2023-12-15
Alleati col signore della guerra per mettere le mani sui migranti
Khalifa Belqasim Haftar (Ansa)
Mentre l’esecutivo Conte tratta sulla Libia, il clan Casarini contatta il portavoce di Haftar per trasferire da un cargo, fermo a Misurata, decine di clandestini sulla Mare Jonio. Obiettivo: un casus belli contro l’Italia.Dopo le rivelazioni della «Verità», il viceministro Galeazzo Bignami scrive alla Capitaneria di porto per avere spiegazioni in merito alle notizie passate dai dem alla Ong.Lo speciale contiene due articoli.Piccoli guerriglieri crescono. Dalle Tute bianche imbottite ai signori della guerra libici. I war games di Luca Casarini & C. sono molto cambiati negli anni, e da pagliacciate si sono fatti seri. Nel 2001, in occasione del G8 di Genova, l’ex no global aveva declamato una birbantesca dichiarazione di guerra ai potenti della Terra dentro a Palazzo ducale. Oggi lui e il suo sodale Giuseppe Caccia sembrano più interessati ad avere un ruolo concreto nello scacchiere politico e militare nordafricano.Solo che adesso, grazie all’appoggio della Chiesa e della sinistra parlamentare, al progetto di rinnovare i vecchi fasti caciaroni («Compagni, questa è la nuova Genova» aveva esclamato Casarini a proposito delle ultra mediatiche missioni in mare), hanno unito il desiderio di intervenire concretamente in territori insanguinati da lotte intestine.L’obiettivo finale sembrerebbe quello di gestire il flusso dei migranti anche in chiave commerciale, magari, come è accaduto con la Maersk Etienne, proponendosi come i Mr Wolf del canale di Sicilia: sei un mercantile e, dopo aver salvato dei clandestini, non puoi proseguire la navigazione? No, problem. La premiata ditta Mediterranea & C., con il suo rimorchiatore, il Mare Jonio, arriva e, dietro conveniente compenso, libera il cargo dall’ingombrante carico. Una proposta commerciale presentata, a quanto risulta alla Verità, a diversi armatori.Più o meno quello che era stato offerto a Omran Alame, direttore della società panamense Dragonet Sg inc., proprietaria della Nivin, un cargo che, tra il 7 e l’8 novembre 2018, aveva recuperato decine di naufraghi ed era stata costretta a riparare nel porto di Misurata, dove i migranti, pur di non tornare in Libia, avevano preso in ostaggio l’equipaggio. Nell’occasione Caccia aveva fatto ad Alame una proposta indecente: «Alcune fonti riservate a Tripoli ci hanno detto che sarebbe possibile che le autorità libiche vi autorizzino a salpare da Misurata. Se voi poteste navigare in acque internazionali, noi potremo organizzare l'assistenza per voi e lo sbarco di tutti i migranti dalla vostra nave, li porteremo a bordo della nostra e poi presso un porto sicuro (Pos) europeo» aveva scritto. Specificando che percorrendo sole 30 miglia di mare sarebbero stati «liberi e sicuri».Il direttore aveva ribattuto sdegnato: «Impossibile. Preferirei restare dieci anni ormeggiato a Misurata piuttosto che navigare con a bordo i criminali che hanno preso in ostaggio il mio equipaggio per andare in Europa. […] E noi non infrangiamo la legge. Per nessuno. Lavoriamo solo secondo le regole internazionali».Ma anche se la trattativa non andò a buon fine, in quel dialogo troviamo due affermazioni molto interessanti: Caccia parla di sue «fonti riservate a Tripoli» e sostiene di star «lavorando per trovare una soluzione praticabile».Bluffa? Sembrerebbe proprio di no. Anzi, l’ex assessore veneziano, la mente migliore della combriccola oggi alla sbarra a Ragusa con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in quel momento sta portando avanti una sorta di diplomazia parallela, in contrapposizione con quella del governo Lega-M5s guidato da Giuseppe Conte, il quale, il 14 novembre 2018, aveva presieduto a Palermo una conferenza sulla Libia, in cui era riuscito a portare a casa una photo opportunity in mezzo all’allora capo del governo di unità nazionale Fayez Al-Sarraj e all’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Belqasim Haftar.In realtà Caccia, per organizzare un colpo di mano a Misurata e far scappare i migranti (in quel momento fermi in porto e non in mezzo al mare in immediato pericolo di vita), si rivolge a canali non governativi o che, per lo meno, non appaiono tali. Casarini, per esempio, il 16 novembre 2018 invia all’amico Caccia il contatto di un certo Tarek, che, però, usa un cellulare di un operatore della Tanzania. Il sodale domanda se non abbiano un numero italiano e poi aggiunge: «Ma lui è là o qua?». Risposta di Casarini: «È qui». Non sappiamo chi sia questo signore, visto che quel telefono non è più attivo. Ma, in compenso, abbiamo trovato un’incredibile chat, proprio del 14 novembre 2018, il giorno della conferenza di Palermo. A comunicare sono Caccia e nientemeno che il portavoce ufficiale di Haftar, Mohamed Ghunaim.È l’ora di pranzo e, probabilmente, il libico si trova a Palermo insieme con il suo capo. Non era prevista la sua presenza alla conferenza, ma a margine dell’incontro il generale fa una fugace apparizione.La conversazione con Caccia la inizia Ghunaim, come se ci fosse stato un tentativo di contatto da parte di Caccia.«Salve. Ero a un evento pubblico e non potevo parlare». Caccia ribatte di essere «lieto di conoscere» l’interlocutore e si presenta come «collaboratore dell’onorevole Palazzotto», ovvero uno dei garanti della Mare Jonio e in quel momento esponente di spicco di Liberi e uguali, partitino di opposizione.Erasmo Palazzotto è un personaggio chiave in questa storia. Palermitano, figlio di Michele, sindacalista simbolo della lotta antimafia, a soli 31 anni entra in Parlamento con Sinistra e libertà, in quota no global. Diventa vicepresidente della commissione Affari esteri e segretario della commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione per migranti. Quando viene rieletto, nel marzo del 2018, va in commissione Difesa, per poi tornare agli Affari esteri con il governo giallorosso, nell’autunno del 2019, quando pensa di poter incidere maggiormente sul tema a cui tiene di più. Nel 2019 è stato persino indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina come capo missione di un veliero impegnato nell’attività di ricerca e salvataggio.Ma riprendiamo la chat. Caccia scrive: «Sono incaricato di contattarla e di parlarle». Il botta e risposta prosegue e lascia esterrefatti. Ghunaim: «Quello che ho detto a mister Palazzotto è che abbiamo molte prove che il governo italiano sta trattando con le persone sbagliate in Libia. A volte con Al Qaeda! Quindi dobbiamo organizzare un incontro». Caccia risponde entusiasta: «Certo sono disponibile». E Ghunaim inizia a programmare: «O viene il signor Palazzotto o veniamo a trovarvi noi. Per mostrarvi tutto quello che abbiamo». Caccia è disponibile a spostarsi: «Possiamo venire noi e poi preparare un dossier italiano per la commissione Affari esteri italiana del Parlamento e per i media italiani». Ma al momento deve tutto rimanere riservato: «Nel frattempo la nostra conversazione è strettamente confidenziale. E per il momento terremo tutto “off the record”», puntualizza. Il portavoce chiede di inviargli «la lista di chi verrà». «Ok. Ha una mail?» chiede Caccia e il libico invia l’indirizzo e annuncia: «Organizzerò un incontro anche con il maresciallo Haftar». Suggerisce di allestire «un meeting di preparazione in Italia per organizzare quelli a Bengasi». Ovvero il quartier generale di Haftar.Il proprietario della Idra social shipping, la compagnia armatrice della Mare Jonio, spiega di avere «urgentemente un paio di domande da fare» e che «ovviamente» le risposte resteranno «riservate per il momento».Il portavoce concede: «Sì, invii qualsiasi domanda. Nessun problema. Ok, chiederò e le risponderò più tardi».Caccia formula la sua prima domanda: «Innanzitutto, quale è il giudizio dell’Lna (la Libyan national army fondata da Haftar, ndr) sui risultati della Conferenza di Palermo?»A questo punto, introduce la questione che più gli preme: «In secondo luogo, considerando che siamo contrari alla politica del governo italiano in materia migratoria, siamo preoccupati per la situazione dei 92 rifugiati a bordo della nave cargo Nivin nel porto di Misurata. Pensa che sarebbe possibile organizzare una loro evacuazione umanitaria verso l’Europa/Italia?». E butta lì: «Ci sarebbero alcune Ong italiane con cui siamo in contatto, disponibili a organizzare una nave a Misurata per trasferirli da Nivin e trasportarli in un porto italiano. Immagino che il porto di Misurata sia sotto il suo controllo Lna.Vi prego di considerare questa opzione». Caccia, mentre tenta di far trasferire i migranti sulla Mare Jonio, non chiarisce di essere coinvolto con la sua imbarcazione in questa presunta operazione di salvataggio.E dà alla sua richiesta una coloritura ideale: «Potrebbe essere un modo per risolvere pacificamente la crisi attuale su quella barca».Ghunaim lo delude: «Misurata è sotto le milizie, non sotto l’Lna». Caccia prova a capire di più: «A quale autorità risponde allora la “Guardia costiera” (così, tra virgolette, ndr) di Misurata?».Ghunaim replica un po’ indispettito: «Quella che il governo italiano sostiene!!!».A Misurata, soprannominata la «Sparta libica», le milizie, nel 2016, avevano dimostrato tutta la loro forza abbattendo il Califfato creato a Sirte dall’Isis, e l’uomo forte era il vice di Sarraj, Ahmed Maitig. Una sorta di ago della bilancia tra le fazioni in guerra, un possibile terzo incomodo, appoggiato dalle famiglie benestanti e moderate di Misurata e che da noi aveva ricevuto aiuti e un ospedale militare con circa 300 persone tra medici, infermieri e soldati.Caccia e Casarini, nella loro «guerra ibrida», probabilmente tifavano per un indebolimento di Tripoli e magari una spaccatura della Libia, che avrebbe concesso ai trafficanti, ma anche ai «pescatori di migranti», maggior spazio di manovra.In effetti quando Caccia capisce che Ghunaim è infastidito dal sostegno del governo a Maitig, se ne esce con una frase davvero infelice: «Esattamente la situazione che vogliamo cambiare». Come non è dato sapere. Di certo non «pescando» migranti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alleati-col-signore-della-guerra-2666594950.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-guardia-costiera-chiarisca" data-post-id="2666594950" data-published-at="1702591485" data-use-pagination="False"> «La Guardia costiera chiarisca» «Mi permetto di sottoporre alla sua attenzione le notizie apparse sul quotidiano La Verità in cui si riferiscono fatti che involgono anche la nostra Guardia costiera». Il viceministro alle Infrastrutture e trasporti, Galeazzo Bignami, vuole vederci chiaro su come siano giunte ai Casarini boys le informazioni sensibili sulle ricerche in mare e in un documento indirizzato al comandante generale del Corpo delle Capitanerie di porto, Nicola Carlone, chiede «cortesemente di voler considerare tutte le azioni necessarie al fine di procedere alle verifiche utili alla precisa ricostruzione dei fatti, anche al fine di allontanare qualsiasi sospetto sulla correttezza dell’operato del Corpo, così come d’altronde richiesto in sede di dibattito parlamentare nella giornata di ieri». Bignami ovviamente ha a cuore il buon nome della Guardia costiera. E infatti aggiunge: «Non deve esistere alcuna ombra sull’attività delle istituzioni che non possono in alcuna maniera essere coinvolte nelle azioni di un soggetto indagato per favoreggiamento all’immigrazione clandestina». Nonostante tutti sapessero delle indagini della Procura di Ragusa, infatti, nessuno, a sinistra, sembra essersene preoccupato e, anzi, i dem hanno cominciato a passare informazioni sensibili sulle ricerche in mare dei barconi a chi in quel momento era sotto inchiesta proprio per un reato che la Guardia costiera è chiamata a contrastare. E spesso nelle chat acquisite dagli inquirenti di Ragusa le informazioni sulle posizioni dei natanti da soccorrere sono ricorrenti. Il 13 aprile 2020, per esempio, Casarini gira a Caccia un documento con quattro segnalazioni di barconi in mare. E chiede: «Questo è pubblico?». Caccia risponde: «No. Interno». Casarini chiede ancora: «Ok, ma non avevano fatto pubblico un tweet di riassunto a un certo punto? Mi interessa per Tonacci un report fatto sui 4 casi». Caccia: «Puoi dargli le informazioni del messaggio ma pregandolo di non metterle come dati forniti da Alarm Phone o da noi». E a dimostrazione che le informazioni contenute nel messaggio non sarebbero divulgabili Casarini spiega di ricordare che «Alarm Phone aveva fatto a un certo punto, senza dati così approfonditi, un punto aggiornamento pubblico». E Caccia gli gira un link: «Questo il tweet di Alarm Phone riassuntivo delle 21 di ieri sera». Anche il 28 dicembre 2020 si torna a parlare di notizie che probabilmente vanno maneggiate con cautela. Casarini scrive a Caccia, informandolo dell’arrivo di un dossier delicato: «Resoconto riservato ricevuto da Giuditta Pini da Mrcc». L’acronimo indica il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto. Quello attribuito alla Pini è un appunto dettagliato sulla ricerca di un barchino partito dalla Libia il giorno di Natale con poco più di dieci migranti. E la nota stando a Casarini proverrebbe dalla Guardia costiera. Ieri è stata depositata in Parlamento anche una interrogazione del senatore di Fratelli d’Italia Raffaele Speranzon: «Chiedo lumi sulle indiscrezioni uscite mezzo stampa. Purtroppo questa pare proprio una storiaccia che si sta accartocciando sempre peggio». Secondo Speranzon, che è vicecapogruppo vicario a palazzo Madama, «sulla questione in generale farà luce la magistratura, ma intanto è fondamentale capire già da oggi se gli appoggi politici con scambi di informazioni riservate a Casarini, narrati sui giornali, siano veri e comprovati o meno. Sarebbe grave, certamente inopportuno e forse illecito che rappresentanti dello Stato, alte figure politico istituzionali della sinistra si siano prestate a questo scambio di informazioni, in sfregio del proprio ruolo istituzionale, magari per agevolare chi oggi è indagato per reati molto gravi che potrebbero avere correlazioni proprio con le informazioni riservate ricevute da rappresentanti politici. L’ennesimo scandalo che sommato al caso Soumahoro racconterebbe una nuova storia sul dramma dell’immigrazione cavalcato per scopi tutt’altro che umanitari».
Alessandra Moretti (Ansa)
Federica Mogherini (Ansa)
La sede della Banca d'Italia a Roma (Imagoeconomica)
Con Gianni Tessari, presidente del Consorzio Lessini Durello, esploriamo la storia di una grande eccellenza italiana apprezzata nel mondo.