2019-07-03
Alle primarie Usa Sanders e Biden battono già in testa
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Un sondaggio di Real Clear Politics ha rilevato come, soltanto tra il 29 giugno e il 3 luglio, l'ex vicepresidente abbia perso ben quattro punti percentuali. Altre rilevazioni mostrano che il senatore del Vermont sarebbe scivolato dal secondo al quarto posto, dietro a Kamala Harris e alla senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren.Allarme rosso per i big attualmente candidati alla nomination democratica del 2020. Dopo i primi due dibattiti televisivi della settimana scorsa, i nomi più noti e (teoricamente) più forti in gara appaiono in pericoloso affanno. A registrare il preoccupante stato di cose, ci pensano gli ultimi sondaggi disponibili che, pur non fotografando tutti esattamente la stessa situazione, risultano ciononostante concordi nel delineare un futuro incerto per l'ex vicepresidente, Joe Biden, e per il senatore del Vermont, Bernie Sanders: coloro che, si pensava, avrebbero ben presto trasformato queste affollatissime primarie in un duello, sulla scorta di quanto avvenuto nel 2016, ai tempi della candidatura di Hillary Clinton. Le cose sembra stiano tuttavia prendendo una piega ben diversa.Joe Biden continua formalmente a mantenere la posizione di front runner, per quanto le principali rilevazioni sondaggistiche lo stiano dando in forte caduta negli ultimi giorni. Un recentissimo sondaggio del Real Clear Politics ha rilevato come, soltanto tra il 29 giugno e il 3 luglio, l'ex vicepresidente abbia perso ben quattro punti percentuali. Biden sta insomma scontando una serie di problemi non indifferenti: la pessima performance da lui condotta nel corso del dibattito di Miami (quando è caduto sotto le accuse di simpatie segregazioniste da parte della senatrice Kamala Harris) si sta facendo sentire. Senza poi trascurare le critiche ricevute sulle sue idee interventiste in materia di politica estera (a partire dal voto che diede, nel 2002, a favore della guerra in Iraq). L'ex vicepresidente sta, non a caso, incontrando un crescente astio da parte della sinistra democratica (che non lo ha mai amato) e – soprattutto – da parte della minoranza afroamericana. Un particolare campanello d'allarme è poi costituito dal fatto che – come ha riportato The Hill pochi giorni fa – la base democratica in Iowa (Stato in cui avrà inizio il processo delle primarie il prossimo febbraio) stia nutrendo non poco scetticismo verso di lui. Biden sta del resto puntando molto sull'Iowa, vista la forza mediatica che una vittoria in quell'area generalmente può fornire. Per questa ragione, l'ex vicepresidente sta presidiando capillarmente il territorio, cercando di replicare le strategie in loco adottate vittoriosamente da John Kerry (nel 2004) e da Barack Obama (nel 2008). Eppure, gli elettori dell'Hawkeye State restano per il momento piuttosto scettici.Anche Bernie Sanders non se la passa troppo bene. Nonostante alcune discordanze tra i vari sondaggi, ben tre recentissime rilevazioni mostrano che il senatore del Vermont sarebbe scivolato dal secondo al quarto posto, dietro a Kamala Harris e alla senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren. Un dato preoccupante per una figura che vorrebbe tornare a federare l'intera sinistra democratica attorno al proprio nome. Dal comitato elettorale del senatore per ora ostentano sicurezza, dicendo che anche durante le primarie democratiche del 2016 all'inizio Sanders fosse considerato un candidato minore e senza speranze. Il che, intendiamoci, è vero. Sennonché, rispetto a tre anni fa, la situazione oggi appare non poco mutata. All'epoca il senatore era da solo a rappresentare le istanze della sinistra, oltre che a cavalcare una dura battaglia antiestablishment. Oggi, su questo terreno, si tra ritrovando la concorrenza spietata della Harris e della Warren, senza dimenticare le ambizioni di figure come il sindaco di South Bend, Pete Buttigieg, il senatore del New Jersey, Cory Booker, e l'ex deputato texano, Beto O' Rourke.Insomma, Sanders oggi appare troppo vecchio. Certo: questo non vuol dire che la sua corsa sia finita. Lo scorso 2 luglio, il suo comitato elettorale ha annunciato di aver raccolto diciotto milioni di dollari in finanziamenti elettorali nel secondo trimestre, attraverso micro-donazioni (per una media di circa diciotto dollari a persona): una cifra considerevole ma comunque inferiore ai quasi venticinque milioni reperiti da Buttigieg nello stesso periodo. Ciononostante, Sanders resta al momento tra i pochi, nella rissosa pletora dei candidati dem, ad avere una forte presa sulla classe operaia. Il suo elettorato di riferimento restano infatti i colletti blu. Senza dimenticare che la sua forza risiederebbe principalmente nei lavoratori impiegati nella grande distribuzione (a partire dalle grandi catene come Walmart). Questo resta, per lui, un enorme vantaggio in un partito – quello Democratico – che sembra aver ormai quasi del tutto perso la capacità di parlare agli operai e alla classe media impoverita.Sì: perché, nonostante i sondaggi stiano dando attualmente in ascesa la Warren e la Harris, costoro non sembrano troppo ferrate su questa materia. La senatrice del Massachusetts è, sì, nota per aver elaborato articolate proposte di legge. Ma deve ancora dimostrare le doti organizzative sufficienti per portare avanti una campagna elettorale di natura presidenziale. Passando alla Harris, poi, la situazione non migliora. Nonostante l'abilità retorica e la capacità di tenere banco nel corso del dibattito televisivo di fine giugno, la senatrice californiana non appare troppo concentrata sulle tematiche che stanno a cuore al mondo operaio. Ha parlato molto di emergenza climatica ma ben poco (troppo poco) di commercio internazionale e politica industriale. Il fatto di aver ferito efficacemente Biden non le garantisce automaticamente una leadership salda. E sarà quindi necessario attendere per capire se questi suoi exploit sondaggistici si riveleranno qualcosa di più di un semplice fuoco di paglia. Tra l'altro, il testa a testa tra le due senatrici ricorda vagamente quello che si registrava, nell'autunno del 2015, tra Marco Rubio e Ted Cruz, nel corso delle primarie repubblicane di allora. Anche in quel caso, la sfida era tra due giovani senatori rampanti, che oscillavano tra lo scontro e la tacita alleanza per fiaccare il front runner. Peccato che, col passare del tempo, vennero entrambi sbaragliati sul campo. Ecco: non è affatto escluso che la Warren e la Harris possano fare prima o poi quella stessa fine. Il vincitore di queste primarie democratiche resta quindi per il momento avvolto nell'ombra. Se i big classici appaiono pesantemente in affanno, i loro diretti rivali non sembrano – per ora – abbastanza forti per prenderne il posto. Senza infine dimenticare che ben quindici dei venti candidati in gara non superino, ad oggi, il 3% dei consensi.Se sul fronte delle candidature ufficiali non sembrano esserci troppi grattacapi per Donald Trump, non va tuttavia trascurato un elemento significativo. Pochi giorni fa, il Boston Globe ha rivelato che i due miliardari, George Soros e Charles Koch, fonderanno a settembre il Quincy Institute: un think tank finalizzato a promuovere politiche avverse alle "guerre senza fine" che lo Zio Sam conduce in giro per il pianeta. In particolare, i due magnati avrebbero investito mezzo milione di dollari ciascuno, mentre altri ottocentomila dollari sarebbero stati versati da donatori minori. Ora, ci si chiederà: che cosa c'entra tutto questo con le elezioni del 2020? Innanzitutto sia Soros che Koch sono figure da sempre direttamente coinvolte nelle dinamiche politiche americane. E lo stesso fatto che il lancio di questa fondazione avverrà a settembre potrebbe non essere un caso: l'autunno dell'anno precedente all'anno elettorale risulta infatti sempre un periodo dirimente per capire chi, tra i candidati alle primarie, riuscirà ad emergere. E comunque, al di là di queste strane coincidenze, si registra anche qualche stranezza. In primo luogo, se Soros ha sempre manifestato sostegno al Partito Democratico, Koch risulta – al contrario – uno storico finanziatore del Partito Repubblicano. Eppure, nonostante questa affiliazione politica antitetica, i due una caratteristica in comune l'hanno sempre avuta: una decisa avversione per Donald Trump. In secondo luogo, è anche questo improvviso impegno dei due a favore della causa "pacifista" ad essere sospetto: in passato, Soros ha finanziato candidati come Hillary Clinton e John Kerry, mentre Koch ha sostenuto politici come John McCain. Tutte figure fortemente favorevoli a un approccio interventista e bellicoso in politica estera. In tutto questo, non dimentichiamo che, lo scorso giugno, Koch si sia detto aperto a sostenere – per la prima volta – anche politici democratici, mentre Soros ha fatto sapere – alla fine del 2018 – di vedere molti buoni candidati dem per il 2020. Insomma, stranezze e coincidenze. Magari questo Quincy Institute sarà una pura iniziativa culturale. O magari una polpetta avvelenata per Trump.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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