
Jean Asselborn ha interrotto il nostro vicepremier Matteo Salvini, esclamando «merde» e dandogli del fascista. Tanto è bastato a farne un paladino anti Salvini. Peccato che il lussemburghese sia ben poco «rosso»: governa una nazione di ricconi che respinge chi è senza denaro.In principio furono Karl Marx e Vladimir Lenin. Poi vennero Josef Stalin e Lev Trotzky. Quindi Mao Tsetung, Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, per finire via via scolorando a Bill Clinton, Tony Blair, Luis «Bambi» Zapatero e, prima che fosse incarcerato, Luis Inacio Lula da Silva. Adesso, crollati tutti i miti del comunismo internazionale e rimasta con un pugno di mosche in mano, cioè con Matteo Renzi e Laura Boldrini, la sinistra italiana ha eletto come nuovo simbolo tal Jean Asselborn, ministro degli Esteri niente popodimeno che del Lussemburgo. Il suddetto è uno dei leader del Partito socialista operaio del Granducato, e la sua improvvisa notorietà è dovuta allo scontro che qualche giorno fa ha avuto con il nostro ministro dell'Interno durante una riunione comunitaria. Mentre Matteo Salvini parlava di immigrazione, Asselborn si è lasciato andare come un Oliviero Toscani qualsiasi, borbottando e interrompendo più volte l'intervento del rappresentante italiano. Poi, quando il vicepresidente del Consiglio lo ha invitato a consentirgli di terminare l'intervento, il succitato nuovo leader della sinistra europea ha profferito un elegantissimo grido di battaglia: «Et merde alors».In altri tempi, ci fosse stato un Giorgio Napolitano alla guida del Viminale, la sinistra di lotta e di governo avrebbe dichiarato guerra al Lussemburgo, spedendo il prode Sergio Mattarella (che negli anni Novanta fu ministro della Difesa) al fronte insieme alle truppe. Ma siccome alla guida del ministero dell'Interno non c'è più un comunista, perché anche l'ultimo, Marco Minniti, è stato fatto sloggiare dal voto popolare, invece di indignarsi per l'insulto e il comportamento poco decoroso di un alleato europeo, ancorché lussemburghese, la sinistra gode e si rallegra. Nessuna voce infatti si è levata in Italia per condannare un ministro cafone che non solo ha interrotto un nostro rappresentante, ma che all'invito a stare zitto e lasciar concludere l'intervento, ha reagito offendendo il nostro Paese con un «Et merde alors». I giornali, quasi tutti di sinistra e dunque solidali con i compagni rimasti senza idoli né ideali, si sono subito affrettati a spiegare che l'espressione idiomatica non può ritenersi offensiva. Asselborn non ha dato della merda a Salvini. Voleva solo manifestare il proprio disappunto. Un po' come un ministro che presentandosi a un vertice ufficiale nomini l'organo riproduttivo maschile per sottolineare di non essere d'accordo. O uno che citi l'apparato genitale femminile per manifestare stupore. Tutto qui. Ma alla spiegazione dell'uso idiomatico del termine, negli articoli è seguita la comprensione, perché Asselborn è un po' il decano dei ministri degli Esteri d'Europa, e dunque si sente autorizzato a interrompere e anche a dire «merde» se non è d'accordo. In fondo, pur rappresentando un fazzoletto di terra e poco più di mezzo milione di abitanti, conosce l'Europa come le sue tasche e dunque può mettere in riga i novizi alla Salvini, perché è come se fosse il padrone di casa.Insomma, Asselborn è Asselborn. Borbotta, sospira, s'infiamma in viso come il suo sodale Jean Claude Juncker (ma quest'ultimo dopo qualche bicchiere di troppo) e poi dice «merde alors»: che c'è di male?Risultato, da sindaco per più di vent'anni di un comune di 4.000 abitanti, parcheggiato infine nel governo lussemburghese senza avere un ruolo di rilievo e senza essere preso in considerazione neppure dai suoi stessi colleghi dell'esecutivo, Jean Asselborn ha raggiunto le vette della notorietà. Con quel «Et merde alors» il borbottante ministro è divenuto una star della sinistra, in particolare di quella italiana, che non sapendo più chi contrapporre a Salvini si consola con il capo di un partito operaio in un paese di milionari. Il prodotto pro capite del Lussemburgo è il doppio del nostro e, a differenza di ciò che accade da noi, non c'è alcuna invasione di immigrati. Anzi, se qualcuno si presenta alla frontiera senza avere in tasca un po' di bigliettoni, è gentilmente riaccompagnato verso l'uscita. Ma questo ai compagni di casa nostra importa poco. A loro basta che Asselborn dia del fascista a Salvini. «Fascista» è infatti un aggettivo che li consola. Se Salvini è fascista, loro sono democratici e dunque hanno ragione di esistere. Asselborn ha restituito alla sinistra italiana e ai suoi cantori della stampa la coperta di Linus, ovviamente rossa. Tutto a posto dunque. Non resta che festeggiare il nuovo idolo. «Et merde alors».Una volta la classe operaia sognava il paradiso. Ora ai suoi dirigenti resta il paradiso fiscale. Dalla lotta di classe alla lotta con le tasse.
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