2018-08-02
Allarmismo, malattia da progressisti sempre smentita dalla realtà dei fatti
Hanno gridato al ritorno del fascismo e non è tornato. Si sono stracciati le vesti per Donald Trump, spread e Paolo Savona, ma non sono successi drammi. Pure le tesi su xenofobia e molestie ora crollano. In attesa del prossimo delirio. Un tempo c'era la febbre dell'appello. Tutti gli intellettuali progressisti si sentivano in dovere di piazzare la loro illustre firma in calce a qualche testo sconclusionato a favore di qualche nobile (si fa per dire) causa. La malattia non è ancora stata debellata, ma si può dire che sia in recessione. In compenso, però, avanza da un po' una nuova patologia: l'allarmite. Che è simile all'allarmismo, solo più grave, ma pure più ridicola. Si manifesta così: l'intellettuale (o il giornalista, il commentatore, l'artista, l'attore impegnato) si impegna con tutte le forze onde apparire angustiato, quasi sofferente. Deve mostrare al pubblico che qualcosa lo divora nel profondo: il suo fegato è roso, il suo cuore stretto in una morsa. Egli ha paura, perché nubi nere si stagliano all'orizzonte. Una volta assunta la posa corretta, il suddetto intellettuale parte alla carica, spiegando che in Italia (o nel mondo) c'è «un allarme». Una tendenza «preoccupante». Un odioso fenomeno che «dilaga». Facciamo un esempio concreto. Fino alle elezioni del 4 marzo, per mesi e mesi, giornali e televisioni gridarono che stava tornando il fascismo. Si pubblicavano editoriali indignati, Repubblica sbatteva in prima pagina grottesche inchieste sulla «spiaggia fascista» di Chioggia, l'Anpi e le organizzazioni affini si mobilitavano. Sembrava già di udire il rombo delle panzer division, gli stivaloni già sbattevano sul selciato. A leggere certi articoli sembrava che, se avesse vinto le elezioni la Lega, ci saremmo trovati, come minimo, Roberto Farinacci presidente del Consiglio. Invece non è accaduto niente. Anzi, le formazioni identitarie - i cosiddetti «neofascisti» - non hanno per nulla beneficiato dell'exploit elettorale salviniano, anzi. L'allarme fascismo non esisteva, era una bufala creata ad arte. Per un po', infatti, non se n'è parlato più. C'era un altro allarme da lanciare. Passate le elezioni, si cominciò a dire che Lega e 5 stelle avrebbero mandato il Paese in rovina, che lo spread sarebbe volato a quota 10.000 e che «i mercati» ci avrebbero fatto a pezzi, nemmeno troppo metaforicamente. Solo che poi, nel giro di qualche giorno, lo spread scese di nuovo. E, ben presto, sparì dai titoli di giornale. Ma ecco - fulmineo - spuntare un altro pericolo: Paolo Savona, il ministro «anti Europa, anti Germania, anti Draghi» che ci avrebbe condotto al disastro. L'Europa ci avrebbe espulso, la Merkel ci avrebbe dichiarato guerra, il premier Giuseppe Conte sarebbe stato processato all'Aia. Risultato: tutto tranquillo, niente drammi da segnalare. L'intellettuale unico progressista, tuttavia, non si diede per vinto. E sfoderò subito un altro allarme. Ve lo ricordate? Riguardava la nave Aquarius di Sos Mediterranée, che giusto ieri è tornata in mare promettendo di «non far sbarcare migranti in Libia». Si disse che, chiudendo i porti, Matteo Salvini e Danilo Toninelli avrebbero provocato la morte dei migranti a bordo della nave, abbandonati in balia di onde smisurate e venti spietati. Peccato che, poi, le autorità italiane scortarono la Aquarius fino in Spagna e nessuno a bordo ci lasciò le penne. Anzi, gli occupanti cantavano e ballavano allegri. I porti sono rimasti chiusi alle Ong, ma di stragi causate dall'Italia (nonostante le insinuazioni e le balle degli attivisti umanitari) non ce ne sono state. A questo punto, uno sano di mente avrebbe lasciato perdere gli allarmi, o almeno si sarebbe concesso una pausa. Ma l'intellettuale sinistro affetto da allarmite non può fermarsi. Non ci riesce, è più forte di lui. Ed ecco, quindi, il nuovo tema: il razzismo. Purtroppo, però, le realtà della cronaca ha smentito l'esistenza di un complotto del Ku Klux Klan sul suolo italico. I dementi lanciatori di uova che hanno colpito Daisy Osakue si erano già allenati al tiro a segno con signore di pelle bianca. Niente razzismo, insomma, nemmeno in altri casi elencati dai giornaloni. Mentre il teorema della xenofobia dilagante franava, ecco l'ennesimo duro colpo: le accuse di molestie sessuali contro il regista Fausto Brizzi sono finite in niente. Pure «l'allarme sessismo» si è pateticamente smontato. Del resto, è sempre finita così: l'allarme Trump, l'allarme populismo, l'allarme Brexit... Persino l'allarme morbillo è svanito dai radar. Non ci resta che attendere il prossimo spauracchio. Chissà, magari si potrebbe riproporre la mucca pazza, in fondo è un grande classico.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.