poter passare attraverso le maglie sovietiche, ultima occasione per evitare l’accerchiamento mortale. L’unica divisione alpina ancora in grado di sostenere la battaglia era la divisione Tridentina, comandata dal Generale Luigi Reverberi, al quale si aggiunsero in giornata i superstiti dei battaglioni alpini «Edolo», «Vestone», «Val Chiese» e «Tirano». Poco dopo le avanguardie mandate in perlustrazione alle porte della cittadina ebbero l’idea di ciò che avrebbe aspettato gli alpini nella loro ultima disperata mossa per la sopravvivenza. Nikolajewka era presidiata da artiglieria, da cecchini e da nuclei di partigiani sovietici con mitragliere pesanti. Come se non bastasse, piovve fuoco anche dal cielo quando una coppia di cacciabombardieri mitragliò e spezzonò gli italiani esausti, ma decisi a portare avanti l’assalto anche a costo della vita. Il 26 gennaio avanzarono le prime avanguardie del «Val Chiese» che aprirono i primi sanguinosi scontri porta a porta, con gravissime perdite. Il loro sacrificio fu tuttavia fondamentale per mantenere la posizione e permettere al resto delle forze di organizzarsi con l’artiglieria in funzione sia difensiva che offensiva. Con la forza della disperazione, alla quale faceva da contraltare un’altrettanto disperata determinazione, gli alpini e gli artiglieri del «Tirano» riuscirono (con un sacrificio di sangue indistinto di truppa e ufficiali) ad annientare una postazione di tiro sovietica su una vicina altura. Si apriva così l’ultima porta, anzi un piccolo spiraglio attraverso il quale gli Alpini erano obbligati a passare ad ogni costo, il superamento della massicciata ferroviaria che li divideva dalla stazione e dall’abitato della cittadina attraverso uno spoglio declivio completamente allo scoperto e ingombro di ghiaccio e neve., che presto si fece rosso del sangue degli Alpini caduti per salvare la vita a chi sarebbe stato più fortunato- La 255ª compagnia del «Val Chiese» (Ten. Luciano Zani) fu la prima a scavalcare il terrapieno, a impiantare un avamposto armato e a dirigersi verso la stazione ferroviaria. Penetrati nell’abitato, gli alpini di Zani sostennero una lotta corpo a corpo con le soverchianti forze nemiche in attesa di rinforzi, che tardavano a giungere per la continua pressione delle armi nemiche, mentre le munizioni italiane e dei due semoventi tedeschi aggregati iniziavano a scarseggiare. L’ultimo scontro vide il grosso di quello che rimaneva dei reparti alpini scagliarsi disperatamente contro il nemico che nel frattempo stava decimando la 255ª asserragliata nella piccola chiesa. Con le ultime forze, le granate, il fucile a baionetta e anche il calcio dell’arma e a costo di nuove e gravissime perdite gli alpini guadagnarono il sottopassaggio ferroviario penetrando in Nikolaewka dieci ore dopo l’inizio della battaglia, in tempo per evitare la notte che per i feriti e i congelati della colonna in ritirata avrebbe significato morte certa anche senza il fuoco russo. Per la determinazione e la forza di gruppo degli alpini (ai quali si unirono anche Reverberi e altri ufficiali superiori) il nemico decise di abbandonare la postazione, pur superiore in numero e soprattutto in armamento. La notte tra il 26 e il 27 gennaio 1943 le armi tacquero, lasciando il posto al rumore dei ferri chirurgici dei medici che lavorarono sui feriti per garantire una partenza già la mattina stessa verso la salvezza, raggiunta dopo un’altra lunga e dolorosa marcia verso Logowoje, la di fuori della tenaglia russa. Era il 2 febbraio 1943.Epica di un alpino friulano. Il Tenente Luciano Zani a Nikolajewka.Su quel terrapieno maledetto, quello che portava alla ferrovia e all’abitato di Nikolaewka cominciò l’impresa epica di Luciano Zani, friulano di Cormòns classe 1907, comandante la 255ª Compagnia del Battaglione alpini «Val Chiese della divisione Tridentina. Fu anche grazie al suo coraggio e a quello dei suoi uomini (molti dei quali rimasti sul campo) che ciò che rimaneva dell’Armir poté avere salva la vita. Nel primo tragico assalto all’abitato di Nikolaewka Zani fu il primo a salire sulla massicciata ferroviaria e a piazzare una mitragliatrice contro le postazioni russe che lo circondavano. Durante le prime infinite ore di resistenza il tenente friulano e gli uomini della 255ª sfondarono verso la stazione e quindi si divisero tra quest’ultima e la chiesa. Qui Luciano Zani effettuò azioni di disturbo durante le quali ebbe anche la forza di annientare e requisire un pezzo controcarro sovietico. Durante la lotta fu ferito più volte, l’ultima in modo grave quando le sue gambe rimasero martoriate dalle schegge di un pezzo da mortaio. Svenuto, una volta ripresa conoscenza riprese a dare ordini ai suoi alpini grazie anche al gelo che aveva fermato l’emorragia. Verso sera, quando ormai le munizioni erano alla fine e i rinforzi non si vedevano ancora, pensò che tutto fosse perduto. Fu richiamato dalle urla degli alpini del battaglione Edolo che al grido di «Tridentina, avanti!» posero fine al calvario. La sua guerra era finita, Nikolaewka occupata dalle penne nere. Una slitta portaferiti lo accompagnerà fino alla salvezza e alla decorazione con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Attivissimo nel dopoguerra nell’Associazione Nazionale Alpini, è morto a Milano il 13 maggio 1992.