
La banca centrale Usa riduce il costo del denaro di 25 punti base. E nel 2025 sono previsti altri due interventi. È quello che da mesi chiedeva il tycoon. Intanto migliorano a sorpresa le stime del Pil: crescerà dell’1,6%.La Federal Reserve ha tagliato i tassi dello 0,25% portando l’asticella fra il 4% e il 4,25%. La decisione è stata presa con undici voti favorevoli e un solo contrario. Si tratta del trumpiano Miran che avrebbe voluto una riduzione almeno dello 0,5%. Quella decisa ieri è la prima riduzione da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca. Un taglietto che ha il sapore di un equilibrismo e dell’omaggio dopo i violenti attacchi dei mesi scorsi nei confronti del governatore Powell accusato, senza giri di parole, di essere un incapace. Un gesto che assomiglia tanto a un piccolo inchino al tycoon che di tagli ne vorrebbe ben di più. Chissà se l’annuncio che ci saranno altri due interventi da 0,25% entro la fine dell’anno basterà a soddisfarlo. In ogni caso Powell in conferenza stampa ha voluto salvare la coscienza: «La Fed», ha detto, «è impegnata a mantenere la sua indipendenza».A volte basta davvero poco per accontentare tutti. O quasi, visto che Stephan Miran, appena nominato alla Fed proprio da Trump e considerato l’ideologo della politica economica della Casa Bianca, avrebbe voluto un comportamento più coraggioso. Le stime della Fed parlano di una crescita più lenta del mercato del lavoro, un Pil che si fermerà all’1,6% (ma a giugno prevedeva l’1,4%) e inflazione al 3%.I dati dimostrano la delicatezza del momento. Il 9 settembre, un fulmine a ciel sereno: i dati sull’occupazione tra marzo 2024 e marzo 2025 hanno mostrato 911.000 posti di lavoro in meno rispetto alle stime iniziali. E di questo Trump si è accorto. Il suo fedele pupillo, EJ Antoni, capo dell’Agenzia del Lavoro ha già proposto di azzerare o, perlomeno, rendere queste statistiche mensili anziché settimanali come accade oggi. Una scelta che il presidente apprezzerebbe considerando che vuole abolire la pubblicazione dei conti trimestrali delle società quotate. Ma la Fed ha un approccio diverso. Non solo la piena occupazione fa parte suo mandato, ma i dati sono essenziali, per orientare i mercati e la politica economicaEppure, l’incertezza regna sovrana. I numeri sulle assunzioni mensili sono sempre più deboli, con una curva inesorabilmente inclinata verso il basso. Una debolezza che giustificherebbe anche un taglio dei tassi un po’ più deciso, ma ecco il colpo di scena: l'inflazione ha deciso di fare il suo ingresso trionfale in scena, con un picco a settembre: il 2,9%. Un incremento che, rispetto ai 2,3% di aprile, è una vera e propria «fuga di prezzi», un filo di fumo che si alza da un calderone ancora caldo. E qui si fa chiara la scelta della Fed: non basta un 0,25% di taglio per calmare la domanda interna.In un Paese dove il tasso di inflazione è un tema centrale per i destini politici dei presidenti Usa, Powell e compagni si trovano di fronte a un bivio: sostenere l’occupazione con tassi in coraggiosa discesa, come vorrebbe Trump, o continuare a combattere quell’inflazione che, come un ospite indesiderato, sembra non volersene andare? La Fed ha scelto il compromesso, il taglio piccolo piccolo, ma significativo. Eppure, come ha fatto notare lo stesso Powell, il costo del denaro è ancora lontano da quel fatidico «tasso neutrale», che, secondo i calcoli più ottimistici, potrebbe trovarsi intorno al 3% (ma alcuni membri della Fed, più prudenti, lo vedono a 3,5% o più). Insomma c’è spazio per le riduzioni annunciate da Powell entro fine anno.E qui arriva la parte più interessante. La Fed sta manovrando con una certa maestria, come chi cammina su un filo sottile, evitando di cadere da una parte o dall’altra. I salari orari, per esempio, continuano a crescere più rapidamente della media storica. La trasformazione dei rialzi dei prezzi da eventi eccezionali in fatto permanente è un rischio concreto. E, come sempre, la Fed lo sa bene: a volte, la cautela non è solo una virtù, ma una necessità.Allora, cosa fare? In un certo senso, Powell e la sua squadra hanno risolto la questione con un colpo da maestro: un taglio dei tassi che sembra dire «eccomi, sto facendo qualcosa» e la promessa di altri interventi. Non è una risposta decisa, ma è una soluzione pragmatica, una manovra tanto cauta quanto necessaria. Trump chiederà di più ma Powell avrà ottenuto la sua parte di stabilità, senza scatenare un terremoto. Un compromesso che suona quasi come una danza elegante: passi piccoli, ma giusti, e soprattutto, non troppa esposizione. La Fed si piega a Trump, ma non troppo. E in fondo, questa è la vera vittoria.
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