2022-06-18
Alla fine trivellano solo noi
Per il tanto invocato ingresso futuro dell’Ucraina nella Ue c’è un conto salato da pagare. Che si aggiunge alla parcella delle sanzioni e alla costosa ritorsione russa sul gas: forniture tagliate e prezzo raddoppiato. Mentre il governo «scopre» i pozzi chiusi in Adriatico. Emmanuel Macron: «Niente pace se si vuol schiacciare Mosca». Vladimir Putin: «Finita l’era dominata dagli Usa».Durante la visita a Kiev, Mario Draghi ha annunciato di volere l’Ucraina nella Ue, dichiarando di essere pronto a sostenere questa posizione nel prossimo Consiglio europeo. Il presidente del Consiglio, tuttavia, ha evitato di spiegare che cosa ha chiesto in cambio, se cioè abbia offerto - come ieri ha scritto il giornale tedesco Welt - il via libera all’ingresso nell’Unione, a patto però che Volodymyr Zelensky cali le braghe, cioè accetti di trattare con Vladimir Putin e, di conseguenza, anche di rinunciare a parte del suo Paese. Dietro le parole amichevoli e i sorrisi di circostanza, la Troika (così la chiama il quotidiano di Berlino) avrebbe pronunciato parole chiare. Un po’ meno chiaro è chi pagherebbe il conto di un ingresso di Kiev nella Ue, cioè chi sosterrebbe il peso della ricostruzione e del fabbisogno finanziario che, una volta firmata una tregua, servirebbero all’Ucraina per poter entrare nella Ue e tornare a un’apparente normalità. Zelensky ha più volte parlato di almeno 600 miliardi, a tanto infatti ammonterebbe il costo per rimettere in piedi il Paese dopo il passaggio dei tank russi e dei missili ipersonici. La cifra indicata dal presidente ucraino rappresenta più o meno un quarto del debito pubblico italiano e poco meno di un terzo di tutto il Recovery plan dell’intera Europa. Insomma, ciò che servirà per far ripartire l’Ucraina non sono noccioline, ma soldi e tanti. Chi li metterà e in cambio di che cosa? Al momento non è chiaro. Dire che l’Italia sosterrà la richiesta di Kiev di entrare nella Ue non costa nulla, costerà invece molto di più passare dalle parole ai fatti. Per chi se lo fosse dimenticato, ricordo che 13 anni fa la Grecia fu costretta a una cura di lacrime e sangue perché il suo debito, che aveva raggiunto il 100 per cento del Pil, era di 350 miliardi di euro. Prima della guerra, il prodotto interno lordo dell’Ucraina era pari a circa 150 miliardi di euro, cioè un quarto di ciò che servirebbe per ricostruire il Paese secondo lo stesso Zelensky. Dunque, la domanda è: chi mette i soldi? I Paesi europei, come ebbe a dire lo stesso presidente ucraino tempo fa, invocando «l’adozione» delle città devastate dalle bombe russe? La Gran Bretagna si sarebbe offerta di adottare Kiev, ma siccome Boris Johnson non è un benefattore, è evidente che in cambio vorrà qualche concessione. In pratica, Zelensky è di fronte a un bivio: regalare un pezzo del suo Paese ai russi o regalare un po’ di affari a chi promette di aiutarlo? Comunque vada, il risultato è sempre a perdere. E certo il conto negativo non sarà saldato dai beni sequestrati dagli oligarchi o dai conti del Cremlino congelati nelle banche estere. Monetizzare i primi è tutt’altro che facile e perfino i falchi ammettono che, sotto il profilo giuridico, si tratterebbe di una manovra arrischiata, mentre sulle riserve bloccate, oltre agli aspetti giuridici grava il problema del debito russo, ossia di 38 miliardi in valuta estera che Mosca potrebbe decidere di non rimborsare, con un ingente danno per i risparmiatori occidentali. E a proposito di perdite, anche quelle che sta registrando l’Europa e in particolare l’Italia non sono di poco conto. Ne abbiamo scritto nei giorni scorsi, quando Gazprom ha cominciato a tagliare le forniture di metano a Germania e Italia. Per mesi, la Ue ha minacciato di rinunciare al gas russo senza poi decidere nulla perché il distacco sarebbe costato troppo e avrebbe messo in ginocchio il sistema produttivo. Così, dopo aver preso sei mesi di tempo per l’embargo sul petrolio, l’Unione ha deciso di rinviare il problema del metano a data da destinarsi, quando cioè ci saranno fonti alternative e i rigassificatori. Peccato che di fronte alla minaccia Putin non sia stato a guardare, ma abbia giocato d’anticipo. «Volete fare a meno del mio gas perché pensate di mettermi in ginocchio? Beh, a togliervelo ora che vi serve ci penso io». Risultato, da giorni alla Germania e al nostro Paese è stato ridotto all’incirca della metà il flusso in arrivo, con il risultato che rischiamo di non riuscire a costituire le scorte per l’inverno e nella stagione più fredda, ma anche più produttiva, potrebbe mancarci l’energia necessaria a far funzionare le aziende e a riscaldare le case. Qualcuno potrebbe pensare che in questo modo Putin si stia facendo male da solo, perché se ci manda meno gas incassa meno soldi e per di più in un momento in cui il suo Paese, quanto a liquidità, non è messo bene. Purtroppo per noi, non è così. Infatti, è bastato che la fornitura diminuisse per far salire il prezzo del 40 per cento. In pratica, lo zar ci ha fornito meno gas, ma ha incassato quello che incassava prima.Faccio queste osservazioni, non perché io voglia la resa di Zelensky e il successo di Putin. Tutt’altro, il presidente russo per me resta quello che ho sempre detto, e cioè un dittatore criminale e vorrei che questa guerra finisse al più presto con la cacciata dei russi. Ma i desideri sono un conto e la realtà un’altra. Così come quando ci raccontarono che le aziende petrolifere non avrebbero mai pagato in rubli salvo poi farlo, ascolto con molto scetticismo le promesse che non si possono mantenere. E quella di staccarci da Mosca per il gas senza farci del male, al momento mi sembra impossibile.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)