2025-08-06
Caso Almasri, l’archiviazione solleva interrogativi
Almasri all'arrivo in Libia il 25 gennaio 2025 (Ansa)
La Costituzione dà a Palazzo Chigi la responsabilità della linea dell’esecutivo. Il provvedimento del Tribunale sancisce una scissione arbitraria tra i componenti.Daniele Trabucco, Professore stabile in Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato presso la Ssml/ Istituto di grado universitario San Domenico di Roma.La decisione del Tribunale dei Ministri di Roma di archiviare la posizione del presidente del consiglio dei Ministri in relazione al noto caso Almasri pone interrogativi rilevanti, tanto sul piano della coerenza giuridica, quanto su quello dell’equilibrio istituzionale. A fronte di un’ipotesi accusatoria che coinvolge membri di spicco del governo, ovvero i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, oltre al sottosegretario Alfredo Mantovano, la posizione di Giorgia Meloni è stata esclusa dal procedimento penale sulla base di motivazioni che risultano discutibili, soprattutto alla luce del quadro costituzionale vigente in materia di responsabilità politica e dell’unitarietà dell’azione di governo. Il punto centrale è questo: se il presidente del Consiglio era effettivamente informato delle operazioni che hanno portato al rimpatrio del generale libico Osama Almasri, come riferito nel provvedimento d’archiviazione e come affermato dal direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, e non ha adottato alcuna determinazione contraria, la sua condotta, quantomeno sul piano giuridico-costituzionale, non può essere isolata da quella degli altri membri dell’esecutivo. Una parte autorevole della dottrina ritiene che l’articolo 95, comma 1, della Costituzione vigente, per cui «il presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri», sancisca una responsabilità politica generale e diretta, la quale si concretizza nell’obbligo di vigilare, coordinare e, se necessario, intervenire su ogni atto di rilevanza politica adottato dal governo o da suoi membri. Di fronte a ciò, la linea argomentativa in base alla quale l’informazione ricevuta da Giorgia Meloni fosse «generica» o che non vi sia la prova di una «condivisione esplicita» dell’operazione appare logicamente debole e giuridicamente inadeguata. In un sistema di responsabilità politica solidale e di indirizzo unitario, il semplice silenzio del presidente del Consiglio a fronte di un’operazione così rilevante costituisce, sul piano sostanziale, un’assunzione di responsabilità. Non si può ritenere che chi dirige l’azione dell’esecutivo possa ignorare o, peggio, dissociarsi informalmente da decisioni compiute da suoi ministri nell’ambito della politica estera e della cooperazione internazionale in materia di giustizia penale. Se il presidente non sapeva, ci sarebbe stato un problema di funzionamento dell’intelligence e della catena di comando. Ora, invece, poiché risulta che sapeva, e non è intervenuto, l’archiviazione finisce per determinare una scissione arbitraria di responsabilità all’interno di un organo collegiale, il Consiglio dei ministri, che la Costituzione vuole il più possibile coeso. Va anche detto che, a voler considerare il caso nella sua cornice più ampia, sarebbe stato del tutto legittimo, corretto e risolutivo l’utilizzo del segreto di Stato, istituto previsto dall’art. 39 della legge ordinaria dello Stato numero 124/2007. Il segreto può essere opposto in relazione ad atti, documenti o informazioni la cui divulgazione risulterebbe idonea a recare danno alla integrità dello Stato, alla difesa, alle relazioni internazionali o alla sicurezza interna. In questo caso, considerando il coinvolgimento diretto della Corte penale internazionale, la natura sensibile del soggetto interessato (un alto ufficiale libico), il possibile impatto sulle relazioni diplomatiche con la Libia e sulle attività dell’intelligence, sussistevano pienamente le condizioni per apporre il segreto di Stato fin da subito. L’omissione di questa misura, del tutto legittima, ha, però, esposto l’intero Governo a un’inchiesta, dando origine a una gestione frazionata e opaca della responsabilità politica e penale. Si è preferito non blindare formalmente la vicenda, e ora si accetta l’idea che vi siano ministri politicamente e penalmente responsabili, e una presidente del Consiglio che, pur informata, resterebbe estranea. Questa impostazione mina le basi del principio di collegialità dell’azione governativa, e pone un problema: può il vertice dell’esecutivo non rispondere, nemmeno politicamente, figuriamoci penalmente, di un’operazione internazionale condotta dai suoi ministri, della quale era a conoscenza, senza averla ostacolata? Il caso Almasri impone, pertanto, una riflessione netta: non può esserci responsabilità penale per alcuni membri del governo e totale estraneità per altri, in presenza di una medesima catena decisionale e di un unico indirizzo politico. Se il fatto è da qualificarsi come esercizio del potere politico, lo è per tutti. Se invece è rilevante penalmente, allora lo è per l’intero vertice che lo ha autorizzato o tollerato. La distinzione operata dal Tribunale dei ministri, che isola la Meloni dai suoi collaboratori, più che fondata sul diritto sembra fondata su un criterio di opportunità. E in uno Stato costituzionale di diritto, ciò non può bastare.
Francesca Albanese (Ansa)
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)